La rivoluzione di Berlusconi apportata alla tv ha contribuito largamente all’odierna depravazione della società italiana, col decadimento della moralità. Ciò è inevitabile quando i concetti di “verità e qualità” sono soppiantati da quelli di “maggioranza e quantità”.
A qualche mese dalla morte di Silvio Berlusconi possiamo ragionare a mente fredda sull’eredità morale e culturale che ha lasciato. Il mondo cattolico deve avere il coraggio, pur riconoscendogli il bene fatto e le ingiustizie a cui è stato sottoposto dal circo mediatico-giudiziario, di fare i conti con i gravi danni morali che ha inflitto al Paese con le sue tv e il suo esempio di vita. Questo per non ripetere alcuni errori politici in futuro.
Tra la fine degli anni ’70 e tutti gli anni ’80 Silvio Berlusconi fa il grande salto dall’imprenditoria immobiliare (con la sua Edilnord aveva costruito quartieri residenziali a Segrate, detti Milano 2) a quella televisiva e poi di lì a molti altri settori: assicurazioni, editoria, grande distribuzione e sport. La data centrale è il 1976 quando la Corte costituzionale sentenzia che le tv, sino ad allora solo statali, potevano essere entro certi limiti gestite anche da privati. Allora Berlusconi rileva una tv via cavo che trasmetteva solo nei condomini di Milano 2, Telemilano, e la trasforma in Canale 5. Ma alle tv private era preclusa la trasmissione in diretta sull’intero territorio nazionale (potevano farlo solo a livello locale). Berlusconi escogitò un trucco: il cosiddetto “pizzone”, ossia una cassetta pre-registrata poi spedita a una cinquantina di emittenti locali in giro per l’Italia che poi trasmettevano gli stessi programmi e soprattutto la stessa pubblicità contemporaneamente. Questo permise di sottrarre inserzionisti alla Rai e in sostanza fare un mucchio di soldi, con i quali l’impero mediatico si estese anche a Italia 1 e Rete 4. Nasce così quella che Umberto Eco definì “neotelevisione”, ossia una tv sempre più di intrattenimento e di flusso, fatta cioè per incollare gli spettatori allo schermo, con un immaginario americano e sensuale, che spinse anche la Rai – fino ad allora considerata una tv con missione educatrice – a far scendere i livello culturale dei programmi e a competere al ribasso. È questa la rivoluzione di Berlusconi.
A dirigere i palinsesti di Canale 5 e Italia 1 c’è Carlo Freccero, unanimemente considerato fra i maghi della tv, con simpatie per il mondo massonico e una visione ultra-liberale ed edonista (anni dopo diventerà un fervente anti-berlusconiano e più avanti combatterà contro i vaccini anti-Covid): sesso, parolacce, violenza, stili di vita consumistici, individualismo, questi sono gli ingredienti del successo di quegli anni. Freccero afferma: «La televisione ha sostituito ai concetti di verità e qualità, i concetti di maggioranza e quantità». “Prendere teste”, come si dice in gergo, era l’imperativo, ossia raccogliere ascoltatori tv – il vero prodotto – la cui attenzione vendere agli inserzionisti pubblicitari, a qualsiasi costo. Ricordiamo che alcuni di questi programmi, da Drive In a Striscia la notizia, passando per Non è la Rai e il Maurizio Costanzo Show hanno letteralmente sdoganato impudicizia, reificazione del corpo femminile e liberalismo estremo, rendendo mainstream paradossalmente quelle che erano le proposte culturali del post ’68. In una fase successiva poi i programmi di Maria De Filippi, su tutti Amici, hanno sdoganato l’estetica omosessuale e numerosi cantanti che non facevano mistero di essere gay sono diventati idolo e modello dei ragazzini italiani.
Se si considera che negli anni ’90 Berlusconi entrava in politica a destra e si faceva poi sostenitore delle battaglie contro le unioni civili (i Pacs o Dico sponsorizzati dal governo di sinistra di Prodi) è evidente la contraddizione. Il Paese veniva distrutto moralmente, sradicato dalle sue fondamenta, ma allo stesso tempo il centro-destra berlusconiano tentava di limitare i danni sul mero fronte legislativo. Curiosamente in Rai, dove dagli anni ’70 la Democrazia Cristiana aveva perso le redini, e socialisti e comunisti dettavano la linea culturale, anche la tv di sinistra era per così dire più pudica, molto più incentrata sui temi sociali che sulla perversione dei costumi. Quando il 12 maggio 2007 la gigantesca manifestazione del “Family Day” riuscì a rimandare di qualche anno il riconoscimento giuridico di coppie di fatto e omosessuali, a presenziare c’erano anche i leader del centro-destra, tutti divorziati. Fu facile la battuta di alcuni: «Amano così tanto la famiglia da averne due». Nel caso di Berlusconi poi non ci sono stati solo due divorzi, ma anche numerose feste orgiastiche che in alcuni casi insultavano la religione cattolica e convivenze con due ragazze di cinquant’anni più giovani. Davvero un cattivo modello culturale per un uomo di successo che è stato preso a modello da giovani, imprenditori, giornalisti e gran parte del popolo italiano.
Così per molti l’appoggio di eminenti cattolici al berlusconismo è stato motivo di scandalo. Certo a sinistra c’erano gli abortisti ma a destra c’era chi distruggeva la famiglia in modo più sottile. D’altronde la sinistra tentava (allora e oggi non più) di difendere i ceti popolari dagli eccessi del capitalismo e della globalizzazione, attraendo così non pochi cattolici in buona fede che si chiedevano come fosse possibile supportare un politico e imprenditore che aveva fatto a pezzi la moralità con le sue tv e la sua vita e che portava avanti un’americanizzazione della nostra società. Ragionare sull’eredità culturale berlusconiana ci deve insegnare a non fidarci del nemico dei nostri nemici, e non affidarci alle potenze terrene per vincere qualche battaglia, perché la guerra alla fine la vinciamo solo con la fedeltà alla Legge di Dio. Oggi possiamo pensare che il progetto culturale cattolico deve essere quello di diffondere la conoscenza filosofica e pratica del concetto di diritto naturale, accompagnare il prossimo ai precetti di una buona vita, offrire liturgie in cui si respira il senso del sacro, continuare la tradizione della carità e dell’impegno per i più poveri. Insomma dobbiamo custodire il seme della vera cultura cattolica e farlo germinare dove possibile, in attesa di tempi migliori in cui i miti individualisti e goderecci del presente saranno crollati e la gente tornerà a cercare ciò che dà vera gioia. Non abbiamo bisogno della tv commerciale per fare tutto ciò.