L’invito a Zelensky al Festival di Sanremo lascia perplessi, ulteriore conferma dell’asservimento dei mass media e dell’industria musicale all’ideologia progressista ormai dominante. L’evento ci offre l’occasione per alcune riflessioni.
Non sorprende che il palcoscenico del Festival di Sanremo diventi una passerella per veicolare personaggi che lanciano messaggi ideologici. Non è la prima volta che la manifestazione canora più importante d’Italia prepara un effetto politico ad alta risonanza mediatica; ad esempio, accadde già anni fa con l’ospitalità concessa a Gorbaciov. Quest’anno era stato annunciato prima l’arrivo di Zelensky, poi, probabilmente in seguito alle numerose proteste, l’iniziativa è stata ridimensionata e il presidente dell’Ucraina si limiterà semplicemente ad inviare un messaggio scritto al teatro Ariston.
Molti si chiedono cosa mai un capo di Stato abbia da dire in uno spettacolo che incolla alla televisione milioni di ascoltatori per assistere alla kermesse di nuove canzoni italiane.
Prendiamo spunto da questo evento per una pacata riflessione.
Il suo scritto mira senza dubbio ad ottenere un risultato politico. Presumibilmente, ringrazierà per gli aiuti già ricevuti e chiederà un’ulteriore assistenza militare e armamenti di ogni genere.
L’iniziativa conferma la sottomissione, il cieco asservimento dei mass media e dell’industria musicale all’ideologia progressista ormai dominante in Occidente, fino al punto di smentire il generale sentimento del popolo italiano. Se un tempo essi erano pacifisti ad oltranza, invitando a “mettere fiori nei nostri cannoni”, oggi, al rovescio, si vorrebbe “mettere cannoni tra i nostri fiori”, quelli del Festival sanremese.
L’invito a Zelensky lascia alquanto perplessi, perché le indagini statistiche rivelano che gl’italiani sono nettamente divisi sul come valutare la guerra russo-ucraina; anzi, essi sono in maggioranza contrari al fatto che il nostro governo contribuisca attivamente ad armare lo Stato ucraino, come stanno facendo da mesi i vertici di altri paesi.
Infatti, gl’italiani pensano che sia impossibile favorire la pace in quella delicata zona armando uno dei due contendenti, sia pure quello più debole perché aggredito militarmente. Essi pensano che bisognerebbe invece convincere il capo ucraino a permettere che si svolgano trattative diplomatiche che portino a una tregua e possibilmente anche alla pace.
Pertanto, sia l’industria canora della RAI sia la stampa devono ricordarsi che il Festival sanremese non può diventare una faziosa tribuna di guerra, ma deve rispettare la propria funzione pacificatrice e le convinzioni degli italiani.
Il sostegno militare all’Ucraina ha una motivazione non tanto strategica quanto ideologica: infatti, l’invio di armi a Kiev, ben lungi dal convincere Mosca ad avviare negoziati, ha esasperato il conflitto e affossato ogni trattativa di pace.
Appare strano, oltretutto, che i dirigenti dell’Unione europea e della NATO non definiscano un limite territoriale minimo per avviare seri negoziati diplomatici che favoriscano la pace. Infatti, è fin troppo chiaro che la pretesa di riottenere i territori conquistati, avanzata dal presidente ucraino, sarà fallimentare.
Viene quindi il sospetto che si voglia alimentare un’escalation del conflitto, trasformandolo da locale a globale, mediante l’intervento diretto dei paesi che stanno modellando la geopolitica dell’Occidente.
Stando così le cose, bisogna smetterla col fanatismo, con la propaganda bellica e con l’incitare uno dei due contendenti a trarre le peggiori conseguenze della propria posizione. I torti o le ragioni non stanno quasi mai solo da una parte. La soluzione più praticabile può essere solo quella di ricondurre sentimenti, passioni e appetiti alla moderazione e al rispetto delle regole del diritto internazionale.