ATTUALITÀ
Utero in affitto. Chi fa gli interessi del bambino?
dal Numero 15 del 18 aprile 2021
di Francesca Romana Poleggi

La gravidanza instaura tra la donna e il bimbo che porta nel grembo un dialogo formato non da parole ma dai caratteri indelebili della biochimica. La pratica dell’utero in affitto lo inquina e spezza violentemente. Al neonato di oggi e all’uomo di domani è imbastita una sofferenza senza nome. In forza di quale diritto può diventare possibile infliggerla impunemente e legalmente?

Nel dibattito sull’utero in affitto, si parla molto del “diritto al figlio” degli adulti che si possono permettere di comprarne uno, si parla abbastanza dei diritti e della dignità calpestata della madre surrogata. Ma dei diritti e del miglior interesse del bambino si parla molto poco.

Evidenzia la cosa, in un articolo su The Public Discourse, Seow Hon Tan, professore della Singapore Management University, che avanza diverse obiezioni alla legalizzazione dell’utero in affitto incentrate sul “miglior interesse” del bambino (quel “best interest” che sembrerebbe stare tanto a cuore al politicamente corretto, tanto da giustificare persino l’eutanasia).

Possiamo schematizzare le osservazioni del professor Tan, integrandole con quanto già sapevamo, avendo letto gli studi della professoressa Ibone Olza Fernandez, una psichiatra specializzata nella cura di bambini e adolescenti e in psichiatria perinatale, che abbiamo condiviso da tempo con i nostri Lettori.

• Epigenetica. La vita nell’utero può influenzare lo sviluppo del bambino. Poiché le madri surrogate sono sempre incoraggiate a non affezionarsi al bambino che stanno portando in grembo, questo arreca loro stress e viene in qualche modo comunicato al diretto interessato. Inoltre, la donna è sottoposta anche a stress particolare, imprevedibile, causato dai rapporti con i committenti, con la clinica della fertilità, con i medici. E anche questo si riflette sul bambino in grembo. Lo stress produce eccesso di cortisolo. La professoressa Fernandez mette in guardia dai disturbi neurologici e comportamentali cui sono soggetti maggiormente i bambini che durante la gravidanza sono stati sottoposti a tale stress.

È inoltre dimostrato che anche a livello di DNA, la gravidanza provoca delle mutazioni “epigenetiche”, appunto, nel genoma del bambino, che quindi in qualche modo risulterà anche geneticamente legato alla madre.

• Separazione dalla madre. Il bambino separato dalla madre subisce un trauma. Fatto ben documentato nei casi di adozione. Chi dà diritto a degli adulti di imporre questo trauma ai bambini che desiderano siano fabbricati per loro? Anche questo trauma fa produrre cortisolo in eccesso (questa volta lo produce il bambino stesso).

• Legame con i compratori. Dopo essere stati separati dalla madre, i neonati possono incontrare grossi problemi a legarsi con i nuovi “genitori”. Le c.d. “madri di intenzione” avranno difficoltà a crescere i bambini senza poter trarre vantaggio dalla sensibilità che si è sviluppata durante la gravidanza e dall’attaccamento neurofisiologico che normalmente ne deriva.

• Problemi psicologici nei figli adulti. I bambini comprati desiderano una volta adulti incontrare la loro madre. Se frustrati in questo desiderio, resteranno tutta la vita a interrogarsi su chi fosse, e – in caso di donazione di gameti – anche su di chi fosse il patrimonio genetico, che ha formato la persona che è diventato.

Si potrebbe obiettare che tutti questi problemi si riscontrano anche nei bambini abbandonati e adottati. Ed è vero. I bambini adottati, anche se molto piccoli, sono bambini traumatizzati. Ma c’è una grande differenza tra utero in affitto e adozione.

L’adozione pone rimedio – non sempre del tutto efficace, tra l’altro – al trauma subito dal bambino che è stato abbandonato o separato dalla madre per qualche evento disgraziato (morte, disperazione, violenza, ecc.).

Con l’utero in affitto (e con la fecondazione artificiale eterologa, mutatis mutandis), invece, il trauma lo provocano scientemente, volontariamente, proprio quelli che osano asserire che vogliono dargli “tanto amore”.

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