La Rivoluzione francese è ben lontana dall’essere il trionfo del popolo e dei suoi pseudodiritti di libertà, uguaglianza e fraternità come abbiamo studiato a scuola. La storia, quella vera, è un’altra e la rintracciamo attraverso il cruento martirio del piccolo Luigi XVII.
La narrazione e la spiegazione della Rivoluzione francese continua ad essere, fuori e dentro le scuole, pessima, tutta rivolta ad inneggiare il pensiero illuminista e giacobino che ha “liberato” la Francia dalla tirannia del re e della Chiesa per volontà della stessa popolazione. Il genocidio vandeano – degli abitanti della regione bagnata dal fiume Vendée nel dipartimento francese dei Paesi della Loira rimasti fedeli all’istituto monarchico e a Santa Romana Chiesa – ha inaugurato la stagione dei genocidi del Novecento.
Non è stata la popolazione di Francia a volere la Rivoluzione, bensì un manipolo di intellettuali e di politici di Parigi che, in nome delle laiche libertà, uguaglianza, fraternità e della dea ragione, stimolati dalle idee di Voltaire e di Rousseau – capisaldi della filosofia e della pedagogia secolariste e positiviste –, ha avviato in tutto l’Occidente una tempesta distruttiva dei valori tradizionali secondo il diritto di Dio e il diritto di natura, e le cui conseguenze sperimentiamo ancor oggi con grande potere distruttivo.
Fra le tante omissioni storiche, letterarie e culturali nella conoscenza dei molteplici atti criminali perpetrati all’epoca contro la civiltà cristiana, ricordiamo il martirio subito dal piccolo sovrano Luigi XVII, nato a Versailles il 27 marzo 1785. Era il terzo figlio di Luigi XVI e di Maria Antonietta d’Asburgo-Lorena, che furono decapitati dai terroristi giacobini, degni padri di Hitler, Stalin, Mao, Pol Pot, tutti operanti contro il Regno di Dio e i suoi figli, perseguitati, torturati, uccisi e anche martirizzati.
Le persecuzioni religiose della Rivoluzione avevano il preciso obiettivo di sradicare il Cristianesimo in Francia e causarono un elevato numero di vittime, fra cui il lasalliano Salomone Leclerq (1745-1792) dei “Fratelli delle Scuole cristiane”, beatificato da papa Pio IX nel 1926 insieme ad altri martiri del settembre 1792 (3 erano vescovi o arcivescovi, 127 del clero secolare, 56 appartenenti a Congregazioni e Ordini religiosi) e canonizzato da papa Francesco nel 2016. Fra i molti martiri possiamo annoverare, benché ancora non riconosciuto, il martirio del piccolo re Luigi XVII. Dalla morte del padre nel 1793, fu considerato re di Francia e di Navarra dai monarchici francesi e dalle corti europee, anche se di fatto si trovava ancora imprigionato dai repubblicani, infatti suo zio assumerà successivamente il nome di Luigi XVIII.
Il 10 agosto del 1792, un mese prima dell’abolizione della monarchia, Luigi Carlo venne trasferito insieme alla sua famiglia dapprima al convento cistercense dei Foglianti di Rue Saint-Honoré a Parigi, e dal 12 agosto nella prigione della Torre del Tempio – un antico edificio medievale costruito dai Templari –, mentre Luigi XVI venne separato dal resto dei componenti della famiglia reale per essere processato nel dicembre di quello stesso anno. Dopo la morte del padre, ghigliottinato il 21 gennaio 1793, il delfino Luigi Carlo fu quindi riconosciuto dai monarchici espatriati come nuovo sovrano. Il 3 luglio dello stesso anno, il bambino venne allontanato dalla madre per essere affidato alle “cure” di Antoine Simon, un ciabattino analfabeta e spietato che aveva il compito di educarlo da repubblicano.
Il reale obiettivo della prigionia di Luigi XVII e della sua mancata uccisione da parte dei rivoluzionari era quello di colpire sua madre Maria Antonietta: cercarono in tutti i modi, anche con le sevizie, di costringere il piccolo a testimoniare contro la madre al suo processo per alto tradimento. Fu persino costretto a firmare una falsa dichiarazione in cui di suo pugno accusava la madre e la zia, Madame Élisabeth (1764-1794), sorella di Luigi XVI, candidata all’onore degli altari con il titolo di serva di Dio, di averlo iniziato a pratiche impure.
L’utilità del bambino venne dimenticata dopo la morte della regina, ghigliottinata il 16 ottobre del 1793. Il crudele Simon, suo tutore, lasciò la Torre del Tempio il 19 gennaio 1794 e Luigi XVII fu visitato da un medico e dichiarato in “ottima salute”. Due giorni dopo, la sua stanza nella Torre del Tempio fu blindata, lasciando aperta solo una piccola fessura nella porta per passare il cibo al prigioniero e tutti si disinteressarono completamente di lui. Quel terribile carcere, in un luogo malsano, gli provocò febbre e disturbi vari che, uniti alla malnutrizione e all’impossibilità di difendersi dai parassiti, minarono irreversibilmente le sue condizioni psicofisiche.
Il visconte Paul Barras (1755-1829), principale capo del direttorio che governò la Francia fra il 1795 e il 1799, nonché leader dei Termidoriani [1] fra il 1794 e il 1795, lo visitò il 9 termidoro (27 luglio 1794), e descrisse le sofferenze del fanciullo. Di quei tragici giorni restano le memorie [2], scritte in carcere, della sorella primogenita Maria Teresa (1778-1851), piene di crudo realismo e ricche di dignità, dove non c’è ombra di odio nei confronti degli aguzzini.
«Si aveva avuto la crudeltà di lasciar solo il mio povero fratello – scrive –; barbarie inaudita; di cui certo non si ebbe mai l’esempio. Abbandonare così un infelice fanciullo di 8 anni, già malato, e tenerlo chiuso nella sua camera, sotto chiave e chiavistello, senza altro soccorso che un cattivo campanello che egli non suonava mai, tanto aveva terrore della gente che avrebbe chiamato, preferendo mancare di tutto, che domandare la più piccola cosa ai suoi persecutori. Egli stava in un letto che non era mai stato rifatto da più di sei mesi e che egli non aveva più la forza di rifare; le pulci e le cimici lo coprivano; la biancheria e la sua persona ne erano piene. Non gli erano cambiati calze e camicie da più di un anno! Le sue feci restavano nella camera [...]. La sua finestra, chiusa a catenaccio, e con sbarre, non veniva mai aperta e non si poteva restare in quella camera per l’odore infetto. [...] Lo sventurato fanciullo moriva di paura [...] tanto lo facevano tremare Simon e gli altri guardiani» (pp. 96-97).
Nei ricordi di quell’ecatombe parigina emerge la splendida figura della zia, la serva di Dio Madame Élisabeth, anche lei prigioniera al Tempio e che venne decapitata il 10 maggio 1794 all’età di 30 anni. Fino all’ultimo rimase ferma nella preghiera e nel rispetto della Quaresima: non potendo avere pesce, chiese delle uova o altri piatti per i giorni di magro; ma essi «rifiutarono dicendo che per l’eguaglianza non vi era più differenza nei giorni; non vi erano più settimane, ma decadi. Ci dettero un nuovo almanacco che non guardammo. Un altro giorno che mia zia chiese ancora di mangiar di magro, le si rispose: “Ma cittadina, tu non sai che cosa avviene: non ci sono più che gli sciocchi che credono a queste cose”» (p. 98). Allora lei, per tutta la Quaresima detentiva si privò di tutto, non faceva colazione, che riservava per il pranzo (una tazza di caffè e latte), e la sera si nutriva di pane e acqua: «Essa mi ordinò di mangiare tutto ciò che mi portavano non avendo io l’età per poter fare astinenza [3], ma per lei non vi era nulla di più gradito; dal tempo in cui le avevano rifiutato il cibo di magro, essa non aveva mai interrotto i doveri della Religione» (ibidem).
Luigi Carlo morì l’8 giugno 1795, all’età di 10 anni, a motivo della salute irrimediabilmente compromessa. Il giorno successivo, il dottor Pelletan si occupò dell’autopsia, dichiarando che il detenuto era morto di infezione scrofolosa, da tempo infestante, associata alla tubercolosi. Il 10 giugno la salma venne sepolta nel cimitero di Sainte-Marguerite, in una tomba senza nome; altre tesi sostengono che qui non trovò mai sepoltura. Ad oggi i suoi resti risultano dispersi. Il medico legale Pelletan, con l’intento di trarre guadagno pecuniario, portò segretamente e illegalmente fuori dal carcere il cuore dell’innocente vittima. Con la Restaurazione borbonica, il medico tentò di vendere la reliquia dapprima a Luigi XVIII e poi a Carlo X, ma entrambi non credettero alla veridicità di quel cuore. Dopodiché fu rubato da uno degli studenti del medico, che confesserà il furto in punto di morte, chiedendo alla moglie di restituirlo alla famiglia Pelletan. Invece la consorte decise di donare il cuore all’arcivescovo di Parigi, Hyacinthe-Louis de Quélen (1778-1839), che lo conservò nell’arcivescovado fino alla Rivoluzione del 1830. Quando la cattedrale venne saccheggiata, il cuore di Luigi XVII passò di mano in mano fino ad arrivare in Spagna a Carlo duca di Madrid (1848-1909), nel 1895, e poi trasferito al castello di Frohsdorf, nei pressi di Vienna, in Austria. Dopo alcuni altri spostamenti, nel 1938 pervenne all’infanta Maria das Neves del Portogallo (1852-1941), regina consorte titolare di Spagna, Francia e Navarra, per tornare finalmente a Parigi nel 1975 e trovare degna collocazione in un luogo sacro: la gotica basilica di Saint-Denis. Il monumento funebre che riporta l’effigie del martire e il cuore del piccolo re, custodito in un’urna di cristallo e oro, è costante meta di pellegrinaggi di monarchici e cultori della Tradizione della Chiesa.
Note
1) I Termidoriani sono i principali esponenti che nel 1794 hanno aderito alla congiura contro il comitato di salute pubblica con a capo Robespierre. Il loro nome deriva dal mese del calendario rivoluzionario francese in cui si è verificato il complotto, ossia il termidoro (corrispondente al periodo tra luglio e agosto) [ndr].
2) Maria Teresa di Francia duchessa d’Angoulême, Racconto degli avvenimenti accaduti al Tempio dal 13-8-1792 fino alla morte del delfino Luigi XVII, con traduzione, note e commento di Luigi Ugolini, Casa Editrice Ceschina, Milano 1964.
3) Maria Teresa, nel 1794, aveva 16 anni.