Esistono protocolli, dichiarazioni e studi che parlano con disinvoltura dell’uso – anche in Italia – di tessuti fetali nella ricerca scientifica per i trapianti a fini terapeutici. Stando alle espressioni usate, il dubbio che i bambini, prima di essere uccisi, siano partoriti vivi è fondato e agghiacciante. Ecco l’ultima aberrazione cui conduce il falso diritto dell’aborto.
Da una recente ricerca della redazione di Notizie ProVita & Famiglia risulta che anche in Italia, non solo vengono fatti esperimenti sui bambini abortiti, e specialmente sui bambini abortiti tardivamente, ma sembrerebbe anche che per la miglior riuscita di questi esperimenti essi vengano abortiti vivi.
Ci teniamo a specificare che da un punto di vista morale tra un aborto volontario e un infanticidio non c’è alcuna differenza. Tra la soppressione di un embrione concepito da pochi giorni e l’uccisione di un bambino neonato cambia solo la percepibilità della vittima agli occhi di chi osserva. Infatti, i bioeticisti (come Giubilini e Minerva) che sostengono l’“aborto post-nascita” sono perfettamente coerenti, nei loro cinici ragionamenti. Vorremmo che, anziché chiamare l’infanticidio “aborto post-nascita”, si chiamasse l’aborto “infanticidio pre-nascita”.
Fatta questa premessa, apprendiamo che, il 5 maggio 2021, nel corso di un’audizione alla commissione salute della Camera della Pennsylvania sull’uso di tessuti fetali nella ricerca scientifica, il neuro-oncologo Jeremy Rich (dell’Università di Pittsburgh) ha dichiarato: «La ricerca sull’isolamento di cellule umane fetali è stata condotta solamente in Italia». Si riferiva all’Ismett, l’Istituto mediterraneo per i trapianti e le terapie ad alta specializzazione di Palermo, gemellato proprio con l’Università di Pittsburgh, dove con i finanziamenti della regione Sicilia e del Ministero per l’innovazione e la tecnologia si iniettano ad adulti in attesa di un trapianto di fegato cellule epatiche di feti abortiti (volontariamente) all’Ospedale Civico di Palermo. Le tecniche per il prelievo e l’isolamento sono illustrate in uno studio del 2011 a firma del dottor Bruno Gridelli: «I risultati dell’isolamento cellulare che presentiamo qui si basano sull’uso di tessuto epatico di età gestazionale tra la diciottesima e la ventiduesima settimana [...]. Il nostro protocollo è stato eseguito con un’induzione farmacologica del parto: il travaglio è stato indotto mediante amministrazione locale di prostaglandine. [...] I campioni sono stati inseriti in buste sterili contenenti la soluzione di conservazione per il fegato dell’Università del Wisconsin e ogni campione è stato trasportato con del ghiaccio immediatamente dopo l’aborto per minimizzare il tempo di trasferimento prima dell’isolamento cellulare».
Non si specifica con quale metodo sia stato ucciso il bambino prima di indurre il travaglio, se l’aborto è un aborto. Dobbiamo pensare che sia stato partorito vivo? Lo abbiamo chiesto all’Ismett con una mail in data 4 maggio 2022, ore 8.23, ma fino ad ora non abbiamo ottenuto alcuna risposta.
Nell’articolo compaiono con inquietante frequenza l’aggettivo “fresh” e l’avverbio “freshly”, che si può tradurre in italiano con “appena ottenuto”. Il dubbio che i bambini siano stati partoriti vivi è agghiacciante: si parla di “feti intatti” che non possono essere uccisi con le sostanze di solito utilizzate negli aborti del secondo e terzo trimestre (digossina o cloruro di potassio), perché le cellule di cadaveri (soprattutto se uccisi con sostanze tossiche) sono inutilizzabili nei trapianti a fini terapeutici.
Nel 2019 le ricercatrici dell’Ismett Giada Petrosi e Cinzia Chinnici avevano pubblicato un protocollo per il trapianto di epatociti fetali negli adulti, allegando foto della dissezione di un feto, che appare roseo e ben vascolarizzato, ben diverso dai cadaveri di feti abortiti. L’articolo è stato pubblicato in una monografia a pagamento, ma le foto sono visibili in un video postato lo scorso maggio dal Center for medical progress, l’associazione di giornalisti fondata da David Daleiden che nel 2015 sconvolse l’America (e non solo) con l’inchiesta sul traffico di organi di bambini abortiti organizzata dalle cliniche della Planned Parenthood Federation.
Esperimenti sul trapianto di tessuti fetali ad adulti con insufficienza epatica sono stati eseguiti anche all’Università La Sapienza; in uno studio pubblicato nel 2014 dal team del professor Vincenzo Cardinale si legge: «Le pazienti hanno firmato il consenso alla donazione dopo l’inizio dell’aborto con la somministrazione del farmaco per l’induzione del parto». Abbiamo chiesto con e-mail del 4 maggio copia dei consensi informati in questione, ma il messaggio è più volte tornato indietro perché «la casella di posta del destinatario potrebbe essere piena».
Prosegue Cardinale: «Per evitare un’ischemia prolungata abbiamo monitorato il battito cardiaco fetale ogni tre ore durante la procedura abortiva. I fegati fetali sono stati ottenuti immediatamente dopo il parto e trasportati in valigette refrigerate per il trasporto di organi». Anche queste affermazioni fanno sorgere il dubbio atroce che i bambini siano stati abortiti vivi.
C’è poi da rilevare che il trapianto di tessuti fetali non solo non produce miglioramenti clinici significativi, ma ha anche gravi effetti collaterali, come reazioni di rigetto, migrazione in sedi diverse o evoluzione in cellule diverse da quelle desiderate.
Negli USA lo hanno ammesso apertamente che i bambini venivano abortiti vivi appositamente per prelevare organi freschi: fin dagli anni ’60, Davenport Hooker, che lavorava proprio all’Università di Pittsburgh, per trent’anni ha analizzato i riflessi tattili e prensili di 149 feti rimossi, con cuore ancora palpitante, dal corpo delle madri tramite isterectomie eseguite al Magee Womens Hospital. E il giornalismo investigativo di Daleiden ha portato prove più recenti.
Allora: la recente sentenza della Suprema Corte degli Stati Uniti, che ha fatto gioire i pro life americani e non solo, porrà fine a tutto questo? Da sola non basta. Come certamente i Lettori avranno appreso, la sentenza in questione non ha abolito l’aborto, né ha sancito alcuna tutela nei confronti dei bambini nel grembo. Ha però chiarito che la legalizzazione o meno dell’aborto è una questione che deve esser decisa dal popolo sovrano: sta ai parlamenti dei singoli stati federati emanare leggi in materia: non esiste alcun “diritto all’aborto” nella Costituzione americana. La sentenza quindi non è “buona” in sé. È ottima per quegli Stati in cui il lavoro paziente e perseverante dei pro life ha svegliato le coscienze dell’opinione pubblica che ha portato in Parlamento legislatori più o meno pro life che hanno varato norme che limitano la libertà di abortire, dove più, dove meno. Negli Stati in cui è lecito l’aborto fino al momento della nascita, nulla – purtroppo – cambia. Né cambia alcunché dove è possibile fare esperimenti sui bambini piccoli...
Certamente, però, da un punto di vista politico è stato un brutto colpo per i cultori della morte: si vede dalle reazioni violente e scomposte che si sono scatenate contro i centri di aiuto alla vita, le chiese e le sedi delle associazioni pro life americane.
Si vede anche dalla frenesia con cui il Parlamento UE si è precipitato ad emanare una risoluzione che sancisce che l’aborto è un “diritto umano” e come tale va inserito nella Carta fondamentale dell’Unione Europea.
Anche questo ci impressiona molto relativamente: le leggi degli Stati e le norme degli enti sovranazionali sono norme positive e possono creare diritti soggettivi. Possono essere leggi giuste, che proteggono interessi sacrosanti, possono essere leggi ingiuste che creano (falsi) diritti aberranti: il diritto di frustare gli schiavi (come negli USA nell’800), il diritto di uccidere gli ebrei (come nella Germania nazista), il diritto di uccidere i bambini (come le leggi abortiste dell’ultimo mezzo secolo). Ma per quanto gli Stati si affannino a proclamare certi “diritti umani”, i veri diritti inviolabili dell’uomo non vengono scalfiti dalle leggi positive: i diritti inviolabili dell’uomo sono eterni, sono scritti della natura umana o – meglio – sono scritti da Dio nella coscienza di tutti gli uomini di ogni tempo e di ogni latitudine.
Per quanto la superbia di Prometeo ci induca a voler creare diritti secondo la moda e l’ideologia dominante, i diritti inviolabili dell’uomo, preesistenti a qualsiasi istituzione civile, restano intangibili e immutabili.
Le leggi umane che pretendono di stravolgerli o di inventarne di nuovi possono solo alimentare la confusione e il disordine nel quale questa civiltà continua a dibattersi, illudendosi di poter fare a meno di Dio e dei suoi precetti. Salvo, prima o poi, dovergli rendere conto. E il sangue dei bambini, martiri innocenti, ricadrà su tali legislatori.