Le agenzie culturali del Dragone sono passate a strumenti d’influenza più raffinati per promuovere la Cina comunista senza fare propaganda: web influencer, C-Drama, riviste specializzate. Rigorosamente sorvegliati dal Partito, danno l’impressione di una libertà d’espressione e fanno da valvola di sfogo sociale.
La Cina post-maoista ha capito da tempo che la battaglia per l’egemonia culturale mondiale e le campagne di influenza vanno combattute con gli stessi strumenti della comunicazione occidentale.
Per questo ha dispiegato nel corso degli ultimi venti anni: una piattaforma televisiva internazionale in più lingue (CCTV poi chiamata CGTN), particolarmente diffusa in Africa, dove i cinesi stanno espandendo le loro mire; una rete internazionale di canali radiofonici dedicati a presentare la Cina agli stranieri, Radio Cina Internazionale – a cui si accompagnano numerose radio locali in mandarino che mirano alla diaspora cinese nel mondo; una agenzia di notizie chiamata Xinhua, una sorta di Associated Press in salsa sino-comunista che peraltro fornisce contenuti proprio alle agenzie stampa come Ansa tramite dei contratti di partnership, facendo arrivare anche da noi la voce di Pechino.
In futuro racconterò più in dettaglio questi tre strumenti, per ora va notato che si tratta di canali comunicativi tradizionali, che hanno il crisma dell’ufficialità, quindi sono chiaramente riconoscibili come strumenti di propaganda o comunque di informazione statale. Inoltre sono strumenti economicamente molto costosi e soggetti a regolamentazioni. Infine raggiungono solo in parte il pubblico più giovane. Per questo le agenzie culturali del Dragone hanno dovuto adottare mezzi più raffinati. E di questi parleremo in questo articolo.
In Occidente abbiamo molti e molte web-influencer, cioè sfaccendati che fra un balletto su TikTok e un ritratto indecente su Instagram fanno un sacco di soldi, approfittando della debolezza degli occhi altrui e dell’esaltazione della superficialità come valore culturale e di marketing. Anche la Repubblica Popolare dispone di simili risorse – ma ha alcuni web-influencer invece assolutamente lontani da questi stereotipi, su cui ha deciso di investire. La più interessante in assoluto è Li Ziqi, per certi versi atipica anche per la Cina moderna.
Si tratta di una giovane e graziosa contadina del Sichuan, capace di coltivare ogni sorta di vegetale, badare agli animali, preparare gustosissimi piatti tipici, produrre manufatti artigianali e costruire strumenti di lavoro. Nei suoi numerosi video sul social nazionale Weibo, visibili anche nel resto del mondo sul suo canale Youtube, si possono apprezzare immagini rilassanti della campagna cinese e uno stile di vita semplice e silenzioso, tutto centrato sul lavoro e la tradizione. Li Ziqi è quasi sempre sostanzialmente vestita in modo decente, alle volte persino tradizionale e modesto. E non solo non espone il suo corpo, ma dedica gran parte dei suoi sforzi a prendersi cura della nonna anziana, con cui vive sola fra le campagne. A risaltare non sono solo le sue abilità manuali ma anche la sua intelligenza artistica: i suoi bellissimi video sono girati in alta qualità e con una troupe – anche se all’inizio li girava da sé – e Li fa da regista e ideatrice. La sua storia è particolarmente interessante perché, rimasta orfana da bambina, Li è emigrata da sola in città in cerca di fortuna, e dopo non averla trovata ha preferito tornare in provincia e prendersi cura degli affetti. Una storia anti-moderna che all’apparenza parla implicitamente dell’insuccesso del modello di vita – “fare soldi, farli sotto la guida del Partito” – proposto da Pechino alle classi urbane e ai migranti interni del grande Paese.
In realtà, dopo alcuni anni di grandi successi, si è scoperto che Li Ziqi, pur essendo un vero talento del web e una genuina amante della vita bucolica, è stata selezionata da una grande società del web cinese per trasformarla in una celebrity. Anzi, una celebrity da esportazione. Come si deduce dal fatto che le è permesso avere seguitissimi (nell’ordine delle decine di milioni di fan) account Youtube, Twitter e Facebook, altrimenti proibiti in Cina ai comuni mortali. Con la sua leggiadria Li Ziqi rende il popolo cinese più avvicinabile e interessante per gli stranieri e ribalta l’immagine di un Paese inquinato, fitto di grattacieli disordinati e fabbriche giganti nel quadretto delle dolci colline del Sichuan. Le sue clip sono profondamente rilassanti e arrivano a totalizzare anche 12 milioni di visite ciascuna, dal Canada all’Indonesia. Le autorità cinesi così hanno riconosciuto la capacità della giovane di promuovere il Dragone senza spendere nemmeno una parola di propaganda nei suoi video. Facendo così gli interessi del Partito, anche se genuinamente la giovane vuole solo fare poesia visiva. Il coronamento di questo successo – forse costruito in laboratorio – è arrivato con la nomina a membro della “Federazione Giovanile di tutta la Cina”, ad agosto 2020. Si tratta di una associazione nazionale fondata nel 1949 che riunisce i più disparati gruppi e organizzazioni giovanili e studenteschi all’insegna del patriottismo e del socialismo cinese. Non un dipartimento interno del Partito Comunista Cinese, ma uno strumento attraverso cui il Partito anima e guida i giovani del Paese.
Insomma, anche una contadina vlogger può essere usata come raffinato strumento di influenza culturale.
Questo tipo di strategia poi può utilizzare prodotti molto popolari, ad esempio i C-Drama (cioè le serie Tv romantiche o storiche fatte in Cina) o molto sofisticati per un pubblico intellettuale straniero, come la rivista di approfondimento Sixth Tone. Nel primo caso si cerca di esportare nel resto del mondo una alternativa alle più diffuse serie sud-coreane, chiamate K-Drama, che fanno impazzire i giovani di gran parte dell’Asia e hanno una consistente nicchia in Occidente. La qualità delle riprese o la bellezza dei costumi tradizionali delle fiction ambientate nell’antichità imperiale colpiscono l’attenzione e avvicinano alla cultura del Dragone: per questo le si può trovare gratis e sottotitolate in più lingue online. Nel secondo caso siamo di fronte a un prodotto culturale di alta qualità, in inglese, con articoli di approfondimento che scavano nelle pieghe della Cina urbana e delle sue contraddizioni (dalla depressione della middle class allo sfruttamento dei fattorini passando per la crisi demografica), permettendosi persino di far intuire note critiche, su cui comunque non si calca la mano. Anche perché la quota di controllo della società madre è detenuta dal comitato del Partito Comunista di Shangai. Eppure leggere Sixth Tone potrebbe dare a un osservatore occidentale l’impressione che anche in Cina ci sia una certa libertà di espressione.
Tutti questi prodotti culturali aiutano poi anche i creativi e gli intellettuali del Paese asiatico a usufruire di spazi e mezzi comunicativi che fanno da valvola di sfogo per una società tutta centrata sulla produzione, il successo economico, la fedeltà assoluta allo Stato. Una società altrimenti asfissiante.
Questa breve panoramica potrà aiutarci a capire che non abbiamo più a che fare con un comunismo novecentesco, monolitico e prevedibile. E che i think-tank del Partito sanno come usare le meraviglie della tecnologia e della tradizione cinese per farci accettare il loro modello. Preghiamo e confidiamo però che anche la Cina, con tutti i suoi tesori, abbraccerà Cristo attraverso Maria, come tanto san Massimiliano M. Kolbe avrebbe desiderato.