“Giustamente diceva Chesterton che l’importanza delle favole non sta nel far capire ai bambini che esistono draghi e orchi, bensì che draghi e orchi possono essere sconfitti”.
Jacob Ludwig Karl Grimm (Hanau, 4 gennaio 1785 - Berlino, 20 settembre 1863) è il maggiore dei famosi Fratelli Grimm. Wilheim Karl nascerà il 24 febbraio dell’anno successivo.
I due fratelli furono linguisti e filologi tedeschi, ritenuti i “padri fondatori” della germanistica.
Perché è importante ricordarli? La risposta è scontata: ci hanno donato meravigliose favole rielaborate dalla tradizione popolare: Biancaneve, Cappuccetto Rosso, Cenerentola, Hansel e Gretel, Il lupo e i sette capretti, Il pifferaio di Hamelin, I musicanti di Brema, Pollicino, Raperonzolo…
Facciamo una breve riflessione. Per un certo periodo di tempo si è affermato che le favole tradizionali non avessero un valore educativo, anzi.
Noi non siamo affatto di questa idea. Queste favole servono e sono altamente educative. Servono perché, in maniera semplice ma incisiva, fanno capire al bambino (ma anche all’adulto che conserva sempre qualcosa del bambino) che la vita è fondamentalmente e perennemente lotta tra il bene e il male.
L’uso della fantasia non è per “sovvertire” il reale, bensì per andare “oltre” il reale stesso. Non si tratta di un gioco di parole né di una precisazione troppo pignola, bensì sottende un significato importante.
“Sovvertire” il reale significa rinunciare al reale stesso, riscriverlo, non prenderlo in considerazione, denunciarlo come fuorviante, ritenerlo non vero… sovvertirlo, appunto.
Altra cosa è, invece, andare “oltre” il reale. Ciò significa prendere in considerazione il reale ma cercando di capirlo meglio. Per far questo, occorre spesso saper andare oltre ciò che immediatamente si vede. Per esempio, se vogliamo capire l’essenza di una cosa dovremo sì partire dal dato sensibile (l’osservazione), ma dovremo anche, attraverso l’intelletto, coglierne l’essenza universale. Ebbene, la fantasia delle favole tradizionali, o del genere detto fantasy, non è un rifiuto del reale, bensì una capacità di sublimarlo per scorgere quel piano oltre il naturale che non si scorge immediatamente, ma che pure è determinante per capire il reale stesso.
Insomma, la fantasia è una chiave di lettura del reale, perché non c’è reale senza mistero; e il fantasy non promuove la sovversione, ma la riconduzione dell’uomo al significato. Come fanno bene le favole tradizionali.