De servorum Dei beatificatione et beatorum canonizatione
Autore: Prospero Lambertini–Papa Benedetto XIV
Libreria Editrice Vaticana, Bologna 2010
Pagine: 1500
Consuetudine in uso nella Chiesa fin da tempi remoti, quella di canonizzare i santi è una pratica veramente santa e salutare per diverse ragioni che l’autore esporrà nel seguente articolo, prendendo spunto da un testo recentemente ristampato dalla Libreria Editrice Vaticana.
Nel 2010 la Libreria Editrice Vaticana ha avuto l’eccellente idea di ripubblicare il classico testo di papa Benedetto XIV (1740-1758), uscito in prima edizione a Bologna nel 1738 col titolo di De Servorum Dei beatificatione et Beatorum Canonizatione. Si tratta del testo giuridico-teologico a tutt’oggi più importante in materia di culto dei santi, legittimità e validità del processo di canonizzazione, e accertamento dei miracoli.
Nella nuova ed ultima edizione, il poderoso testo si compone di due volumi di oltre 1.500 pagine complessive su due colonne per pagina (l’originale latino e la versione italiana) e tratta di tutti gli argomenti salienti circa la santità e il suo riconoscimento ecclesiastico.
Il card. Angelo Amato, attuale prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, scrive nella prefazione che «il Lambertini unisce una prodigiosa capacità di sintesi, dando unità e organicità ad argomenti disparati, come l’esercizio eroico delle virtù, il miracolo e il martirio, che trovano in quest’opera una trattazione completa, subito considerata un capolavoro nel suo campo. E ancora oggi il De Servorum Dei beatificatione et Beatorum canonizatione rimane un riferimento ineludibile di procedura canonica e una miniera inesauribile di motivazioni filosofiche, teologiche e morali» (pp. 5-6) in difesa del contestato, ma fondamentale, culto dei santi. Culto che oggi, nella spaventosa epoca dell’inverno post-conciliare, assume altresì il valore e il segno di sicura ortodossia dottrinale: chi non venera i santi e non apprezza che si venerino, con qualunque pretesto teoretico o storico, non è un vero cristiano (come non lo sono i protestanti e gli eretici); chi invece comprende e accetta il ruolo delle mediazioni spirituali, il valore del miracolo, l’importanza pedagogica dell’esempio (specie nell’educazione dei pargoli e dei neo-convertiti), la necessità dell’intercessione presso Dio e dell’assistenza spirituale, è certamente instradato sulla via augusta della Verità e della Salvezza.
Impossibile visto lo spazio che abbiamo anche soltanto percorrere gli argomenti trattati dal Testo, composto da numerosissimi capitoli. Vediamone di volata solo alcuni: l’autorità del Papa nella canonizzazione dei santi (trattata nei capp. VI, VII, VIII, IX, ecc.), il ruolo della Congregazione dei Riti, ora detta per le Cause dei Santi (capp. XVIss), il processo di beatificazione e di canonizzazione (capp. XXIV, XXV, XXVI, XXXIX), il valore e l’accertabilità dei miracoli (capp. XXVIII, XXIX, ecc.), l’infallibilità del Pontefice nelle canonizzazioni e nelle beatificazioni (capp. XLII, XLIII, XLIV, XLV), ecc., ecc. Trattando di questi e di altri argomenti, come scriveva il card. Amato, Benedetto XIV ha offerto ai lettori «una miniera inesauribile» di temi, di argomenti e di riflessioni importanti a sostegno della nostra santa Fede cattolica: anche per questo il De Servorum è un’opera destinata a restare come una pietra miliare, anche tra molti decenni e forse secoli.
Per il lettore, che d’ordinario non ha il tempo e la possibilità di procurarsi il costoso tomo, abbiamo deciso di presentare pacatamente alcuni brani particolarmente significativi dal punto di vista apologetico e li abbiamo tratti dal capitolo intitolato Il beneficio che talvolta si compiano le solennità della canonizzazione (vol. I, pp. 297ss). L’accento non è qui posto né sul talvolta (aliquando), quasi a dire che a volte potrebbe anche non comportare benefici una canonizzazione, e neppure sulle solennità (solemnia) intesa come il fasto del rito di canonizzazione (elemento accessorio e contingente), ma sul rito stesso, visto in tutto il suo valore liturgico, spirituale e teologico. Insomma è come se titolasse così: È bene che ci siano le canonizzazioni dei santi.
Benedetto XIV difatti si chiede, dopo aver dimostrato la legittimità del culto dei santi e la sua fondatezza teologica e scritturistica, se vi sia altresì reale convenienza e utilità pratica nella canonizzazione dei santi e nella loro elevazione a modello per i fedeli. E risponde affermativamente in 8 punti che noi vedremo schematicamente.
1) Perché «Dio è lodato nei suoi santi, e mentre onoriamo i servi, l’onore si riversa nel Signore» (p. 297). La lode dei figli di un tale si riflette sul tale, la lode di una squadra di calcio si riflette sull’allenatore e sul presidente, e così via. Ovvie considerazioni antropologiche, spesso neglette e dimenticate. Lodare quegli uomini che hanno speso la vita per il Signore, evidentemente comporta una lode per il Signore stesso il quale ispirava e in un certo senso viveva nei suoi figli prediletti. «La gloria di Dio è l’uomo vivente», scrive sant’Ireneo di Lione, gran nemico delle eresie dei suoi tempi. Ma l’uomo è davvero vivente quando è conforme al Vivente per eccellenza: Gesù infatti non ha come noi la vita, ma è la Vita stessa. Lodare Cristo è dunque lodare Dio; lodare il cristiano, specie il cristiano perfettamente coerente col Vangelo, è lodare Cristo. Che i luterani e i calvinisti, magari per abusi più o meno diffusi al tempo (come la vendita delle indulgenze o un culto poco disciplinato di reliquie e manufatti) non l’abbiano capito, è davvero incredibile. Il Papa spiega anche il legame tra lode a Dio e lode al santo in questi termini: «Infatti nessun cristiano dubita [chi ne dubita quindi non è vero cristiano...], e questo è attestato nella sacra Scrittura, che il Signore è lodato nei suoi santi, e chi onora loro, onora direttamente il Signore, come attesta egli stesso dicendo: Chi onora voi, onora me, e chi accoglie voi, accoglie me; e ancora: Ciò che avete fatto ad ognuno dei miei fratelli più piccoli, lo avete fatto a me» (p. 297). Fare una statua al santo, vuol dire farla al Dio per cui il santo è vissuto; fare preghiere al santo, idem. Nella bolla di canonizzazione di san Tommaso di Villanova, qui citata da Benedetto XIV, si esprime chiaramente questo concetto, facile e accessibile: è bene canonizzare il santo affinché «si rendano grazie alla bontà e benignità di lui [cioè di Dio], che ha dato tale virtù e potestà agli uomini» (p. 298).
2) «In secondo luogo, perché conviene sommamente che chi è santo presso Dio sia anche ritenuto santo dagli uomini» (p. 298). Se Dio si è manifestato nella vita di un cristiano, specie attraverso segni e miracoli, come tali impossibili alla natura umana decaduta dopo il peccato, è chiaro che Dio ha voluto mettere in luce quel cristiano: altrimenti, perché mai gli avrebbe conferito doni, poteri e carismi? Vari santi, mentre erano in vita, e avevano tutti i limiti della creaturalità, hanno resuscitato dei morti (come san Bernardino da Siena, san Filippo Neri e molti altri). È chiaro che questa facoltà è stata concessa loro, gratuitamente, da Dio, l’unico padrone della vita e della morte delle creature. Ma questa indubbia esaltazione di un essere umano da parte di Dio, è bene che sia riconosciuta anche dagli uomini, specie nella Chiesa che assembla i figli di Dio e gli eletti. È dunque un onorare Dio stesso il riconoscere pubblicamente, dopo seri studi e controprove medico-scientifiche, che Dio stesso ha operato in questo o quel servo di Dio. Il santo sta già in Cielo e a lui, direttamente, non serve essere canonizzato. Serve a noi uomini, per instradarci nella via percorsa dal santo stesso, che poi è la via di Dio. Se Dio ha santificato un uomo, questo non va nascosto, ma va accertato, studiato, capito e riproposto come esempio: è Dio infatti ad averlo voluto santo (non senza però il suo concorso attivo e concreto).
Fine prima parte