ATTUALITÀ
Scontro Ue-Ungheria: se tutto è famiglia, non c’è più famiglia
dal Numero 37 del 10 ottobre 2021
di Riccardo Pedrizzi

L’Ungheria bandisce per legge film, libri e pubblicità con riferimenti omosessuali e transgender per proteggere i minori. L’UE si scandalizza per quella che definisce una “vergognosa violazione dei diritti fondamentali” e minaccia provvedimenti. Ma le obiezioni alla legge ungherese non reggono. Ecco alcune risposte razionali ai luoghi comuni circolanti.

Una legge che è «una vergogna», «chiaramente discriminatoria» e «va contro ogni valore fondamentale dell’Ue, ossia la dignità, l’uguaglianza, i diritti umani fondamentali». La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, rispondendo a una domanda durante la conferenza stampa di presentazione del piano di ripresa belga, ha usato parole dure contro la legge approvata in Ungheria, che vieta film e libri che facciano riferimento a costumi sessuali diversi dall’eterosessualità ai minori di 18 anni. Viene proibita anche la pubblicità che rappresenti persone omosessuali o transgender come una parte normale della società, al fine di proteggere i minori dalla pedofilia. La von der Leyen ha fatto sapere di aver incaricato i suoi commissari responsabili di scrivere una lettera alle autorità di Budapest esprimendo le «preoccupazioni legali prima che la legge entri in vigore». Le parole della presidente sono arrivate dopo la condanna, con una dichiarazione congiunta firmata da 14 Paesi dell’Unione Europea, Italia inclusa, della legge ungherese. I Paesi firmatari hanno chiesto alla Commissione europea di agire contro l’Ungheria di Viktor Orban, portandola in Corte di Giustizia per le misure adottate. La Presidente della Commissione ha ribadito di credere «fortemente in una Europa in cui si è liberi di amare chi si vuole», «un’Europa che abbraccia la diversità». «Userò tutti i poteri della Commissione per fare in modo che i diritti di tutti i cittadini europei siano garantiti per chiunque e ovunque», ha aggiunto. 

Il governo di Budapest ha reagito usando le stesse parole della von der Leyen, e bollando come «una vergogna» il suo commento sul provvedimento ungherese. «La dichiarazione della presidente della Commissione europea è una vergogna perché basata su asserzioni false», aggiungendo che ciò dimostra «un’opinione politica di parte senza che sia stata condotta prima una imparziale valutazione».

Ancora una volta dunque l’Europa entra a gamba tesa nella legislazione dei singoli Paesi violando la volontà popolare democraticamente espressa e, soprattutto, tentando di distruggere tradizioni, usi, costumi, storia e religione che da sempre hanno retto e caratterizzato la vita dei popoli e delle comunità nazionali. Oltretutto in materia e su temi che gli stessi trattati comunitari lasciano alla competenza degli Stati. Vediamo perché l’atteggiamento della von der Leyen non è condivisibile e perché l’Europa non può stravolgere il diritto naturale.

 

Il matrimonio non è una qualsiasi unione tra persone e nessuna ideologia può cancellare la certezza per cui esiste matrimonio soltanto fra due persone di sesso diverso. Questa realtà viene prima ancora del Sacramento istituito da Cristo: c’è una verità naturale sul matrimonio, da che mondo è mondo, complementarietà dei sessi e fecondità, che la Rivelazione cristiana ha poi solamente confermato e arricchito. Dal punto di vista della retta ragione non c’è alcuna analogia, quindi, fra le unioni omosessuali e la famiglia naturale, legittima e costituzionale, fondata sul matrimonio (dunque nella contrarietà alle “nozze” gay non c’è nulla di confessionale o clericale).

Chi è a favore del “matrimonio” omosessuale pensa che tutto sia relativo e mutabile. Pensa che il diritto possa precedere la natura e la ragione. Ma non è così. 

 

Su questo tema, nella nostra società, circolano dei luoghi comuni a cui vorrei rispondere con il ragionamento. Ad esempio, c’è chi dice: “Si tratta di una faccenda privata che riguarda la libertà dei singoli: se due uomini o due donne vogliono ‘sposarsi’, chi siamo noi per giudicarli e proibirlo?”. Riflettiamo: la legge civile (e costituzionale di quasi tutte le società in tutti i tempi) non può contraddire la retta ragione. Per questo la norma non può attribuire all’unione fra persone dello stesso sesso le medesime garanzie giuridiche di un matrimonio. Se tutto è matrimonio, il matrimonio non esiste più. Con la legalizzazione delle “nozze” omosessuali, inoltre, la norma diventa il prodotto dei desideri e delle rivendicazioni individuali e non tenderebbe al bene comune.

Esiste una differenza fondamentale tra il comportamento omosessuale come fatto privato e lo stesso fenomeno elevato a relazione tutelata ed incentivata dalla società e dalla legge. 

 

C’è chi dice ancora: “Se due si amano, che cosa importa se sono dello stesso sesso? L’importante è volersi bene”. Ma la semplice esistenza di un qualche “legame affettivo” fra individui non ne giustifica di per sé la promozione né tantomeno la legalizzazione; il legame meramente inter-soggettivo non va confuso col legame sociale (ad esempio quello matrimoniale) né tanto meno va parificato o assimilato a questo; la società può strutturarsi solo in base ai rapporti che hanno valenza sociale in quanto sono orientati al “bene comune”. 

 

Sul tema c’è poi chi sostiene: “Chi si vuole sposare alla vecchia maniera può continuare a farlo, c’è posto per tutti”. Ragioniamo: se il matrimonio tra persone di sesso diverso fosse considerato solo uno dei matrimoni possibili, il concetto stesso di matrimonio sarebbe stravolto e lo Stato verrebbe meno al dovere di tutelare quelle unioni che rivestono un interesse pubblico in quanto depositarie della generazione e dell’educazione dei figli. La distinzione tra interesse pubblico, quindi di tutti, e interesse privato è fondamentale e decisiva. Nel primo caso la comunità deve svolgere un’azione di protezione e incentivazione. Mentre, nel secondo, lo Stato deve soltanto garantire la libertà a tutti indipendentemente dalle inclinazioni sessuali. La famiglia riveste un eminente interesse pubblico. Lo dicono non solo gli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione, ma anche l’articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, il quale recita: «La famiglia è il nucleo fondamentale della società e dello Stato e come tale deve essere riconosciuta e protetta». Lo diceva il diritto romano, molto prima dell’avvento del Cristianesimo, definendo la famiglia “seminarium rei publicae”. E lo dice la ragione, perché la società deve la sua sopravvivenza alla famiglia naturale fondata sul matrimonio. In altri termini, la società esiste in quanto è eterosessuale, per cui lo Stato non può rinunciare ad essere il garante e il promotore di questa esclusiva unione affettivo-sessuale. 

 

Infine, c’è chi afferma: “Senza un riconoscimento legale gli omosessuali vengono ingiustamente discriminati”. La verità è un’altra: ai gay che fanno coppia non si possono riconoscere gli stessi diritti della famiglia, non perché essi sono gay, ma perché non sono una famiglia. L’equiparazione o l’assimilazione giuridica della convivenza omosessuale alla famiglia, di fatto, discriminerebbe la famiglia. In altre parole, se l’unione fra gay non può essere considerato un matrimonio, rifiutare alle persone che la praticano i diritti tipici degli sposi non è un’ingiustizia, ma anzi è proprio un dovere imposto dalla giustizia. Qui non va fatta confusione: una cosa è riconoscere ai singoli conviventi i diritti che essi hanno in quanto persone e cittadini, rifuggendo da ogni discriminazione; un’altra, ben diversa, è dare valenza e dignità pubblica e istituzionale al rapporto di convivenza in quanto tale, assegnando diritti non alle persone in quanto persone, ma alla “compagnia” dei due conviventi, cioè in ragione del loro rapporto. Per intenderci ancora meglio: è ovvio che tutti gli individui hanno diritto ai servizi sociali e che ad ogni singolo cittadino deve essere assicurata la tutela sociale dovuta alla persona, ma solo il rapporto, il legame familiare posto in essere dai cittadini che si sposano è soggetto e titolare di diritti in quanto tale. La specificità pubblica, istituzionale e giuridica della famiglia naturale, legittima e costituzionale fondata sul matrimonio, insomma, non si può in alcun modo cancellare né annacquare.

 

La questione essenziale, il nodo vero e profondo da sciogliere, in ultima analisi, è il seguente: la famiglia è una sovrastruttura, un puro fatto convenzionale, una “moda” fra le tante da cui possiamo, anzi dobbiamo emanciparci? È un dato meramente culturale, un’invenzione del potere, di un’ideologia, di uno Stato, di una religione o di una Chiesa? Oppure viene prima di tutto ciò, è scritta nella natura dell’uomo, è una struttura entro cui l’umanità, da sempre e per sempre, cresce e si sviluppa? 

È un modello fra i tanti, destinato al tramonto, oppure è l’unico modello che ha salde radici nel passato ed è capace di garantire un altrettanto solido futuro?

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