Dal 6 novembre 1915 al 17 marzo 1918, durante la prima Guerra mondiale, padre Pio fece il militare, fu un soldato. Non prestò un vero e proprio servizio sotto le armi e non partecipò ad alcuna azione di guerra. In realtà venne sempre dichiarato “rivedibile” a causa delle misteriose febbri che lo affliggevano, febbri che erano impossibili dal punto di vista medico e che raggiungevano anche i 50 gradi. La divisa militare gliela fecero però indossare ed esiste una foto che lo ritrae seduto con il fucile sulle ginocchia, il berretto sulla testa e l’espressione completamente impaurita.
Quegli anni furono particolarmente difficili per il giovane padre Pio. Fece l’esperienza, per lui traumatica, della caserma, fu quasi dichiarato disertore e fu anche protagonista di fatti davvero prodigiosi.
Non appena si diffuse la notizia che l’Italia sarebbe entrata in guerra, padre Pio iniziò a tremare. Come se già fosse a conoscenza degli orrori che sarebbero arrivati, scrisse in quei giorni: «Mio Dio, quale dura prova è a noi serbata. Bisogna attraversare un’intera notte ricoperta dalle più fitte tenebre, non mai vista dalla patria nostra sino a quest’oggi una simile...».
Padre Pio aveva già fatto, nel 1907, la visita militare ed era stato dichiarato abile. I medici, tenuto conto della sua salute precaria, lo avevano declassato alla categoria di riserva e lo avevano rinviato a casa. Alla vigilia della Grande Guerra quindi, pensava che non sarebbe stato richiamato, anche perché, dall’epoca della prima visita medica, la sua salute era drasticamente peggiorata. Era infatti vittima di misteriose malattie che gli impedivano di vivere in convento e che lo costringevano a restare a Pietrelcina. Ma una mattina del novembre 1915, vide affisso su un manifesto murale l’avviso che i giovani delle classi 1886 e 1887 della categoria di riserva erano stati chiamati a presentarsi al distretto militare di Benevento.
Padre Pio fece così la visita medica il 6 novembre. Gli fu diagnosticata la tisi e inviato in seconda osservazione presso l’ospedale militare di Caserta. Dopo questa visita, il Padre sperava di essere congedato e invece fu assegnato alla Decima Compagnia Sanitaria di Napoli, dove arrivò il 6 dicembre. Fu sottoposto ad altre visite mediche e quindi mandato in convalescenza per un anno.
Fu durante questo periodo che i suoi superiori lo mandarono prima a Foggia e poi, dato che il caldo soffocante dell’estate gli toglieva il respiro, a San Giovanni Rotondo, sul Gargano, a 600 metri sul livello del mare. Il 4 settembre 1916 padre Pio fece il suo ingresso nel piccolo convento di Santa Maria delle Grazie e quella rimase la sua dimora per tutta la vita.
A dicembre del 1916 scadeva l’anno di convalescenza e padre Pio dovette rientrare in caserma a Napoli. I militari constatarono che non era per niente guarito e gli diedero altri sei mesi per riprendersi. In quell’occasione, prima di tornare a San Giovanni Rotondo, decise di passare per Pietrelcina; però perse il treno e fu costretto a trascorrere la notte alla stazione di Benevento. Faceva molto freddo. Il Padre non aveva soldi e non poteva pagarsi qualcosa di caldo né il biglietto della corriera. Verso il mattino, mezzo congelato, entrò in un bar e si mise in un angolo con l’intenzione di stare soltanto al caldo. Ma quando arrivò il cameriere, fu costretto ad ordinare. Al momento di pagare, mentre stava per dire al barista che non aveva soldi, questi lo anticipò dicendo: «Soldato, è già tutto a posto, per te ha pagato quel signore». E indicò una persona. Padre Pio guardò in quella direzione ma non vide nessuno. Allora uscì e salì sulla corriera per Pietrelcina. Si sedette all’ultimo posto e quando arrivò il controllore, prima che potesse ammettere di essere senza denaro, si sentì dire nuovamente: «Il suo biglietto è già stato pagato». Accanto a lui c’era un uomo che aveva un thermos di caffellatte caldo. Gliene offrì una tazza. Arrivato al paese, quell’uomo scese prima di lui, ma quando poi il frate lo cercò per ringraziarlo, di lui non c’era più traccia.
Trascorsi i sei mesi di convalescenza, venne assegnato alla Fanteria e quindi sarebbe dovuto partire per il fronte. Ma il Padre si rifiutò: era un sacerdote e come tale gli spettava la Sanità. Gli dissero in faccia che sarebbe stato dichiarato un disertore e lui rispose: «Non è possibile in quanto io sono qui. Al massimo mi potete mettere in prigione ma non sarà tanto diverso da come sto adesso!». Alla fine i suoi documenti vennero modificati e così il “soldato Forgione” fu assegnato alla Decima Compagnia di Sanità, aggregato al quarto plotone di stanza nella caserma Sales di Napoli. Qui gli fecero svolgere le mansioni più umili: il piantone, il facchino, lo spazzino. Ma le sue condizioni di salute peggioravano sempre di più.
Aveva dolori ai polmoni, alla testa e febbri altissime. Dovettero ricoverarlo all’Ospedale Principale Militare della Trinità. Ciò che sconcertava di più i medici era proprio la febbre. Compariva all’improvviso e altrettanto all’improvviso spariva. Raggiungeva livelli impossibili, mai riscontrati prima nella storia della medicina. Le “ipertermie” di padre Pio sono ancora oggi un mistero che la scienza non è riuscita a spiegare. E se non fossero state registrate e controllate dai medici, le si potrebbero ritenere frutto di fantasia. I dottori infatti mettevano il termometro sotto l’ascella di padre Pio e il mercurio saliva talmente veloce da far esplodere il vetro. Significava che la febbre superava ampiamente i 42 gradi, limite massimo segnato da un normale termometro. Un giorno un medico pensò di usare un “termometro da bagno”, che di solito serviva per misurare la temperatura dell’acqua. La febbre del Padre venne allora registrata sui 48 gradi. Il suo divenne così un “caso” medico perché a 45 gradi la febbre è solitamente letale, mentre in padre Pio raggiungeva anche i 53 gradi.
Il 3 novembre 1917, dopo ulteriori accertamenti, fu mandato in licenza per altri quattro mesi e il 15 marzo 1918 definitivamente esonerato. Scrisse in quella data al suo confessore padre Agostino: «Spero che per la fine dell’entrante settimana sarò costì, non prima di essermi recato a passare qualche giorno in famiglia a riprendermi l’abito e ripulirmi dai pidocchi».
Proprio nel novembre del 1917, mentre era in licenza, avvenne un fatto incredibile, riportato nelle primissime biografie del Padre, scritte quando era ancora in vita, basate sul materiale conservato negli archivi dei Cappuccini.
Mentre era a San Giovanni Rotondo, giunse a san Pio la notizia della disfatta di Caporetto. Pregando nella penombra della chiesetta di Santa Maria delle Grazie, pensava ai soldati che combattevano e morivano nel Friuli e nel Veneto. E pensava soprattutto al generale Luigi Cadorna, comandante supremo dell’esercito italiano e suo stesso superiore, essendo padre Pio un soldato.
Luigi Cadorna fu il grande sconfitto di Caporetto, e per questo era stato immediatamente sostituito dal generale Armando Diaz. Uno smacco tremendo per Cadorna, che vedeva intaccato il proprio operato militare dal disonore. Si sentiva umiliato, offeso ed era disperato. Voleva farla finita e la sera del 9 novembre 1917 aveva deciso di uccidersi. Si era chiuso nelle sue stanze, nel Palazzo Zara, a Treviso, dove c’era la sede del comando, e aveva dato ordine alle sentinelle di non lasciar passare nessuno. La rivoltella era già pronta sul tavolo. Il generale si apprestava a scrivere su alcuni fogli le sue ultime volontà.
Ad un tratto vide entrare nella stanza un giovane frate che vestiva un saio lacero, aveva la barba e gli occhi accesi come brace. Il generale si indignò, chiedendosi chi lo avesse fatto passare. Stava per chiamare le guardie, ma il fraticello gli andò incontro, abbracciandolo. Gli disse che era stato mandato da Dio. I due restarono a parlare. Il fraticello confortò il generale e lo convinse a desistere dai suoi propositi suicidi. Poi se ne andò, misteriosamente, com’era arrivato.
Qualche anno dopo, il generale Cadorna lesse su un giornale un articolo. Raccontava la storia di un cappuccino stigmatizzato che viveva sul Gargano. Sul giornale c’era anche una foto e il generale riconobbe il fraticello che gli aveva salvato la vita. Era il 1920. Luigi Cadorna volle andare a controllare di persona e partì per San Giovanni Rotondo. Arrivato al convento chiese di poter vedere padre Pio. Gli dissero di aspettare. Poco dopo ecco un gruppo di frati e tra essi il generale ne riconobbe uno. Era proprio quello della misteriosa visita a Treviso la notte del 9 novembre 1917. Gli si avvicinò tremando e padre Pio lo accolse con un sorriso dicendogli: «Generale, l’abbiamo passata veramente brutta quella notte...».
di Roberto Allegri, Il Settimanale di Padre Pio, N. 31/2023