RECENSIONI
Militi di Cristo
dal Numero 11 del 12 marzo 2023
di Fabrizio Cannone

Guerre da combattere e crociate da sostenere? Sembra non ve ne siano più ai nostri giorni, eppure non è così. La vita cristiana va intesa anche come “esercito” e “milizia spirituale” sempre in azione.

La guerra, la malattia e la morte sono tra le cose più brutte, assurde e ansiogene che l’uomo deve patire sulla terra, a causa della maledizione di Adamo. È pur vero che, se la causa del male è sempre il bene – perché senza un bene previo il male non si darebbe – il male può e deve essere fonte di vari beni per noi cristiani. E quindi, pur non desiderando mai né la guerra né la malattia né la morte, ma anzi lottando per la pace e la salute (fisica e psicologica) di tutti, dobbiamo trarre insegnamenti, lezioni di vita e perfino esempi di virtù dalle morti e dalle guerre. Del passato, del presente e del futuro.
Due trattatelli classici ci insegnano a vivere quella che da Sun Tzu in poi è stata chiamata l’arte della guerra. Sia per vincere ogni «guerra giusta», come la chiama il Catechismo della Chiesa Cattolica di san Giovanni Paolo II (n. 2309), e se è giusta è anche legittima, quindi meglio vincerla che perderla o fuggirla; sia per vivere al meglio la vita militare (e militante) che da patrioti e da cristiani, dovremmo concepire come un servizio disinteressato al bene comune. Insegna difatti il Catechismo della Chiesa Cattolica che «coloro che si dedicano al servizio della patria nella vita militare [come polizia, carabinieri, finanzieri, marina e cappellani] sono servitori della sicurezza e della libertà dei popoli» (n. 2310).
Il primo testo (Charles de Gaulle, Il filo della spada, Oaks, 154pp) è un breve manualetto per i soldati e per gli amanti della “vita come milizia”. Scritto da Charles de Gaulle (1890-1970), che fu tenente nella prima Guerra mondiale (ferito a Verdun), capo della resistenza all’occupazione nazista della Francia (1940) e poi presidente della repubblica francese.
Come spiega l’ex ambasciatore Sergio Romano nell’introduzione, de Gaulle era convinto che le doti principali in guerra fossero «l’intuizione, l’istinto, l’audacia». Pétain, eroe della Grande Guerra, lo apprezzava e lo invitava «a tenere conferenze, a pubblicare i suoi articoli» (p. IV).
Romano non fa cenno alla famiglia dell’Autore, definita da Wikipedia, come «cattolica, nazionalista e di origine aristocratica». Una sintesi, se si vuole, dell’ancienne France e della Francia eterna (Maurras) che la secolarizzazione, l’islamizzazione e la Massoneria hanno cancellato. Il futuro presidente, quindi, parla qui alla luce della secolare tradizione di difesa della patria e della bandiera che era lustro e vanto della gioventù d’Europa di epoca moderna.
De Gaulle critica il pacifismo, il moderatismo, esalta le virtù militari e l’eroismo, cita il cardinale di Retz che scrisse che «le leggi disarmate cadono nel disprezzo» (p. 11). Incoraggia le élite militari a riprendere coscienza del loro “ruolo preminente”, recuperando la tradizione della vita militare più autentica.
Non però di militi tutti muscoli e niente cervello c’è bisogno, poiché, secondo lui, «tutti i grandi uomini d’azione furono sempre portati alla meditazione» (p. 23).
Il conte Alfred de Vigny ci parla dei suoi 20 anni di vita militare (Alfred de Vigny, Servitù e grandezza militare, Oaks, 242pp). Delle «interminabili guardie», delle «veglie negli accampamenti e nelle caserme», dei «sogni di una gloria conquistata nel fragore della battaglia». Insomma, di «tutto il grande e fanciullesco mito alimentato dalla tradizione famigliare», come sintetizza, nell’introduzione, Bruno Nacci. Che definisce il libretto come una «incessante meditazione sul mestiere delle armi» (p. 10).
Si riconosce però che oltre alla gloria della patria e all’onore del soldato – ben definito come «pudore virile» – fa da contraltare l’idea che «la guerra è maledetta da Dio». Per Vigny, un po’ credente un po’ agnostico, c’è una somiglianza tra la caserma e il convento, tra l’ascetica militare e l’ascesi religiosa. Descrive infatti la vita del soldato come caratterizzata da semplicità di costumi, gioiosa povertà e abnegazione purificatrice. I reggimenti, scrive, sono «conventi di uomini, conventi nomadi». In cui si fanno, in qualche modo, voti di povertà e di obbedienza.
L’antico motto dell’Azione Cattolica, definita “esercito” e “milizia spirituale” da Paolo VI, era “Preghiera, Azione, Sacrificio”. Se la preghiera fa oggi difetto, forse ancor di più sono carenti l’azione e il sacrificio. Perché sembra a molti che non ci siano più guerre da combattere o crociate da sostenere. Ma così non è...
L’esperienza dei valenti soldati di ieri generi in noi il desiderio ardente di far parte delle ardite schiere del Signore nel secolo XXI, accese dall’amore di Cristo, della fede, della Chiesa e dell’Italia, nostra unica patria terrena.  

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