Le politiche sanitarie degli ultimi anni hanno impresso una forte accelerazione alla pratica dell’aborto domestico con RU486. Ma i danni per la salute della donna – se del bambino non si vuol parlare – sono sempre più rilevanti. Lo dimostrano le statistiche e gli studi scientifici. Eppure nessuno ne parla.
Nel Regno Unito l’associazione Right to Life ha notato un inquietante aumento del numero di donne corse al pronto soccorso in concomitanza con l’incremento dell’uso della RU 486. Tre dei principali gestori del servizio di ambulanze hanno rilevato la cosa da quando si sono diffusi gli aborti a domicilio (aprile 2020).
Il South Western Ambulance Service ha registrato numeri tre volte superiori a quelli osservati prima che il governo consentisse gli aborti “fai da te”. A Londra le chiamate sono raddoppiate (da 7 a 14 al mese). Il South East Coast Ambulance Service ha registrato un aumento medio di 17-24 chiamate al mese. In Galles l’aumento delle chiamate di emergenza è stato del 100%, tra aprile 2020 e marzo 2021.
L’aborto chimico fa molto male alle donne, ma gli abortisti accecati dall’ideologia non ne vogliono prendere atto. Del resto la cultura della morte, essendo tale, non si accanisce solo contro i nascituri...
Ignorerà, perciò, anche la notizia che viene dagli Stati Uniti. Questa volta apparsa non sul blog di un’associazione, ma su una rivista scientifica peer-reviewed, in quanto si tratta di uno studio: “A Longitudinal Cohort Study of Emergency Room Utilization Following Mifepristone Chemical and Surgical Abortions, 1999-2015”, che è stato recentemente pubblicato sulla rivista internazionale Health Services Research and Managerial Epidemiology.
Gli autori sono membri del Charlotte Lozier Institute: James Studnicki, Dr. Donna Harrison, Tessa Longbons, Dr. Ingrid Skop, Dr. David Reardon, Dr. John W. Fisher, Dr. Maka Tsulukidze e Christopher Craver. Essi hanno utilizzato i dati sui sinistri denunciati all’assicurazione sanitaria Medicaid, su 423.000 aborti confermati e 121.283 corse al pronto soccorso successive, confermate, entro 30 giorni dall’aborto, da parte di donne di età superiore a 13 anni, con almeno una gravidanza identificabile tra il 1999 e il 2015. La popolazione dello studio risiede in 17 Stati federati le cui politiche ufficiali hanno utilizzato i fondi dei contribuenti statali per pagare gli aborti.
Secondo questi dati le corse al pronto soccorso a seguito di un aborto chimico sono aumentate del 507% dal 2002 al 2015. Inoltre, la maggior parte di queste visite al pronto soccorso, oltre il 60%, sono state erroneamente codificate come aborti spontanei.
Vale la pena sottolineare che lo studio ha anche rilevato che il tasso di visite al pronto soccorso dopo un aborto chirurgico è aumentato del 315% nello stesso periodo di tempo 2002-2015. Cioè: anche l’aborto chirurgico fa male alle donne.
Ma di questi tempi assistiamo a una furia particolare degli abortisti a voler promuovere l’uso della RU 486. I Lettori sanno senz’altro delle nuove linee guida del ministro Speranza dell’estate 2020, della campagna di denuncia promossa da Pro Vita & Famiglia e della indegna persecuzione censoria che abbiamo subito (ma lo Iap, alla fine, non ha potuto giudicare i nostri manifesti “ingannevoli”).
In America, l’amministrazione Biden sta meditando di abolire definitivamente la strategia di valutazione e mitigazione del rischio (REMS) da RU 486 che prevede obbligatoriamente una visita di persona dal medico e lo screening delle condizioni della donna, per valutare l’età gestazionale del bambino ed eventuali altre possibili complicazioni (per esempio una gravidanza extrauterina) che potrebbero rivelarsi mortali per la madre.
Non importano proprio i rischi derivanti dall’assunzione di RU 486, che riassumiamo brevemente per chi ne fosse ignaro: fino al 10% delle donne con le pillole abortisce in modo incompleto; si può morire di infezione se i resti del bambino o i tessuti annessi non vengono rimossi correttamente. L’aborto chimico, inoltre, provoca quattro volte le complicazioni degli aborti chirurgici. Gli effetti collaterali che, invece, ci sono quasi sempre sono dolore addominale, nausea, vomito, diarrea, debolezza, febbre/brividi e mal di testa. L’emorragia post aborto può durare per settimane.
In una società che non fa altro che protestare a favore delle donne, il dramma che consegue all’aborto e le conseguenze fisiche e psichiche che esso arreca alle madri, continua ad essere scientemente e colpevolmente ignorato.
Per non parlare dell’umanità del piccolo in grembo che viene ucciso, che la propaganda ideologica e mortifera ha provveduto a cancellare completamente.