Spett.le Redazione, il mese scorso è tornato alla ribalta il problema del “fine vita”. So che in linea di massima un credente non accetta questa pratica, ma vorrei sapere: potrebbero esserci delle ipotesi specifiche in cui l’eutanasia possa essere tollerata dalla Chiesa? Potrebbe darsi, infatti, che vi siano delle ragioni più o meno valide per richiedere l’interruzione della vita, talvolta da parte del paziente stesso. D’altronde la Chiesa non approva la sospensione dei trattamenti inutili? Si può essere indulgenti nel caso dell’eutanasia passiva?
Caro Mauro, non bisogna confondere il cosiddetto accanimento terapeutico (anch’esso giustamente riprovato dalla morale, come vedremo) con ciò che, in realtà, è eutanasia.
Per eutanasia s’intende l’azione od omissione compiuta da un terzo e deliberatamente intesa alla soppressione di una vita umana allo scopo di porre fine alle sofferenze. Non ha alcun senso distinguere eutanasia attiva e passiva: lasciare un paziente senza alimentazione è un vero e proprio caso di eutanasia, non dissimile dalla somministrazione di un veleno che uccide.
Come Lei ha accennato, esistono svariate ipotesi di eutanasia: 1) su richiesta del paziente: è cosciente e chiede di essere ucciso oppure ha perso conoscenza, ma ha lasciato un documento in cui chiedeva l’eutanasia; 2) per motivi pietosi in assenza di richiesta del paziente: è la collettività che vuole la soppressione di certi malati; 3) per motivi eugenetici su neonati: si vuole l’eliminazione di quei bambini gravemente handicappati che altrimenti andrebbero incontro – si dice – a una vita “priva di significato”; 4) per motivi “di principio”: come scelta di libertà, come difesa della “dignità”, come ribellione alla “insignificanza del dolore”; in tutti questi casi l’eutanasia può ritenersi applicabile anche a persone malate non in fase terminale, o addirittura non malate; 5) per motivi economico-sociali: attuata su tutti i soggetti che costituiscano un peso per la collettività.
Che giudizio darne? Rispondiamo con il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Qualunque ne siano i motivi e i mezzi, l’eutanasia diretta consiste nel mettere fine alla vita di persone handicappate, ammalate o prossime alla morte. Essa è moralmente inaccettabile» (n. 2277). L’eutanasia diretta (voluta liberamente) costituisce una particolare forma di omicidio, che non può essere giustificato nemmeno quando sia commesso in perfetta buona fede, pensando di fare il bene della persona sofferente.
Per accanimento terapeutico s’intende, invece, l’uso di terapie inutili o inefficaci per la cura del malato, che aumentano la penosità della malattia e si rivelano come sproporzionate (senza proporzione o equilibrio tra l’intervento terapeutico e il risultato da conseguire e, quindi, il grado concreto di probabilità di raggiungerlo).
La rinuncia a questi mezzi non equivale all’eutanasia, non si configura come un caso di suicidio o di omicidio; esprime piuttosto l’accettazione della condizione umana di fronte alla morte. Tuttavia, non è lecito interrompere le cure ordinarie, ossia tutto quello che è necessario per dare all’infermo conforto fisico e psicologico: alimentazione, idratazione, analgesici, aiuto alla respirazione, ecc.
Purtroppo, l’idea della legittimazione-legalizzazione si sta facendo strada, anche in seguito all’ultima sentenza della Corte Costituzionale. Confidiamo di trovare una opposizione robusta da parte dei cattolici. Questi ultimi, sembrano a volte trovarsi in uno stato confusionale. Ne usciranno? Lo speriamo. Quando questo potrà avvenire? Solo quando prenderanno sempre più coscienza della propria identità, aiutati dalla voce dei loro Pastori e di laici ben formati e impegnati. Preghiamo il Signore che questo avvenga al più presto possibile.