Il 19 agosto 1999 è stata ritrovata, fra le antiche carte dell’archivio del monastero delle Domenicane di Alba, una straordinaria documentazione di cui si erano perse le tracce. Vi apprendiamo che nel XV secolo Casa Savoia venne informata delle future apparizioni di Fatima. Prima di entrare nel vivo della storia, soffermiamoci sulla figura della fondatrice del monastero, la grande Beata Margherita di Savoia.
Dunque, in Casa Savoia, come si era scritto la scorsa volta[1], vennero rivelate le future apparizioni di Fatima nel XV secolo e precisamente nel monastero, tuttora esistente, delle Domenicane di Alba, in provincia di Cuneo, fondato dalla beata Margherita di Savoia (1390-1464). In questo convento la memoria della fondatrice è rimasta viva, non così altrove, benché sia stata una personalità eminente nella Storia e nella Chiesa. Prima, quindi, di addentrarci nelle vicende che attestano che nel suo monastero si preconizzarono le future manifestazioni della Madonna nella benedetta terra portoghese, è necessario comprendere chi sia stata Margherita, detta «la Grande».
La beata Margherita ebbe una particolare affinità e devozione verso santa Caterina da Siena (1347-1380), come è comprovato anche dal manoscritto conservato alla Biblioteca Nazionale di Torino, che contiene 139 lettere dell’Epistolario della Santa senese, trascritte «de mandato Illustrissime Domine Margarite de Sabaudia Marchionisse Montisferrati» nel 1428, come precisa l’amanuense, e che sono annotate di mano da Margherita di Savoia; inoltre il manoscritto è corredato da un documento sulle regole da seguire per la recita del Rosario e le indulgenze ad esso annesso.
Proprio ad imitazione della Santa senese, domenicana come lei, che durante la cattività avignonese si era spesa anima e corpo per il ritorno a Roma del Pontefice, Margherita si adoperò intensamente e con successo, grazie alla sua opera di mediatrice presso principi e prelati, affinché la cristianità ritornasse sotto l’obbedienza di un solo Pontefice. Infatti, fu proprio lei a trovare gli argomenti giusti per consigliare il cugino Amedeo VIII di Savoia (1383-1451), antipapa per dieci anni con il nome di Felice V di rinunciare all’elezione pontificia. Così avvenne: il duca, ultimo antipapa della Storia, si sottomise volontariamente in nome dell’unità dei cristiani a papa Niccolò V (1397-1455), che gli concedette il titolo cardinalizio e alla sua morte venne sepolto nella Cappella della Sacra Sindone di Torino, dove tuttora riposa.
L’Ordine dei Predicatori conta numerosi santi e beati, fra i quali è annoverata la beata Margherita di Savoia, che si meritò l’appellativo di «Grande», in quanto testimone d’evangelica grandezza nei differenti stati in cui Dio la mise alla prova, come figlia, sposa, sovrana, monaca, consigliera, mistica.
Imparentata con le principali famiglie reali d’Europa, era figlia del conte Amedeo di Savoia-Acaia (1363-1402) e di Caterina di Ginevra (?-1400). Nacque nel castello di Pinerolo, probabilmente il 4 giugno del 1390: la sua vicenda storica iniziò, quindi, dieci anni dopo la scomparsa di santa Caterina da Siena, in un periodo doloroso sia per le guerre continue fra i signori del tempo, sia per lo sconvolgimento portato nella Chiesa dallo scisma d’Occidente.
A 12 anni rimase orfana dei genitori. Passò, quindi, con la sorella Matilde (1398-1424) sotto la tutela dello zio materno Ludovico (1364/1366-1418), ultimo discendente del ramo Savoia-Acaia, che si pose l’obiettivo di porre fine alle lunghe discordie fra Piemonte e Monferrato, e sia da un lato che dall’altro si mirò a Margherita come pegno sicuro di pace duratura. Da decenni, infatti, il Piemonte era sconvolto dalle guerre di conquista dei suoi territori fra i Savoia, i marchesi di Saluzzo, i marchesi del Monferrato e i Visconti di Milano. Margherita desiderava entrare in monastero, ancor più dopo aver conosciuto il predicatore e taumaturgo san Vicent Ferrer OP (1350-1419), chiamato l’«Angelo dell’Apocalisse», che si adoperò in modo particolare per la composizione dello scisma e che lei incontrò durante le sue predicazioni in terra subalpina e con il quale stabilì un solido rapporto, tanto da sceglierlo quale suo direttore spirituale. La loro conoscenza avvenne intorno al 1402, nella reggia di Pinerolo, e il loro legame spirituale si mantenne inalterato nel tempo, tanto che l’iconografia sacra li ritrae sovente insieme.
Tuttavia, appena tredicenne, per ragioni di Stato, il 17 gennaio 1403 andò in sposa a Teodoro II Paleologo (1364-1418), marchese di Monferrato. Il marito aveva 39 anni e due figli nati dal primo matrimonio. Desiderando unicamente compiere la volontà di Dio e per dovere dinastico accettò quell’unione: se Cristo era stato crocifisso, anche le sue aspirazioni potevano essere crocifisse.
Margherita di Savoia rappresenta tutte quelle donne che lungo la storia hanno sacrificato la propria vita per il bene delle popolazioni, evitando o annientando – con la loro adesione alle nozze (molte delle quali, statisticamente parlando, andate a buon fine per entrambi i coniugi) e il relativo sodalizio delle alleanze politiche – molte guerre fra popoli diversi e anche battaglie civili e lotte fratricide.
Nel XV secolo Gioffredo della Chiesa, nella sua Historia Saluzziana, scriveva: «17 gennaio 1403 Lodovico Principe di Acaja, andò in Asti con circa ottocento cavalli, per conferire alcune cose con Teodoro Marchese di Monferrato, col quale fece pace, e stette circa quindici giorni, dandogli per moglie Margherita sua nipote, figlia del fu Amedeo suo fratello, la quale fu poi tenuta per Santa...».
Casale Monferrato, dal 1378, fu il luogo di residenza più consueto dei coniugi. Nei quindici anni di matrimonio, Margherita si prodigò per smussare le angolosità dello scontroso marito, per dedicarsi all’educazione dei figliastri e fece tutto il bene possibile per i poveri e i malati che a lei ricorrevano. Quando Teodoro divenne capitano della Repubblica di Genova, fra il 1409 e il 1413 per liberare la città dall’occupazione francese, la moglie lo seguì e si adoperò senza riserve durante la peste del 1411 per portare soccorso alla popolazione stremata dal morbo e dalla fame. Tale fu il suo esempio, che alcune dame genovesi la seguiranno nel monastero domenicano di Alba, che lei fonderà e dirigerà.
La beata Margherita fu pellegrina al monferrino santuario di Crea, molto caro ai Paleologi, e forse lo fu anche insieme a san Vicent Ferrer, visto che un tempo esistevano degli affreschi, deteriorati dal tempo e dall’incuria, che ne davano testimonianza. Per una notte, invece, ebbe la gioia di ospitare nel suo castello di Trino Vercellese papa Martino V, la cui elezione al Concilio di Costanza (1414-1418), l’11 novembre 1417, pose fine al grande scisma d’Occidente, una conclusione che lei si industriò di condurre in porto non solo attraverso le pressioni su Felice V, ma anche ad una fitta rete di sue conoscenze. Il Pontefice fece ritorno a Roma il 30 settembre 1420: era il primo Papa romano dopo 135 anni.
Alla morte di Teodoro, il 2 dicembre 1418, Margherita divenne reggente del marchesato fino al 1420, quando il figlio del marito, Giangiacomo, raggiunse la maggiore età. Quell’anno la marchesa si ritirò nel palazzo di Alba (Cuneo), separato dal convento e dalla chiesa degli Umiliati dalla sola via e messo a sua disposizione da Giangiacomo. Qui, insieme alle sue più fedeli dame, si dedicò alla preghiera e alle opere di carità, rifiutando la proposta di matrimonio avanzata da Filippo Maria Visconti (1392-1447). La santa vedova rimase ferma nel suo rifiuto e per evitare nuovi pericoli di pretendenti, incoraggiata anche dall’apparizione di san Vicent Ferrer, da poco scomparso, si iscrisse al Terz’Ordine di San Domenico e ne portò pubblicamente l’abito, insieme alle sue compagne.
A poca distanza dal palazzo marchionale c’era la chiesa e il monastero di San Domenico, risalente al 1200. Padre Giacinto Baresiano, monaco di quel monastero e biografo del più antico libro sulla vita della Beata, pubblicata nel 1638 su commissione della duchessa di Mantova Margherita di Savoia Gonzaga (1589-1655), afferma che Margherita concorse alla conservazione e al completamento del luogo sacro, poiché dette «le sue stesse doti, come fece a punto nella città d’Alba gli anni 1441 e 1442, fundando e dotando la Chiesa, et edificando il Claustro et il Convento delle Monache Domenicane..., come ancora fabricando il primo Choro, dove hora [siamo nel 1638] è situato l’Altare, e la Cappella maggiore della nostra Chiesa di San Domenico. Et in testimonio di ciò, anche al presente miransi su la volta del detto Choro, o sia Cappella maggiore, dalli quattro lati di essa, non solo le armi, ma l’effigie di essa Beata in habito di Tertiaria Domenicana, con le mani giunte, inginocchiata, avanti i quattro Dottori di Santa Chiesa: Gregorio, Girolamo, Ambrogio e Agostino, nel cielo di essa volta dipinti». In questo monastero venne ospitato san Vicent Ferrer agli inizi del 1400, quando andava predicando in Piemonte e in Liguria, ed ebbe per due anni, come priore, nel XVI secolo, il domenicano Michele Ghislieri, futuro san Pio V (1504-1572), artefice, attraverso la «Lega Santa», della gloriosa battaglia di Lepanto, della quale quest’anno ricorre il 450° anniversario (7 ottobre 1571-2021) della vittoria, quando la Chiesa e i principi cattolici trionfarono sui musulmani, intenzionati a porre le basi per un dominio in Europa.
/ continua
[1] cf. Cristina Siccardi, Fatima e Casa Savoia. Una Storia sacra da ricostruire e ammirare, prima puntata, in Il Settimanale di Padre Pio, N. 18/2021, pp. 29-32.