Lo scorso 31 dicembre Benedetto XVI ha lasciato questa terra d’esilio. Con sentimenti di profonda riconoscenza e affetto filiale, vogliamo a volo d’uccello ripercorrere con i Lettori alcune importanti tappe del suo pontificato.
Cosa poter aggiungere ai fiumi di inchiostro che sono stati usati per commemorare la vita di un gigante e di un pontefice speciale come Benedetto XVI?
C’è poco da aggiungere, proprio perché ci sarebbe troppo da dire. Vogliamo allora ricordare cinque perle del suo pontificato (2005-2013).
1. Il discorso sul Concilio del 22 dicembre 2005
In quel magistrale discorso, tenuto alla Curia Romana, ovvero al senato della Chiesa, Benedetto XVI metteva la parola fine all’uso e all’abuso dell’ultimo Concilio ecumenico (1962-1965) contro la Tradizione. A 40 anni dalla chiusura del Vaticano II, Benedetto si poneva delle domande sino ad allora non autorizzate nella Chiesa: «Qual è stato il risultato del Concilio? È stato recepito nel modo giusto? Che cosa, nella recezione del Concilio, è stato buono, che cosa insufficiente o sbagliato?».
La costatazione era che, al di là dell’ottimismo per principio di alcuni, «nessuno può negare che, in vaste parti della Chiesa, la recezione del Concilio si è svolta in modo piuttosto difficile». E questo perché «i problemi della recezione sono nati dal fatto che due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro. L’una ha causato confusione, l’altra, silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato frutti».
Chi lo ha interpretato alla luce della Tradizione e nella continuità dello stesso soggetto Chiesa, lo ha ben interpretato, e ha portato frutti. Ma chi lo ha usato come simbolo ed inizio di una nuova Chiesa, lo ha deformato. Anche se magari, mentre faceva ciò, si riempiva la bocca con la parola magica “Concilio”.
«Da una parte esiste un’interpretazione che vorrei chiamare “ermeneutica della discontinuità e della rottura”; essa non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass media, e anche di una parte della teologia moderna». E questa falsa interpretazione, falsa e divisiva, «rischia di finire in una rottura tra Chiesa pre-conciliare e Chiesa post-conciliare».
Chissà come mai i media del secolarismo e la parte più “avanzata” della teologia, hanno appoggiato questa falsa interpretazione.
Al contrario coloro i quali sanno che la Chiesa è più di un Concilio e che Cristo è più della Chiesa sono coloro che hanno voluto, secondo le parole di Giovanni XXIII, citate da Benedetto, «trasmettere pura ed integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamenti».
2. La lectio magistralis di Ratisbona del 12 settembre 2006
In quella celebre lezione, al di là delle polemiche causate dai laicisti e da parti del mondo islamico, il Papa ha definitivamente chiarito il rapporto tra fede e ragione, che è parallelo al rapporto tra scienza e religione.
Dice il Papa che, alla luce della Rivelazione cristiana, «non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio». E Dio ha una natura stabile, universale, immutabile. E anche l’uomo partecipa di questa stabilità. Quindi la legge di ragione, da osservare, è la stessa legge di natura. E questa duplice legge, in verità unitaria, è la volontà di Dio che si esprime nella nostra coscienza di esseri ragionevoli.
«In principio era il logos, e il logos è Dio», afferma il Papa. Il Cristianesimo è quindi la Religione della razionalità e della scienza, la quale non valichi però i limiti della coscienza.
Da qui l’importanza dell’inculturazione della teologia nel pensiero filosofico greco, che gli eretici, da Lutero sino ad Hans Küng, hanno sempre rigettato.
«L’incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco non era un semplice caso». È stato provvidenziale. Contro quel che Benedetto XVI chiama la «de-ellenizzazione del Cristianesimo» bisogna opporre una necessaria “re-ellenizzazione del Cristianesimo”. Altrimenti per la fede liquida e al passo coi tempi è già game over.
3. Il Motu proprio Summorum Pontificum del 7 luglio 2007
Il Vaticano II si è aperto e si è chiuso con la liturgia di san Pio V, comunemente detta “Messa in latino”. Ma nel 1969 Paolo VI, sollecitato da più parti, promulgò una nuova liturgia cattolica, non meno valida della precedente. Ma per le ragioni sopra viste (sia la de-razionalizzazione del Cristianesimo, sia l’ermeneutica della rottura) questa riforma fu occasione di abusi, corse in avanti e liturgie, come scrive il Papa, «al limite del sopportabile» [1].
Con il Motu proprio Benedetto ha ricordato che «nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura». Anche perché, «ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente proibito o, addirittura, giudicato dannoso» [2].
Per il Papa esistono «due espressioni della lex orandi della Chiesa», «due usi dell’unico rito romano» (art. 2). Se possono variare le rubriche, le lingue usate o gli ornamenti, questa dottrina liturgica è ormai definitiva e nessuno può far finta che non esista, magari per completare «quel che manca» (Col 1,24) alla nefasta “ermeneutica della discontinuità”.
Contro il crollo di sacerdoti e monaci, l’antica prassi liturgica in latino è all’origine di nuove comunità religiose, rilancio di Istituti sacerdotali, pacificazione tra i fedeli, incremento dell’evangelizzazione, specie nel mondo della cultura e della scienza.
Se il «Messale Romano promulgato dal b. Giovanni XXIII nel 1962» (art. 1) è dichiarato «mai abrogato» nel 2007, esso non è abrogato (né abrogabile) neppure nel 2023.
4. La Costituzione Apostolica Anglicanorum cœtibus del 9 novembre 2009
I fautori della discontinuità e del secolarismo, coperti dietro un Concilio che non esiste, hanno inteso l’ecumenismo come un dialogo tra cristiani e tra credenti per conoscersi, fare del bene, pregare assieme, unire le forze contro l’ateismo, ecc. Ora il dialogo voluto dal Concilio è questo, ma anche altro.
La Costituzione Anglicanorum cœtibus prevede la creazione di «Ordinariati Personali per Anglicani che entrano nella piena comunione con la Chiesa Cattolica» (I, § 1). I quali accettano l’integralità della fede e della morale cattolica, con tutti gli sviluppi recenti, come è contenuta nel Catechismo della Chiesa Cattolica (I, § 5).
Il messaggio è chiaro. Tutti i cristiani non cattolici, tutti i membri di altre religioni, tutti i non credenti, tutti gli esseri umani sono chiamati ad entrare nell’unico Ovile di Cristo, nella nuova Arca della salvezza [3]. Il cui guardiano, successore dell’apostolo Pietro, sta a Roma.
5. Il testamento spirituale
Lo stesso giorno della morte, Avvenire ha pubblicato il breve e intenso testamento spirituale del Papa. Pieno di riflessioni personali, ricordi di famiglia, amore per la Baviera e per l’Italia, definita la sua «seconda patria».
Dio è chiamato il «dispensatore di ogni buon dono». Lo ringrazia per i genitori, il fratello, la sorella. Chiede ai suoi compatrioti tedeschi di non farsi «distogliere dalla fede». E dopo una breve confutazione, alla Ratzinger, della falsa scienza e della cattiva teologia (di taglio liberale, esistenzialista e marxista), ribadisce la «ragionevolezza della fede».
E al mondo ateo e irrazionale che vediamo sorgere ovunque, ripete: «Gesù Cristo è veramente la via, la verità e la vita – e la Chiesa, con tutte le sue insufficienze, è veramente il Suo corpo».
Note
[1] Papa Benedetto XVI, Epistula Episcopos Catholicæ Ecclesiæ Ritus Romani, 7 luglio 2007, in AAS 99 (2007) 796.
[2] Idem, Lettera ai Vescovi in occasione della pubblicazione della Lettera Apostolica “Motu Proprio Data” Summorum Pontificum, 7 luglio 2007.
[3] Cf san Paolo VI, Decreto Apostolicam actuositatem, 18 novembre 1965, n. 2.