“Pro Vita e Famiglia” ha compilato un dossier, di prossima divulgazione, che raccoglie centinaia di casi di genitori e cittadini perseguiti penalmente per aver espresso opinioni che dissentono dai dogmi LGBT laddove una legge simile a quella di Zan è già in vigore. Apriamo gli occhi sul pericolo di una legge liberticida.
Molti ancora non credono che il disegno di legge Zan (ddl Zan) sull’omo-trans-bifobia sia un pericolo per la libertà di pensiero, di parola e soprattutto di educazione.
Forse il problema sta nel fatto che al di là della propaganda martellante del politicamente corretto, la norma è di difficile lettura: bisogna tener presente gli articoli del codice penale e delle altre norme richiamate che la proposta in questione andrebbe a modificare.
Codice penale che già così com’è punisce severamente ogni tipo di violenza fisica o verbale nei confronti di chicchessia. E qui sorge la prima criticità: perché picchiare un gay (o trans, o “bi”, ecc., ecc.) è più grave che picchiare una persona non gay? L’integrità fisica e la vita dei gay vale più di quella di tutti gli altri cittadini?
Con il nuovo testo dell’art. 604 bis c.p., così come vorrebbe modificarlo il ddl Zan, si punirà «chi propaganda idee, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere».
Non saremo quindi più liberi di pensare ed esprimere il nostro pensiero in tema di morale, educazione sessuale e natura umana.
Perché se passa il ddl Zan, qualsiasi discorso che in qualche modo critichi lo stile di vita LGBT può essere considerato “discriminatorio” e finire sotto processo.
Se passa il ddl Zan e venissero i travestiti “Drag Queen” a raccontare favole gay ai bambini dell’asilo (cosa che già accade all’estero ed è stata organizzata nel Comune di Roma, prima della pandemia), i genitori non potrebbero protestare. Così come non potrebbero protestare per qualsiasi altra “lezione” di “educazione” sessuale fatta da esponenti del mondo LGBT.
Se passa il ddl Zan, poniamo che un prof. metta un “4” a due studenti: quello etero se lo tiene zitto e mosca; quello gay accusa il prof. di discriminazione omofobica e lo fa finire sotto processo (gli basta dimostrare che il prof., per esempio, è un sostenitore di Pro Vita & Famiglia!).
Chi pensasse che queste previsioni siano esagerate, dovrebbe informarsi su ciò che accade all’estero dove norme di questo genere già sono in vigore da tempo (le chiamano generalmente norme contro i “discorsi d’odio”).
Qualche esempio, tra le centinaia che noi di Pro Vita & Famiglia abbiamo raccolto in un corposo dossier di prossima divulgazione.
In Canada, Rob Hoogland è finito in galera (ora è libero su cauzione) perché non accetta che la figlia minorenne sia stata indirizzata verso la “transizione di genere” dalla scuola e dagli assistenti sociali a sua insaputa. Anche in Italia sarebbe punibile, in base all’art. 2 del ddl Zan.
In Inghilterra, Maya Forstater è stata licenziata per aver twittato la verità: un uomo non può diventare donna (può sembrare donna, ma non può diventarlo) e il giudice da lei adito ha dato ragione al datore di lavoro.
Sempre in Inghilterra, John Sherwood, un pastore, sposato e con due figli, è stato arrestato per aver predicato i versetti della Genesi (1,27-28), dove si dice che Dio «Maschio e femmina li creò», e li ha benedetti dicendo: «Siate fecondi e moltiplicatevi».
In Finlandia, l’ex ministro Paivi Rasanen, una luterana, andrà a processo con l’accusa di “incitamento all’odio” verso gli omosessuali per aver citato san Paolo.
Intanto, in Canada, la Corte suprema della Columbia Britannica ha ordinato che il nome di una seconda madre sia aggiunto sul certificato di nascita di un bambino che ha già due genitori registrati: la donna è amante dei due da molto prima della nascita del bambino. Per usare un’espressione cara alla nostra Corte costituzionale “ha partecipato al progetto genitoriale” fin dall’inizio, quindi ha “diritto” di essere legalmente madre. Non è una sentenza isolata. Cominciano ad essere parecchie (in Canada, ma anche in altri Paesi) le decisioni giurisprudenziali che puntano a sdoganare il “poliamore” (neologismo più gradevole dell’espressione retriva, medievale e integralista “orgia stabile e sistematica”).
Non ci stupiremmo se a breve avvenisse la formale legalizzazione. Già questi gruppi (un uomo e due donne, una donna e due uomini, o anche tre dello stesso sesso, e forse anche più di tre) lamentano lo stigma sociale, l’emarginazione e le ingiuste discriminazioni che il loro “puro amore” subisce, prima fra tutte quella di non poter essere considerati tutti genitori dei bambini che crescono con loro.
Qualcuno vuol dire ad alta voce che è una tremenda forma di violenza psicologica per quelle malcapitate creature? Qualcuno pensa che questi menage a trois non possono essere “famiglia”? È certamente un incitamento alla discriminazione per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere: in base all’art. 2 del ddl Zan rischia fino a quattro anni di carcere, salvo aggravanti.