Tra i grandi paesi, l’Italia è quello in cui la ricchezza è cresciuta meno negli ultimi anni. L’andamento al ribasso si riscontra anche in rapporto al reddito ed è sempre più evidente la disuguaglianza sociale. Le previsioni per il futuro prospettano un peggioramento.
Dalla metà degli anni Novanta, i 25 milioni di italiani della popolazione adulta più poveri hanno visto la propria quota di ricchezza sul totale ridursi di circa tre volte e oggi hanno un patrimonio medio di circa 7.000 euro.
Attualmente quasi sei milioni di persone sono in povertà assoluta.
I rapporti Istat e Svimez raccontano di un’Italia che, anche per la pandemia, ha visto la povertà allargarsi sempre più a nuove fasce di popolazione: dai piccoli lavoratori autonomi ai piccoli artigiani, e tanto più nelle fasce di età più avanzate. Il virus ha ampliato fortemente le disuguaglianze delle persone in condizioni di indigenza. Ciononostante, nel nostro paese ancora solo il 10% dei trasferimenti pubblici va alle famiglie più povere mentre, ad esempio, in Francia tali sostegni economici ammontano al 20%. E più crescono le disuguaglianze più l’ascensore sociale rallenta con la prospettiva che la transizione ecologica, pur indispensabile, avrà costi elevati, che ricadranno sulle classi meno abbienti.
Secondo la Banca d’Italia, le famiglie italiane sono meno ricche e hanno debiti per 1.000 miliardi. Tra i grandi paesi l’Italia è quello dove la ricchezza è cresciuta meno negli ultimi anni. Infatti alla fine del 2021 la ricchezza netta delle famiglie italiane, sommando le attività reali (abitazioni, terreni, ecc.) e finanziarie (depositi, titoli, azioni, ecc.) era pari a 10.422 miliardi (176mila euro pro capite). La ricchezza è aumentata di oltre 300 miliardi a valori correnti, con una crescita del 3% rispetto all’anno precedente, ma in termini reali la ricchezza si è ridotta dell’1,1%, in controtendenza rispetto al 2020, quando era aumentata dell’1,7%. L’andamento al ribasso si riscontra anche in rapporto al reddito. Il confronto internazionale non è peraltro lusinghiero. Misurati in rapporto alla popolazione, quei 176mila euro di ricchezza netta pro capite delle famiglie era, alla fine del 2021, inferiore a quella di tutti gli altri paesi, ad eccezione della Spagna. Negli ultimi anni, soprattutto nel 2021, la crescita per l’Italia è stata infatti più lenta rispetto a quella degli altri paesi.
Questa situazione presumibilmente continuerà a peggiorare, perché l’inflazione ridurrà ulteriormente il potere di acquisto di stipendi e salari. Infatti nel 2022 i prezzi al consumo hanno registrato una crescita dell’8,1%: si tratta dell’aumento più ampio dal 1985 (+9,2%).
Le previsioni per quest’anno 2023, se i prezzi rimanessero stabili, sono del +5,1%.
Ma l’inflazione non è uguale per tutti. Nello scorso anno l’Istat ha valutato i diversi effetti dell’inflazione sulle famiglie, distinguendole per livelli di consumo, e dividendole in cinque classi (quinti) di pari numero: nel primo gruppo sono presenti le famiglie con la spesa mensile più bassa (i meno abbienti), nell’ultimo quelle con la spesa mensile più alta.
L’inflazione risulta pesare di più sulle famiglie del primo gruppo – quello con minori disponibilità economiche – rispetto a quelle del quinto gruppo. In particolare, per le famiglie del primo quinto, l’inflazione in media d’anno è di 9,7 punti percentuali passando da +2,4% del 2021 a +12,1% nel 2022, mentre per quelle del quinto gruppo, cresce da +1,6% del 2021 a +7,2% del 2022. Pertanto, rispetto al 2021, il peso inflazionistico tra la prima e la quinta classe si amplia a ben 4,9 punti percentuali. L’analisi degli andamenti mostra come, per le famiglie con minori capacità di spesa, l’inflazione cresca in maniera marcata sin dal primo trimestre dell’anno, passando da +4,7% dell’ultimo trimestre 2021 a +8,3%, proseguendo con accelerazioni di crescita sia nel secondo (+9,8%) che nel terzo trimestre (+11,6%) fino a portarsi a +18,4% nel quarto trimestre dell’anno.
Ma non basta perché alle differenze di reddito – ed i redditi più bassi sono nel Mezzogiorno d’Italia – si aggiungono le differenze geografiche. Anche per questa analisi, diviso il paese in cinque aree, l’inflazione incide di più nelle isole (rallentamento da +14,1% a +13,9% ed in città come Catania [+14,7%], Palermo [+14,6%] e Messina [+13,9%]).
A causa di questa situazione così pesante, gli italiani stanno tagliando tutti i consumi che vanno dai viaggi, al tempo libero fino alle spese mediche. Emerge cioè una preoccupazione crescente, tanto da innescare tagli a tutta la spesa.
La maggior parte degli italiani infatti pensa che l’inflazione durerà nel tempo, con aumenti costanti e che il generale aumento dei prezzi inciderà anche in futuro sulle scelte di consumo della propria famiglia. Molti italiani hanno deciso di posticipare o cancellare spese che avevano messo in programma di sostenere proprio a causa del caro prezzi. Un terzo ha addirittura rinunciate alle spese sanitarie, come il dentista, interventi chirurgici o visite di controllo. Tanti dicono di aver cancellato o rimandato acquisti di beni elettronici, di elettrodomestici o arredi. C’è chi rinuncia alle spese per l’abbigliamento, mentre tra i pochi che avevano programmato l’acquisto di gioielli o di automobili, solo una piccolissima minoranza dichiara di volerli portare a termine. Molti italiani faranno viaggi e vacanze più brevi, con destinazioni più economiche o più vicine. La metà dei nostri concittadini ridurrà anche le spese per la cura della persona (l’estetista o il parrucchiere). Solo pochi pensano che la propria situazione non cambierà.
È una situazione pesante quella che sta vivendo l’Italia, per cui ha fatto bene il governo della Meloni ad aprire a tutti i corpi sociali e a rilanciare il dialogo con le forze sindacali a partire dalla CGIL, al cui congresso il Presidente del Consiglio è stato invitato e parteciperà.