Riguardo alla direttiva europea che obbligherà alla transizione elettrica delle auto dal 2035 le sfide sono molte, tra critiche sollevate e importanti vantaggi che non si possono negare. Ciò che rimane evidente è come l’UE sembra sempre più porsi come centro di diffusione di un umanesimo ateo.
Il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri (PD), ha ingaggiato una battaglia contro le fasce popolari dei romani per escludere dal traffico dell’Urbe le auto più vecchie e inquinanti, a causa delle note problematiche di smog della città che spesso portano a sforare i limiti di sicurezza delle polveri sottili nell’aria. L’obiettivo è fermare le auto fino alla categoria Euro 4, in particolare quelle a diesel. Confidando poi che si acquistino massicciamente auto elettriche, le quali sono però molto costose, non ancora affidabili e non prive di problematiche.
La risposta popolare è stata fortemente contraria e l’accusa è che la nuova sinistra non abbia la minima cognizione dei problemi dei ceti meno abbienti, con il PD caratterizzato ancora una volta come il partito della ZTL. Decine di migliaia di firme e numerose proteste hanno spinto Gualtieri a rimodulare la normativa. Eppure il progetto di Gualtieri in fondo non è che un tassello in una più vasta tendenza a regolare fortemente i comportamenti degli utenti in chiave ecologica. L’orizzonte è quello del 2035, data scelta dal parlamento e dalla commissione UE per bloccare la vendita di auto endotermiche, cioè a benzina o a diesel.
Premesso che il problema dell’inquinamento urbano da particolato è molto serio – in aree come la pianura Padana si stimano migliaia di morti anzitempo a causa delle polveri sottili [1], senza contare i gravi danni ai bimbi in fase fetale che sviluppano più spesso problemi neurocognitivi – rimane da capire quali saranno gli impatti di un salto così veloce verso una tecnologia non ancora matura. Vediamola poi da un punto di vista cattolico: sarà un bene smettere di finanziare le petro-monarchie islamiche del golfo come Arabia Saudita e Qatar, che poi spendono i soldi della nostra benzina a finanziare scuole coraniche e terroristi in mezzo mondo; però siamo sicuri che non ci andiamo a cacciare in un altro guaio? A chiederselo è stato persino il Washington Post, quotidiano USA di sinistra, che ha dedicato una serie di inchieste ai problemi delle auto elettriche (in sigla EV). In generale ci sono preoccupazioni riguardanti le problematiche delle batterie e della sostenibilità e sicurezza della rete elettrica. In particolare si studia l’impatto dell’estrazione delle materie prime su ambiente e popolazioni, lo smaltimento delle batterie, il rischio di incendi difficili da domare, la complessità della transizione dal modello endotermico a quello elettrico, la sicurezza in caso di eventi catastrofici come alluvioni e terremoti, i costi per gli acquirenti.
Il Washington Post il 10 maggio titola: «Per soddisfare la domanda di veicoli elettrici, l’industria si rivolge a una tecnologia a lungo ritenuta pericolosa. L’Indonesia è ricca di nichel, ma la raffinazione di questo minerale cruciale pone una sfida ambientale preoccupante» [2] e spiega: «Questa tecnologia, che utilizza acido in condizioni di calore e pressione intensi per rimuovere il nichel dal minerale grezzo, non è mai stata sperimentata prima in Indonesia, dove la frequenza di terremoti, forti piogge e frane può rendere particolarmente insidioso il trasporto e lo stoccaggio. Secondo le interviste a più di 40 persone che hanno familiarità con l’industria del nichel del paese, le visite a sei villaggi minerari nell’Indonesia orientale in gran parte isolati e le analisi visive di esperti del settore minerario, il processo comporta costi ambientali elevati che non sono ancora stati calcolati».
Proseguiamo: il principale materiale necessario alle auto elettriche è il litio, ma per produrre le batterie sono necessari anche altri materiali come il cobalto, il manganese e l’alluminio. In particolare, il giornale americano ha fatto un’altra inchiesta in Guinea Conacry nelle miniere di bauxite [3], materiale necessario per produrre l’alluminio. L’estrazione di bauxite può causare la distruzione delle foreste tropicali e la contaminazione dei fiumi. Inoltre, ci sono preoccupazioni riguardanti le condizioni di lavoro dei minatori e il rispetto dei diritti umani. Centinaia di chilometri quadrati, un tempo utilizzati per l’agricoltura, sono stati acquisiti dalle compagnie minerarie per le loro operazioni, mentre gli abitanti dei villaggi hanno ricevuto pochi o nessun indennizzo e sono spesso costretti allo sfollamento. La Guinea Conakry è uno dei paesi più poveri del mondo, ma possiede le più grandi riserve di bauxite. Secondo gli analisti del settore, entro il 2030 la domanda di alluminio aumenterà di quasi il 40%, raggiungendo 119 milioni di tonnellate annue. Difficile che i soldi finiranno ad aiutare lo sviluppo del paese.
Oltre alla questione dell’estrazione delle materie prime, c’è anche il problema dello smaltimento delle batterie che contengono materiali tossici come il piombo, il cadmio e il litio. Se queste sostanze vengono rilasciate in modo scorretto in natura, possono causare gravi danni alla salute umana e all’ambiente. Inoltre, la maggior parte delle batterie EV ha una vita utile di circa 8-10 anni. Dopo questo periodo devono essere sostituite e smaltite correttamente. Tuttavia, il costo dello smaltimento delle batterie è elevato e non esiste ancora un sistema globale di riciclo. Dove finiranno le batterie dei paesi ricchi? In discariche, nelle nostre aree abbandonate? O sfrutteremo paesi poveri che a basso costo raccoglieranno questi componenti, magari trattandoli poi senza alcun riguardo per l’ambiente e le popolazioni locali?
Inoltre, c’è il problema del rischio di incendi da batterie per EV. Sebbene sia raro, gli incendi delle batterie EV possono causare danni significativi. Questo è dovuto alle loro proprietà chimiche: possono surriscaldarsi e prendere fuoco se danneggiate o sottoposte a condizioni avverse. Gli incendi possono essere particolarmente pericolosi durante gli incidenti stradali oppure in contesti condominiali o di alta urbanizzazione, poiché questo tipo di batterie possono continuare a bruciare per ore dopo l’incidente, e in alcuni casi, anche dopo essere state messe in sicurezza, riprendono fuoco. Cosa succederà quando nei nostri garage ci saranno milioni di auto e moto a elettricità? Come garantiremo la sicurezza antincendio?
Oltre a queste problematiche, la transizione dal modello endotermico a quello elettrico presenta ulteriori sfide. Ad esempio, ci sono problemi legati alla distribuzione dell’energia elettrica, che dovrà probabilmente sdoppiare la rete per uso civile e quella per la mobilità. Inoltre le colonnine di ricarica (o in alternativa le stazioni di ricambio in cui ci sostituiranno al volo le batterie, insomma i benzinai del futuro) devono essere installate in tutto il paese per garantire una copertura adeguata. Cosa succederà se l’auto si ferma in una zona remota o se ci saranno dei blackout? Inoltre, è necessario che la rete di distribuzione sia aggiornata per supportare la maggiore domanda di energia elettrica. Ciò richiede una notevole quantità di investimenti in infrastrutture e tecnologie innovative. Con costi miliardari che i bilanci statali disastrati da Covid e guerra faticheranno a sostenere. Oltre a ciò, è necessario migliorare la capacità delle batterie e la loro durata, in modo da consentire una maggiore autonomia dei veicoli elettrici, altrimenti la stessa utilità di queste auto sarà scarsa. E la presenza di tecnologie sofisticatissime non renderà queste macchine molto più fragili? Staremo a vedere.
Infine, cosa succede quando si verificano eventi catastrofici come alluvioni o terremoti? Queste auto sono progettate per resistere e funzionare in situazioni di immersione nell’acqua ma ciononostante possono rilasciare gas tossici. Una singola auto immersa per metà in un fiume dovrebbe continuare ad essere funzionante, ma ci potrebbe essere un grosso problema con decine o centinaia di auto in un contesto urbano invaso dall’acqua. In caso poi di terremoto potrebbero esserci incendi a catena. Il problema maggiore in caso di catastrofe sarebbe comunque soprattutto quello dell’approvvigionamento energetico: infatti non producendo col motore a scoppio l’energia in sé, questi motori hanno bisogno di una rete. Ma se la rete è inaccessibile sono fuori gioco.
La direttiva europea che obbligherà alla transizione elettrica delle auto dal 2035 è stata criticata da molti esperti del settore automobilistico. Alcuni affermano che è troppo ambiziosa e che non è possibile raggiungere gli obiettivi stabiliti entro i tempi previsti. Inoltre, ci sono preoccupazioni riguardo alla disponibilità delle materie prime per produrre le batterie e la componentistica delle nuove auto e alla capacità delle case automobilistiche di soddisfare la domanda di veicoli elettrici entro il 2035. I prezzi schizzeranno alle stelle e larghe fasce della popolazione non potranno accedere ai nuovi veicoli.
Le sfide sono moltissime, a fronte di alcuni importanti vantaggi che non vanno negati. Quello che rimane evidente è l’arroganza, l’ambizione e la fiducia ingenua nello sviluppo della tecnica che i burocrati europei e i loro sinistri amici italiani nutrono. Il buon Dio, alle volte, manda qualche calamità proprio per rimettere al suo posto l’uomo che si vuole fare divinità tramite la tecnica. E l’Unione Europea sembra porsi sempre più come centro di diffusione di un umanesimo ateo e alla fine molto ingenuo.
Note
1) https://www.corriere.it/cronache/21_gennaio_22/pianura-padana-prima-europa-numero-morti-inquinamento-b822177a-5c9f-11eb-9977-f37e49990f1d.shtml
2) https://www.washingtonpost.com/world/interactive/2023/ev-nickel-refinery-dangers/
3) https://www.washingtonpost.com/world/interactive/2023/ev-battery-bauxite-guinea/