ATTUALITÀ
Intervista a Pedrizzi | Una tassa patrimoniale all’orizzonte?
dal Numero 19 del 16 maggio 2021
a cura di Nicodemo Piccoli

Nel “Documento di Economia e Finanza 2021” messo a punto dal Governo, la parola “patrimoniale” non compare, ma tra le righe è chiaro quale sia la strada che il Governo Draghi intenda battere per controbilanciare l’aumento del debito provocato dall’emergenza sanitaria. A sollevare l’allarme è stato il senatore Riccardo Pedrizzi, già Presidente della Commissione Finanze e Tesoro del Senato e Vicepresidente di Federproprietà. Facciamo con lui il punto della situazione e alcune fondamentali considerazioni.

1) Periodicamente si torna a parlare di “patrimoniale” (una nuova imposta anche sulla prima casa o un nuovo prelievo forzato sui conti correnti dei cittadini) da parte di alcune forze politiche e dietro più o meno velati suggerimenti di organismi europei. Recentemente Lei, come Vicepresidente di Federproprietà, ha lanciato l’allarme. Potrebbe sintetizzare qui le voci che destano preoccupazione?

Nella giornata inaugurale dell’indagine conoscitiva sulla riforma fiscale avviata dalle Commissioni Finanze di Camera e Senato, il direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini ha elencato i mali del fisco: 1.200 modifiche al Testo Unico sulle imposte sui redditi, 1.000 interventi sul decreto Iva e 500 sulle regole dell’accertamento, che hanno prodotto il caos attuale. Serve perciò, innanzitutto, semplificare e varare testi unici di tutta la normativa dopo averla sfoltita.

Anche Bankitalia aveva insistito su una forte semplificazione, proponendo un maggior prelievo sul possesso di immobili, con una revisione dei valori catastali, e sui consumi aumentando l’Iva. «Il confronto internazionale – aveva spiegato Giacomo Ricotti, Capo del Servizio assistenza e consulenza fiscale di Bankitalia – mostra come il livello di prelievo effettivo sui consumi in Italia sia tra i più bassi in Europa». Ed anche per gli immobili occorrerebbe – a suo avviso – un ampliamento della base imponibile dei prelievi esistenti, attraverso una revisione dei valori catastali.

Non ultimo, per il presidente della Corte dei conti, Guido Carlino, sempre in audizione nel corso della medesima indagine, pur ritenendo «necessario procedere a una riduzione dell’onere fiscale», per avere maggiore equità e per garantire comunque gettito allo Stato, la soluzione migliore potrebbe essere «una patrimoniale» che colpisca sia il patrimonio personale che familiare, quindi gli immobili (anche la prima casa), gli investimenti e la previdenza complementare. «Una valutazione preliminare – aveva continuato Carlino – dovrebbe riguardare la caratteristica del prelievo, che da reale potrebbe essere trasformato in personale, considerando dunque tutte le forme di patrimonio ed, eventualmente, la base familiare anziché individuale».


2) Progettare di tassare i patrimoni degli italiani per ridurre il debito o fronteggiare promesse fatte sul Recovery e non mantenute non sarebbe un autogol clamoroso per il Paese e una stangata per il settore immobiliare?

Sicuramente. È incredibile come tutte queste proposte vadano in direzione totalmente opposta a quanto servirebbe per la ripresa economica: 1) occorre rilanciare i consumi, per far ripartire la produzione di beni e servizi ed invece li tassiamo per scoraggiarli; 2) occorre aiutare il settore che più crea occupazione generalizzata e muove tutti gli altri settori indotti (dalla produzione del cemento, alle piastrelle, ai prodotti di arredo, all’elettricità, alle rubinetterie, al mobile ed agli infissi) e noi tassiamo proprio il motore di tutto questo, cioè l’industria delle costruzioni, di quelle case che nessuno comprerebbe più e nessuno ne farebbe un investimento. Eppure noi stiamo già scontando una patrimoniale sugli immobili – l’IMU –, che pesa per 22 miliardi.

In pratica quella che per il ministro dell’Economia Daniele Franco, secondo quanto scritto nella premessa al Documento di Economia e Finanza 2021 approvato dal Consiglio dei ministri, sarebbe una «articolata revisione», rischia di diventare il grimaldello per un intervento a gamba tesa sui patrimoni immobiliari. Anche se il responsabile economico della Lega, Alberto Bagnai, e il capogruppo in commissione Finanze della Camera, Alberto Gusmeroli, hanno detto subito che non ci pensano proprio a tagliare il reddito delle famiglie, aumentando l’Iva ed introducendo patrimoniali. Così come il coordinatore nazionale di Forza Italia, Antonio Tajani, il quale ha dichiarato: «Abbiamo detto a Draghi che non accetteremo nessuna patrimoniale ma magari si pensi a un uso dei fondi privati: il governo chiami a raccolta i cittadini e le imprese che vogliono investire».

Ancora una volta, l’ennesima, con l’alibi di riordinare il sistema fiscale, che pur è necessario, si torna alla carica per introdurre tasse sul patrimonio, come se in Italia non esistessero già altre tasse di questo tipo. Una è l’IMU, che si paga sugli immobili, con esclusione della prima casa; la seconda è la TARI, una tassa per lo smaltimento dei rifiuti, che nella realtà è un’altra imposta patrimoniale, calcolata in base ai metri quadrati di case e uffici, anche se da più di un anno nelle seconde case non si è potuti andare e gli uffici sono rimasti in gran parte vuoti.


3) A ciò poi si aggiunga che moltissime persone oneste, proprietari di case, stanno vivendo una terribile ingiustizia per il prolungarsi del blocco degli sfratti, che consente anche ad un moroso incallito, che non paga l’affitto e le spese condominiali da anni, di non restituire la casa...

Naturalmente il continuo e inaccettabile blocco degli sfratti non fa altro che incentivare la morosità e tutelare questi cattivi pagatori, i quali molto spesso hanno una esecuzione di sfratto emessa da un tribunale quando non si conosceva neanche l’esistenza del Covid. Esiste una notevole differenza tra coloro che non possono pagare un affitto perché hanno perso il lavoro per la pandemia e coloro che non pagano da anni, per cui bisognerebbe distinguere le situazioni. In pratica andrebbero analizzate le diverse condizioni di chi possiede l’appartamento, di chi è moroso, di chi è occupante abusivo, di chi non paga perché è rimasto senza reddito. Insomma c’è sfratto e sfratto. Perché si mette sullo stesso piano un approfittatore abusivo e un inquilino onesto in oggettive difficoltà economiche?

Bisognerebbe perciò cancellare almeno l’IMU per il 2021 per tutti i proprietari interessati, ai quali è stato imposto di mantenere il proprio inquilino moroso. Il proprietario almeno non venga gravato di tasse su qualcosa di cui non può disporre. Se si vuole aiutare con questo provvedimento inquilini onesti in situazione di reale necessità, si potrebbe intervenire: o erogando degli indennizzi adeguati ai proprietari o indennizzando gli stessi affittuari, tutelando da una parte il proprietario di case e dall’altra il conduttore indigente.

I proprietari di casa nel nostro Paese non sono ricchi possidenti, spesso sono piccoli e piccolissimi risparmiatori per i quali l’introito del canone rappresenta una parte fondamentale del proprio reddito e di cui proprio in questo momento avrebbero particolarmente bisogno.


4) In realtà l’attacco alla proprietà privata sembra partire da più lontano. Già da qualche anno se ne parla nei “salotti dell’alta finanza speculativa”. Qualcuno ha parlato di “capitalismo comunista”. È uno scenario verosimile? Quali sarebbero i rischi?

È senz’altro vero che questo attacco contro la proprietà immobiliare privata viene ormai sferrato, oltre che da certe forze politiche nel nostro Paese, anche a livello globale dai grandi centri finanziari, che addirittura suggeriscono questa strategia con i loro influenti mezzi di informazione, come si può rilevare dal primo numero del 2021 di The Economist, il settimanale dei Rothschild, secondo il quale «l’orribile errore immobiliare dell’Occidente ha causato invidia e malcontento» perché «la proprietà della casa è il più grande errore di politica economica dell’Occidente. È un’ossessione che mina la crescita, l’equità e la fede pubblica nel capitalismo». «È urgentemente necessaria una nuova architettura» perché «regolamenti poco chiari proteggono un’élite di proprietari di case esistenti e impediscono agli sviluppatori di costruire i grattaceli e gli appartamenti che l’economia moderna richiede. Gli affitti elevati e i prezzi delle case che ne derivano rendono difficile per i lavoratori spostarsi dove si trovano i posti di lavoro più produttivi e hanno rallentato la crescita».

Quanto espresso dall’Economist è il programma del Forum di Davos che contempla la soppressione della proprietà degli alloggi e la loro confisca: i cittadini dovrebbero perdere per sempre la proprietà privata di qualsiasi bene.

Anche l’Istituto Mises, think tank dell’ideologia liberista, segnalava già nel 2016 la volontà di abolire la proprietà privata da parte del Forum di Davos e si allarmava per questo in un suo rapporto.
In Welcome to 2030, una pubblicazione per il World Economic Forum, Ida Auken, già ministro danese dell’ambiente dal 2011 al 2014, immagina un mondo in cui «non possiedo nulla, non ho privacy e la vita non è mai stata migliore». In questo suo nuovo mondo idilliaco, le persone hanno libero accesso a mezzi di trasporto, alloggio, cibo «e tutte le cose di cui abbiamo bisogno nella nostra vita quotidiana». Dato che queste cose diventeranno gratuite, «non ha senso per noi possedere molto». Non ci sarebbe la proprietà privata nelle case e nessuno pagherebbe l’affitto, «perché qualcun altro sta usando il nostro spazio libero ogni volta che non ne abbiamo bisogno». Del resto, lo stesso Forum di Davos ha titolato uno dei suoi studi: Il capitalismo ha bisogno del marxismo per sopravvivere alla quarta rivoluzione industriale? perché: «La proprietà privata è di ostacolo al capitalismo», come afferma l’Economist dei soliti Rothschild.

Purtroppo il rischio che stiamo correndo è veramente grande, perché nel momento in cui si comincia a sottrarre beni in modo arbitrario, di fatto si sottrae libertà, dunque togliendo la proprietà togli la libertà. La proprietà è il baluardo della libertà individuale e non c’è democrazia che funzioni senza proprietà privata, essendo questa una risorsa che protegge contro il potere arbitrario.


5) Può apparire fuori posto, nel mezzo di una galoppante crisi finanziaria ed economica dovuta alla pandemia, affrontare il tema dell’eccessiva tassazione e degli sprechi pubblici. Ma quello della giustizia fiscale è un principio di base imprescindibile. E ciò soprattutto sul piano morale. Ci potrebbe spiegare come la Dottrina sociale della Chiesa può illuminare e orientare questo dibattito?

Il dibattito si svolge sempre su come trovare le risorse necessarie a coprire il disavanzo e non invece sul perché lo Stato esiga tributi tanto elevati. Si dà per scontato, in altre parole, che lo Stato abbia bisogno di spendere molto, ragion per cui si cerca solamente dove e da chi prelevare i denari necessari.

La domanda da porsi allora diventa: è necessario che lo Stato spenda tanto? Il problema della giustizia fiscale non può ridursi alle questioni dell’evasione, che pure è importantissima, e del tecnicismo delle forme di prelievo, ma di quanto lo Stato può e deve prelevare.

Questo ci porta ad esaminare in generale i rapporti tra Stato e cittadini e i limiti dell’attività statale. Più lo Stato è “pesante”, più spende. Più spende, più deve chiedere risorse; più spende male e più deve aumentare la pressione fiscale. È chiaro, allora, che la questione fiscale non è una questione solo tecnica, ma politica.

E proprio su questo tema i cattolici possono e devono intervenire alla luce degli insegnamenti della Dottrina sociale della Chiesa.

Nella Dottrina sociale della Chiesa i confini dello Stato rispetto alle autonomie private sono definiti dal principio di sussidiarietà a cui tutte le società sono «gravemente obbligate ad attenersi» (Giovanni Paolo II). Questo principio stabilisce che, «siccome non è lecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare» (Quadragesimo Anno di Pio XI, del 1931).

Compito dello Stato, dunque, è fare quello che i privati non riescono a fare da soli: è per organizzare questo “di più” che lo Stato ha diritto di esigere i necessari tributi.

Nel mondo moderno, rilevava già Pio XII nel suo discorso del 2 ottobre 1948 a un congresso sulle pubbliche finanze, «i bisogni finanziari di ogni nazione, grande o piccola, sono formidabilmente aumentati. La causa non è da ricercarsi solo nelle isolate complicazioni e tensioni internazionali, ma anche, e più ancora forse, nell’estensione smisurata dell’attività dello Stato, dettata troppo spesso da ideologie false e malsane, che fa della politica finanziaria, particolarmente della politica fiscale, uno strumento al servizio delle preoccupazioni di un ordine affatto diverso». Gli Stati moderni fondano la loro politica fiscale sulla tesi «secondo cui lo Stato è in grado di impiegare le risorse economiche della società meglio di quanto non possano e non sappiano fare i privati».

Al principio di sussidiarietà si contrappone così lo statalismo, che dilata la spesa pubblica e, di conseguenza, aumenta la pressione fiscale. Lo Stato moderno perciò allarga sempre più le sue funzioni e assume continuamente nuovi compiti. A mano a mano che la sfera del pubblico si allarga, la sfera del privato si comprime e con essa si comprime lo spazio della libertà personale. Di qui anche la necessità di avere dei “corpi intermedi” che stiano tra la persona e lo Stato, e che, come diceva Louis de Bonald, proteggono la libertà per il solo fatto di esistere. Soppressi i corpi intermedi, la persona si sradica e diventa astratta, perde libertà e autonomia.


6) Ciò è quanto avvenuto in questi anni nell’amministrazione pubblica italiana. Ora cosa sarebbe necessario fare?

Con l’aumentare dell’attività dello Stato è aumentato parallelamente il carico dei tributi, perché nei compiti che non sono i suoi la macchina statale tende a produrre sprechi e a fallire gli obiettivi. È necessario, dunque, che lo Stato si ritiri e lasci più spazio al privato, continuando beninteso ad esercitare i doverosi controlli con regole precise ed attente verifiche.

E ciò soprattutto nel settore finanziario, dove i pericoli di abusi sono grandemente amplificati dalla globalizzazione e dalla totale internazionalizzazione dei mercati finanziari, con la conseguente permeabilità dei confini nazionali all’avventurismo di una certa finanza internazionale con i suoi “prodotti derivati”, autentiche bombe ad orologeria. Ma il combattere il continuo incremento dell’invadenza dello Stato nell’“economia reale” non vuol dire certo farsi fautori di un liberismo senza controlli, ossia di un “ultraliberismo”.

I valori in gioco in questa grande battaglia contro l’invadenza e l’elefantiasi dello Stato vanno ben oltre il dato fiscale ed economico. E la cultura cattolica si trova di fronte ad una sfida storica. I cattolici hanno oggi la possibilità di rispondere ad esigenze diffuse, riproponendo l’attualità politica del principio di sussidiarietà alla luce della formula: «Tanta libertà quanta è possibile, tanto Stato quanto è necessario».

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