In Francia il pressing sul sigillo sacramentale si fa audace e cavalcando la nobile causa della lotta agli abusi chiede l’impossibile. La segretezza inviolabile della Confessione, infatti, proviene direttamente dal diritto divino rivelato e si radica nella natura stessa del sacramento, ragion per cui non sono ammesse eccezioni né in ambito ecclesiale, né tantomeno in quello civile.
La Chiesa francese ha sbagliato a festeggiare la pubblicazione dell’ormai celebre, e celebratissimo, Rapporto Sauvé.
Intendiamoci, fare penitenza e ripulire i ranghi è sempre doveroso, ma mostrarsi proni al potere di chi ha ormai una “religione invertita” – nemica mortale del Cattolicesimo – è segno di cecità, irenismo, debolezza e panico da “cittadella assediata”.
Veniamo ai fatti. Il voluminoso dossier, avente per tema “Le violenze sessuali nella Chiesa cattolica. Francia 1950-2020”, è uscito il 5 ottobre ed è stato messo a punto da una commissione indipendente (detta CIASE), guidata e presieduta dal giurista Jean-Marc Sauvé.
Il rapporto ha impressionato la stampa laica – ed anche quella che si professa cattolica – per la mole del documento (oltre 500 pagine), i nomi più o meno autorevoli dei ricercatori e le cifre dei casi di violenza sessuale messi in risalto. Ed anche per il fatto che, al di là della sbandierata indipendenza della commissione, la Chiesa cattolica di Francia ha controfirmato, sostenuto e perfino finanziato il progetto di ricerca.
Ci sarebbe molto da dire su tutti questi aspetti, ma limitiamoci a ciò che ha fatto più breccia nei Tg, dando occasione a prelati francesi e non – anche di alto e altissimo rango – di fare un sonoro e plateale mea culpa (purtroppo molto, molto ex post).
Secondo Repubblica, Corriere, Il Fatto ma anche Le Monde, Le Figaro e altre testate, i crimini di violenza sessuale sarebbero stati, nei 70 anni presi in conto, circa 216.000. Ma questo dato non deriva da un conteggio matematico uno a uno, ma da una proiezione, da una stima media opinabile e come tale di poca valenza scientifica.
Va detto qui ciò che pare scontato e banale, ma che non lo è mai quando si trattano fatti così tristi e indecenti. Anche un solo caso di violenza sessuale, stupro, pedofilia, efebofilia, induzione o coazione a ciò che ripugna, è un caso di troppo. E il colpevole va condannato e allontanato dalle funzioni che indegnamente occupava.
Resta che i colpevoli, secondo il rapporto, sarebbero stati tra i 2.900 e i 3.200 sacerdoti e religiosi nei 70 anni presi in considerazione. Il che rappresenta il 2,5-2,8% del totale degli ecclesiastici vissuti in quegli anni. Il dato, pur triste e increscioso, è nella media di qualunque religione, gruppo umano, associazione, e delle stesse società prese come tali.
La cosa più scottante del dossier però è un’altra. Ovvero le 45 raccomandazioni con cui in un certo qual modo il rapporto si conclude. Come a dire, dopo la diagnosi del problema, ecco a voi la terapia.
Questa “Lista delle raccomandazioni” (pagine 51-66), che abbiamo letto con estrema attenzione, costituisce un’entrata a gamba tesa e un ribaltamento del Cattolicesimo. È un chiaro invito alla comunità religiosa a trasformarsi in altro da sé, fino a divenire un gruppo di sostegno psicologico-affettivo di dimensioni internazionali. Meraviglia e sorprende che teologi, cardinali e monsignori non l’abbiano colto.
Stefano Fontana, e altri più attenti osservatori, hanno notato che tutte queste raccomandazioni sono di impianto relativista e nulla hanno a che vedere con la dottrina della Chiesa. Ci sono raccomandazioni sullo spazio da dare ai laici al posto dei preti, o alle donne piuttosto che ai maschi. Manca poco e si detta come si deve dire Messa o dare il battesimo ai neonati.
La raccomandazione n. 3 parla di rivedere «il modo di esercizio del ministero sacerdotale ed episcopale». La n. 4 chiede, citando il Sinodo sull’Amazzonia, che «siano ordinati uomini sposati». Volendo alludere al rapporto – finora mai dimostrato – tra celibato e violenza. Ma la violenza dilaga nelle famiglie, nelle coppie in crisi, nel mondo della droga, dello sport, delle sex-chat e nelle gang giovanili depravate.
Tutto il dossier milita per una Chiesa aperta, come se questa “apertura” fosse di suo il toccasana. Ma gli ambienti delle discoteche, dei festini, degli abusi di alcool e droghe, sono aperti o chiusi? Apertissimi direi, e in essi le violenze e gli eccessi sono più frequenti che altrove.
L’acme delle richieste è l’ingiunzione alle “autorità della Chiesa” di inviare un messaggio secondo cui «il segreto della Confessione non può derogare all’obbligo, previsto dal codice penale [...] di segnalare alle autorità giudiziarie e amministrative, i casi di violenza sessuale» (n. 8).
Rendendosi conto in che vicolo cieco si stava andando, il capo dei vescovi francesi, mons. Eric de Moulins-Beaufort, ha dichiarato alla radio che «il segreto della confessione si impone a noi, e si imporrà sempre, e in questo senso, esso è più forte delle leggi della Repubblica». Puro catechismo e diritto canonico.
Apriti cielo! La stampa ha imbastito un pubblico rogo per lesa Repubblica, la nuova divinità dei francesi dal 1789. E così, per una frase banale e un principio irrinunciabile per un cattolico, il ministro degli Interni, Gérald Darmanin, ha chiamato a confronto, martedì 12 ottobre, il presidente dei Vescovi di Francia.
Seppur non con la fierezza che il caso vorrebbe, l’episcopato francese ha ribadito che il segreto non si tocca.
I puntini sulle “i” li ha messi invece in modo puntuale e opportuno il Penitenziere Maggiore card. Mauro Piacenza il quale, intervistato sul tema, ha insistito sulla necessità di rigettare ogni possibile pareggiamento tra segreto confessionale e segreto professionale, per «evitare che le legislazioni secolari applichino al segreto confessionale inviolabile, le deroghe al segreto professionale per giusta causa».
Vale a dire: il sacramento della Penitenza è un atto di culto, non una seduta psicologica o una forma di counselling, e in quanto tale deve essere tutelato in nome della libertà di religione e ogni ingerenza dello Stato deve essere ritenuta illegittima e lesiva dei diritti della coscienza.
È questo che la Chiesa francese dovrebbe dire a viso aperto, senza peraltro aspettarsi che uno Stato ateo e laicista lo comprenda e accetti. Il vero centro della questione non è la tutela della privacy del penitente, o la fedeltà a un segreto professionale, ma la libertà della Chiesa, potestà spirituale che non attende permessi da parte di un potere temporale per compiere ciò che Cristo, il Figlio di Dio, Le ha comandato.