I fatti storici dimostrano che Fatima – terra di crociata, baluardo della Croce contro la Mezzaluna – fu scelta dall’antichità come terra di elezione della Vergine Santissima. Ad essa si legano vitalmente i nomi e le vicende di molti personaggi di Casa Savoia, la quale a sua volta è intimamente legata alla Santa Chiesa di Roma.
La beata Margherita di Savoia riuscì a realizzare il suo progetto evangelico di fondare un monastero di monache domenicane; infatti, con la bolla di papa Eugenio IV del 15 agosto 1441, indirizzata a Bonifacio II di Sigismondo, vescovo di Acqui dal 1437 al 1450, le venne concesso il monastero di Santa Maria Maddalena degli Umiliati ad Alba, nel cuneese. Tale bolla ebbe esecuzione con altra bolla episcopale, datata 25 settembre 1442, firmata da Bonifacio stesso.
Così, venne eretto un nuovo chiostro, il monastero di Santa Maria Maddalena, quel monastero che ebbe fra le sue fila suor Filippina de’ Storgi del casato Savoia, la veggente delle apparizioni mariane del XX secolo nel villaggio di Fatima.
In esecuzione delle disposizioni di Eugenio IV, che autorizzava la fondazione conventuale, il vescovo di Alba, il beato Alerino Rembaudi (1375 ca.-1456), benedisse la prima pietra per trasformare in monastero il palazzo della marchesa Margherita.
Nell’archivio del monastero di Santa Maria Maddalena, tuttora esistente, è conservato un breve di Nicolò V del 16 gennaio 1448, dove il Papa – scrisse padre Baresiano, OP, autore della più antica biografia della beata Margherita – «per singolar favore, dà facoltà [a Margherita] di potere, senza licenza d’altro superiore, levar dal Monasterio delle Monache Domenicane di S. Caterina Martire, nella stessa città d’Alba, una Monaca di matura età, molto timorata di Dio, che Suor Filippina de’ Storgi havea nome, e d’introdurla seco per coadiutrice, intorno alli riti e le cerimonie della Religione, le quali alle Monache velate e obbligate alla clausura appartengono. Honorò inoltre la nostra gran Madre d’haver ampla [sic] facoltà, secondo ella havesse giudicato ispediente, per cagione d’infermità dei parenti, che la richiedessero a Casale, o per altra causa o caso grave, ch’ella potesse, con comitiva d’altre Monache, che più decente le fosse paruta [sic], uscir dalla clausura, e andar a Casale, o dove più opportuno havesse giudicato» (1).
Nel 1450 Margherita di Savoia e tutto il gruppo di donne che l’avevano seguita, dalla professione della regola del Terz’Ordine della Penitenza di San Domenico passarono al Second’Ordine. Madre Margherita rinunciò formalmente davanti al notaio Bonifacio Altavilla d’Alba a «cascine, mulini, acquedotti, rendite di San Giorgio di Genova, palazzi, casamenti, campi, prati, boschi, zerbi, ripaggi e altre cose simili» (2). Nel 1451 papa Nicolò V pose il monastero di Santa Maria Maddalena sotto la giurisdizione del generale dei Padri Predicatori, dando facoltà alle monache di eleggersi un vicario.
Casa Savoia ha avuto, nel corso della sua storia, un continuo intreccio di rapporti con la Chiesa Cattolica, un costante interscambio, spesso proficuo e fecondo, fino ad arrivare al Risorgimento italiano, tempo storico in cui le forze laiciste e la violenta aggressione massonica ebbero la meglio sui legami che da sempre avevano saldato strettamente il trono sabaudo al trono di san Pietro.
Tale legame non è da considerarsi esclusivamente di carattere istituzionale, legislativo e giurisdizionale, esso va ben al di là, coinvolgendo le sfere profonde, culturali e di coscienza dei conti, dei duchi e dei re di Casa Savoia e, dunque, a cascata, da essi si sono infuse nei membri delle loro corti e nei sudditi. Una vera e propria Societas Christiana venne a crearsi intorno al ducato prima e al regno subalpino dopo.
I sei beati di Casa Savoia, a partire dal Medioevo, rappresentano plasticamente la significativa sintonia e affinità con la Chiesa di Roma: Umberto III, nono conte di Savoia (Avigliana, Torino, 1136 - Chambéry, Savoia, 4 marzo 1188); Bonifacio, monaco certosino, poi arcivescovo di Canterbury (Sainte-Hélène-du-Lac, Savoia, 1207 - 4 luglio 1270); Margherita di Savoia, marchesa del Monferrato e domenicana (Pinerolo, Torino, 1390 - Alba, Cuneo, 23 novembre 1464); Amedeo IX, terzo duca di Savoia (Thonon-les-Bains, Savoia, 1° febbraio 1435 - Vercelli, 30 marzo 1472); Ludovica, principessa di Châlon, monaca clarissa (La Bourg-en-Bresse, Francia, 28 luglio 1462 - Orbe, Svizzera, 24 luglio 1503); Maria Cristina, regina delle Due Sicilie (Cagliari, 14 novembre 1812 - Napoli, 31 gennaio 1836). E poi servi di Dio, venerabili, testimoni del Vangelo, uomini e donne, morti in concetto di santità: stiamo parlando del Casato reale che più di ogni altro al mondo ha donato alla Chiesa modelli di santità.
Non solo Casa Savoia, nel corso dei secoli, ebbe un rapporto privilegiato con la Fede praticata – basti pensare che non fu mai nelle sue corde ambire alle carriere ecclesiastiche nella Curia romana – ma i rapporti con la Chiesa, aldilà delle questioni di carattere amministrativo, politico e diplomatico, erano impostati sull’intesa filiale e saldamente spirituale con il Vicario di Cristo. In un tale contesto rimane fatto emblematico la specialissima devozione e pietà manifestata dalla Famiglia e dai suoi sudditi intorno alla più grande reliquia della storia, la Sacra Sindone, conservata nel Duomo di Torino, divenuta di sua proprietà nel 1453, quando Margherita de Charny – discendente del primo proprietario conosciuto della Santa Sindone, Geoffroy de Charny (1305 ca.-1356) – cedette ai duchi di Savoia il Sacro Lino, che nel 1983, dopo 530 anni, per volontà testamentaria dell’ultimo re d’Italia, Umberto II (1904-1983), passò nelle mani del Papa.
Nell’humus religioso di una Societas Christiana voluta, protetta, difesa da Casa Savoia in mille anni di storia, dove venivano premiati zelo e fervore, devozione e preghiera, dove la presenza della croce e delle chiese, del clero e dei religiosi, del culto e dei voti offerti al Signore e alla Madonna per scongiurare o allontanare pestilenze, guerre e carestie erano fatti connaturati e inscindibili dal vivere quotidiano di autorità, amministratori, funzionari, aristocratici e popolo, viene a svolgersi l’epica ed edificante storia di Filippo II di Savoia-Acaia (1340-1418) e di sua figlia Umberta (?-1454), che prese il nome, in religione, di suor Filippina.
Suo padre fu vittima di una congiura familiare – poiché si era ribellato a chi gli era politicamente superiore – che lo condusse ad essere legato e gettato, ancora vivo, nelle gelide acque del lago di Avigliana (Torino) il 20 dicembre 1368. Filippo ebbe una sola figlia, Umberta, che vestì l’abito monacale con il nome di suor Filippa (in altri documenti citata come suor Filippina), e con il cognome fittizio de’ Storgi per depistare i parenti persecutori: fu l’amore per il padre che la indusse a chiudersi in convento, al fine di ottenere l’intercessione divina in favore dell’anima del genitore, che mai conobbe. Tuttavia, Filippo di Savoia-Acaia riuscì miracolosamente a salvarsi, grazie all’intercessione del beato Umberto di Savoia, del quale portava sempre con sé un medaglione; fu così che decise di vivere, prendendo il nome di Frate Guglielmo, da pellegrino penitente e orante. Il suo fu un pellegrinaggio di espiazione nei luoghi mariani per adempiere alla promessa fatta, in una notte di grande sofferenza, al suo antenato Umberto III. Prima tappa fu l’abbazia di Altacomba, in Savoia, fondata dai Cistercensi e divenuta mausoleo della Famiglia, dove Frate Guglielmo pregò a lungo sulla tomba del beato Umberto.
Raggiunse numerosi santuari della Francia, della Svizzera, della Spagna, fino ad arrivare in Portogallo, «all’abbazia di Alcobaça per avere notizie della chiesetta che il suo patrono celeste gli aveva indicato» (3). Attraversata la Spagna e superato il confine portoghese, sempre chiedendo con umiltà cibo e alloggio nelle pievi e nei conventi che incontrava lungo il suo cammino, giunse a destinazione: grande fu la sorpresa quando il frate portinaio che gli aprì gli disse che lo attendeva già da alcuni giorni, perché il suo arrivo gli era stato annunciato da un angelo. Il giorno seguente arrivò a Fatima. Giunse fin qui perché sul luogo era stata edificata una chiesa dalla sua antenata, la prima regina del Portogallo, Mafalda, della quale si era parlato nella prima puntata e che era sorella del beato Umberto di Savoia e sposa del primo re lusitano, Alfonso Henriques, che creò la nazione del Portogallo, nonché figlia di Amedeo III di Savoia detto il Crociato (1087-1148), data la sua partecipazione alle guerre in Terrasanta, e chiamato alle armi da papa Callisto II (1060 ca.-1124), suo congiunto, dal quale ricevette in dono l’autorizzazione ad utilizzare le sue insegne papali nel proprio blasone.
Mafalda fece grande opera di apostolato, evangelizzando i pagani, vissuti sotto il dominio dei romani, e i musulmani, governati dagli arabi. Edificò chiese e cappelle, mentre a Cascais (dove terminerà i suoi giorni in esilio e in una sorta di romitaggio re Umberto II), piccola baia di pescatori posta a pochi chilometri a sud della capitale, fece costruire una modesta residenza, dove spesso si rifugiava per restare sola con Dio, dove pregava e meditava. Questo luogo le fu sempre particolarmente caro e qui portò un dipinto raffigurante suo fratello Umberto III.
Altro luogo di culto che amò moltissimo fu appunto la piccola chiesa fatta erigere a nord del Paese che dedicò alla Gran Madre di Dio e che completò più tardi con un convento e per la quale volle che il fratello fosse presente all’inaugurazione.
Tutta la regione di Fatima, con i territori limitrofi, fu campo di battaglia dello stesso re Alfonso nella guerra contro gli invasori maomettani ed il re concesse estesi possedimenti terrieri agli Ordini religiosi che più si erano distinti nella Reconquista, in particolare l’Ordine Cistercense e l’Ordine del Tempio, il quale ebbe il proprio «quartier generale» nella storica cittadina di Tomar, a soli 30 chilometri da Fatima, dove i Templari si erano rifugiati successivamente allo scioglimento del loro Ordine che trovò nel re di Francia, Filippo il Bello (1268-1314), un acerrimo nemico, il quale li consegnò ad un drammatico processo, che li dissolse fra il 1312 e il 1314.
A Tomar ciò che era rimasto dell’Ordine Templare si trasformò nell’Ordine del Cristo e da allora la Croce Templare e dell’Ordine del Cristo divenne l’emblema della potenza navale portoghese, che sventolò sulle bandiere e sugli stendardi del Portogallo, nelle secolari vicende della propria storia.
Fatima è dunque fulcro dello spirito mariano cistercense e templare, rappresentato dai grandiosi poli abbaziali tuttora esistenti nella zona: Alcobaça e Tomar. L’intera regione circostante registrò l’edificazione, durante le crociate, di molte fortezze cattoliche, di altre abbazie, di chiese e cappelle dedicate alla Madonna: Fatima fu il cuore della lotta contro l’islam, rendendo il Portogallo baluardo della Croce contro la Mezzaluna. In Portogallo si visse una Fede così rocciosa, pronta e temeraria da conquistare il Cuore Immacolato di Maria, che garantirà a Fatima, nel 1917, la conservazione del «dogma della Fede» in questa nazione.
/ continua
Note
1) G. Baresiano, Vita della B. Margerita [sic] di Savoia domenicana detta la Grande Principessa di Piemonte & C., appresso li HH. di Gio. Domenico Tarino, Torino 1638, pp. 99-100.
2) Ivi, p. 78.
3) R. Riparbelli, I Savoia sul trono di Cristo, Commissions Historique et Spiritualitè l’Association Internationale Reine Hélène, 1995, p. 88.