A fronte della prassi attualmente in uso per la distribuzione della santa Eucaristia in tempo di Covid, proponiamo un’analisi serena, oggettiva e intelligente – tra le molte che sono state fatte in questo senso –, unendoci a coloro che si chiedono come mai ancora non si possa tornare a comunicarsi nel modo tradizionale.
Quello che riportiamo in sintesi è l’intervento del dottor Paolo Gulisano, epidemiologo, circa le norme sanitarie da osservare per la distribuzione dell’Eucaristia in tempo di Covid-19, tenuto a Radio Buon Consiglio.
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Innanzitutto bisogna dire che nel protocollo d’intesa tra la Conferenza Episcopale e il Comitato Tecnico Scientifico non c’è un divieto tassativo della Comunione sulla lingua, tant’è vero che nella Chiesa ortodossa di rito cattolico, in Italia e fuori dall’Italia, la Comunione è distribuita sotto le due specie, cosa che non è possibile nella Chiesa Cattolica.
Come epidemiologo posso affermare che nei Paesi dell’Est, dove le comunità ortodosse non sono poche e c’è una maggioranza di fedeli ortodossi che continuano a comunicarsi prendendo l’Eucaristia in bocca, non c’è stato un particolare aumento dei casi da coronavirus o un particolare focolaio epidemico da Covid-19.
Qui in Italia, invece, si è giunti alla proibizione di fare la Comunione in bocca secondo la forma tradizionale perché si pensa che, prendendo la Comunione in questo modo, ci può essere un aumento del rischio di contagio.
Ma è realmente così? In realtà non c’è un pericolo maggiore di quando si riceve la Comunione sulla mano; anzi, evidenze scientifiche dimostrano come l’uso della distribuzione della Comunione sulla mano può essere più rischioso rispetto all’uso di riceverla sulla lingua. Ciò è dovuto all’evidenza che sulle mani si depongono molti microrganismi patogeni, batteri, virus e quant’altro.
Se volessimo considerare la Comunione solo come un semplice alimento, quindi senza la certezza di fede che ci fa fermamente credere che in quell’Ostia c’è tutto il Corpo e il Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo, dobbiamo concludere che, come tutti gli alimenti, non è un veicolo particolare di trasmissione dell’infezione. E a questa conclusione si è arrivati dopo mesi e mesi di studio, da quando, cioè, è scoppiata l’epidemia. A riprova di ciò vediamo che i ristoranti, i bar, gli alimentari, non hanno subito restrizioni per motivi legati alla consumazione di alimenti. Attraverso i cibi si possono trasmettere altre forme virali come il tifo, il colera, l’epatite A, ma non il coronavirus.
A questo punto, allora, si potrebbe pensare che possa essere il sacerdote a contagiarsi toccando le labbra del fedele che si comunica e trasmettere il virus agli altri fedeli che si comunicheranno dopo. Seppur dovesse accadere la possibilità che il sacerdote tocchi le labbra dei fedeli, non può infettarsi e ciò per un motivo molto semplice: il coronavirus è presente in una percentuale bassissima nella saliva. Esso può essere presente in modo considerevole nel muco nasale o catarrale e non nella saliva perché in essa c’è un enzima, il lisozima, che è un disinfettante naturale. Si vuole la prova di quanto affermo? I tamponi che si eseguono per prelevare campioni di muco contenenti coronavirus sono rinofaringei e non orofaringei, cioè si prelevano dalle mucose nasali o dalla faringe e non dalla bocca. Quindi la possibilità che un sacerdote possa infettarsi, toccando la lingua del comunicando, nell’atto di assumere la Comunione è ininfluente. Il virus, infatti, non si trasmette attraverso la saliva, ma attraverso le secrezioni, come per esempio attraverso gli starnuti, o i colpi di tosse o parlando ad alta voce; in tutti questi modi si possono diffondere delle microgoccioline a forte pressione. A meno che un fedele, all’atto di ricevere la Sacra Particola, non starnutisca o tossisca addosso al sacerdote, è estremamente improbabile la trasmissione del virus.
Il timore dei vescovi o dei parroci non è, pertanto, giustificato quando scelgono di considerare più sicura la distribuzione dell’Eucaristia sulla mano.
A rigor di logica, stando al loro ragionamento, ai fini della sicurezza sanitaria dovrebbero addirittura consigliare ai fedeli di prendere la Comunione in ginocchio perché, se c’è preoccupazione della trasmissione per via aerea e se, consequenzialmente, vogliamo tenere lontane le vie respiratorie dei fedeli da quelle dei sacerdoti, non c’è niente di meglio che ricevere la Comunione in ginocchio, in modo che naso e bocca del fedele siano più distanti dal naso e dalla bocca del sacerdote.
Inoltre, per la legge fisica naturale, la Comunione cade sulla lingua per la forza di gravità e quindi diminuisce il pericolo del contatto con la mano del ministro di Dio.
Bisogna ancora dire che negli studi odontoiatrici o nei vari centri odontoiatrici non ci sono stati particolari casi d’infezione da coronavirus per il motivo che non c’è pericolo di contagio per contatto con la bocca.
Alla luce di ciò bisognerebbe che le nostre chiese tornassero alla normalità. Bisognerebbe rimettere anche l’acqua santa nelle acquasantiere perché il virus non vive nell’acqua; il contagio è solo interpersonale. È possibile tornare a Messa senza terrore e senza fobie, come quella di pulire le panche. Non è mai stato dimostrato che il virus si trasmetta attraverso oggetti.
Sulla base delle affermazioni del dottor Gulisano, sarebbe importante che la Chiesa sedesse al tavolo delle trattive con il governo, con una propria commissione tecnico-scientifica, confortata dalla letteratura scientifica prodotta dagli esperti. A riguardo ricordiamo che nel giugno 2020, il dottor Gulisano ed altri ricercatori del settore hanno indirizzato alla Santa Sede e al presidente della Conferenza Episcopale una lettera con relativa documentazione scientifica, dimostrando che non c’è un particolare rischio di contagio quando si distribuisce la Comunione sulla lingua.