Guardiamo ai Paesi dove l’eutanasia è legge: l’esperienza insegna che i “paletti” normativi posti per limitare i casi vengono di fatto puntualmente abbattuti. Se si riconosce il “diritto a morire”, la morte diventa un “bene”, e per il famoso principio di uguaglianza dovrà essere riconosciuto a tutti.
Sul Journal of Medical Ethics [Maid’s slippery slope: a commentary on Downie and Schuklenk].
Tom Koch, professore all’Università della British Columbia, a Toronto, in Canada, ha pubblicato una risposta chiara e inconfutabile a chi tenta di difendere la legge sull’eutanasia in vigore nel suo Paese da 5 anni.
“Maid” sta per “medical aid in dying”, cioè aiuto medico a morire, un termine che è un capolavoro della neolingua: in inglese la parola maid vuol dire cameriera, fanciulla. È una parola quanto mai rassicurante. Come “aiuto” e “medico”. Si tratta in realtà di suicidio assistito che nel giro di pochissimo tempo ha rivelato il suo vero volto: eutanasia, anche dei non consenzienti. Anzi. Sarà bene che impariamo a non usare più anche la parola “eutanasia” (lett. “bella morte”) perché la morte non è bella e non è buona se procurata. Impariamo ad usare le parole vere che servono a descrivere la realtà della turpe pratica: omicidio di una persona più o meno consenziente, con la scusa che, poiché “poverino, quanto soffre”, bisogna fargli il “favore” di toglierlo di mezzo.
Se non impariamo a fare chiarezza con le parole, nella nostra mente, ci troveremo impantanati in sterili distinguo: alcuni diranno che è meglio il suicidio assistito, su cui sta legiferando il Parlamento per adeguarsi al diktat della Corte Costituzionale, intervenuta a gamba tesa e oltre i limiti delle sue competenze, a seguito della questione posta in occasione della morte di dj Fabo. Altri saranno più convinti dal referendum dei radicali che vuole proprio – di fatto – introdurre l’eutanasia. E già ci siamo fatti imbambolare dalle parole quando nel 2017 è passata la legge sulle Dat, sul testamento biologico, che di fatto ha aperto la porta all’uno e all’altra, in una deriva che si prospetta inarrestabile.
E sarà inarrestabile se non ci sarà da qualche parte una volontà politica seria e apertamente pro vita (che nel Parlamento attuale non c’è sicuramente) che avesse il coraggio di abrogare la legge 219 del 2017 e di investire seriamente nella cura di chi soffre, degli anziani e dei disabili.
La prova della deriva inarrestabile è data da quei Paesi che l’hanno già sperimentata. Nell’articolo di cui dicevamo all’inizio, Koch stronca le argomentazioni di chi dice che i “paletti” normativi funzionano, presentando semplicemente i dati ufficiali: i casi di Maid, cioè le persone uccise perché sofferenti (vedete bene che a dire le cose con le parole vere cambia tutto?), in Canada sono state 1.018 nel 2016 e 21.589 nel 2020.
Non ci stancheremo mai quindi di ripetere che “i casi in cui” il Parlamento vorrebbe consentire il suicidio assistito e quelli in cui il referendum vorrebbe legalizzare l’eutanasia non sono in pratica vincolanti. I paletti salteranno de facto come sono saltati in tutti i luoghi dove hanno tentato di metterli.
E saltano, inevitabilmente, perché se si riconosce il “diritto di morire” e la morte diventa quindi un “bene”, un interesse protetto dalla legge, allora, per il famoso principio di uguaglianza, esso va riconosciuto a tutti. Gli eutanasisti considerano tra “i fattori sociali che determinano la salute” (espressione coniata dall’OMS per definire le questioni non strettamente mediche che influenzano il benessere, dal razzismo alla disabilità, dalla disoccupazione alla malattia mentale) è annoverato il diritto di morire. Negarlo, per esempio, ai malati mentali vorrebbe dire discriminarli, sacrificare i diritti del paziente sull’altare del paternalismo.
Dal suo canto, la nostra Corte Costituzionale, che evidentemente incarna da tempo la “cultura della morte”, non aspetta altro: sostituendosi sfacciatamente al legislatore (che dovrebbe essere tale in quanto rappresentante del popolo sovrano – e il silenzio del Presidente della Repubblica sulla questione è imbarazzante), imporrà la morte per tutti.
Inoltre, Koch rileva che il controllo inadeguato del dolore e di altri disagi è stato il motivo per la richiesta di morte in oltre la metà di tutti i casi di Maid: ci sono pochi medici e operatori sanitari specializzati nella palliazione e nella riabilitazione. E da quando è stata legalizzata l’eutanasia, il numero di costoro è andato vieppiù scemando. Ovvio.
Un fatto che ha toccato da vicino chi scrive: 50 anni fa il linfoma di Hodgkin era una malattia mortale. Oggi – pur essendo un cancro – si guarisce brillantemente, perché hanno imparato a curarlo. Quante malattie che oggi sono mortali potrebbero un domani essere curabili? A che pro investire nella ricerca delle cure di certi malanni, se i malati possono essere eliminati in modo molto più spiccio ed economico? Anzi, verosimilmente i malati su cui studiare non ci saranno più...
Si abbia il coraggio di dire, senza ipocrisia, i fatti come stanno: gli anziani, i disabili, i malati e – in genere – gli “infelici” danno fastidio: eliminarli tutti serve a potersene andare in vacanza senza pensieri, serve a risanare i conti pubblici e a risolvere il problema dell’invecchiamento della popolazione.