ATTUALITÀ
Dove l’aborto è un business
dal Numero 35 del 13 settembre 2020
di Francesca Romana Poleggi

Con una serie di video su youtube hanno smascherato gli orribili misfatti di Planned Parenthood, subendo diversi processi per le indagini svolte sotto copertura. La vicenda dei giornalisti Daleiden e Merritt apre gli occhi sui traffici criminali delle “industrie dell’aborto” e invita a difendere la libertà giornalistica di indagine.

Cinque anni fa, il 14 luglio 2015, David Daleiden ha pubblicato il primo di una serie di video che mostravano al mondo un raccapricciante commercio al margine dell’industria dell’aborto. Come ricercatori e reporter impegnati nel progetto Human Capital del Center for Medical Progress, Daleiden e la sua collega, Sandra Merritt, si sono presentati ad alcuni dirigenti di alcune cliniche Planned Parenthood come acquirenti di tessuti umani per la ricerca e hanno così documentato con dei video registrati di nascosto un vasto traffico di parti del corpo di bambini abortiti.

I 13 video hanno suscitato scalpore: è stata avviata dai pro-life la campagna #DefundPlannedParenthood e un’inchiesta parlamentare sulla questione. Ma la National Abortion Federation ha fatto causa a Daleiden e alla Merritt che si sono trovati a doversi difendere in ben sette processi, civili e penali, in quattro Stati federati diversi.

Tom Brejcha e Peter Breen, della Thomas More Society, hanno detto a Life Site News che non solo in tribunale sono emersi particolari agghiaccianti, come l’uso di evitare di uccidere i bambini con l’aborto per prelevare organi più integri, o il fatto che le madri firmassero il “consenso” a donare i piccoli per la ricerca senza rendersene conto (e poi i poveri resti non erano affatto donati, ma venivano venduti con profitto); ma in più, il caso Daleiden ha anche un risvolto importante riguardo alle libertà fondamentali dei cittadini americani protette dal Primo Emendamento, il che travalica la questione dell’aborto e dovrebbe stare a cuore anche ai “pro-choice”.

Se i giornalisti possono essere perseguiti come criminali per le indagini che svolgono sotto copertura, non saranno più in grado di indagare liberamente su illeciti che coinvolgono politici e imprese senza scrupoli, i quali potranno continuare indisturbati a ingannare la pubblica opinione. Per esempio, dalle indagini di Daleiden risulta il coinvolgimento dell’Uni­versità di Washington e dell’Università del Minnesota, che hanno fatto uso illecito del denaro dei contribuenti, partecipando al turpe mercimonio.

Insomma, il caso Daleiden potrebbe essere un precedente utile a mettere il bavaglio ai media, a detrimento dei diritti di libertà e del diritto di informazione dei cittadini.

Essenzialmente, infatti, Daleiden è accusato di violazione della privacy e intercettazioni illecite: accuse che potrebbero essere avanzate nei confronti di ogni azione di giornalismo investigativo. Azioni, che invece – in altri ambiti, come la tutela dell’ambiente o dei “diritti” degli animali –, sono spesso lodate e premiate.

Dal canto suo Daleiden ha fatto causa alla Planned Parenthood e a Kamala Harris, ex procuratore generale della California ed ex candidata presidenziale, per aver violato i suoi diritti civili mediante un procedimento penale avviato e perseguito in malafede.

Inoltre, se da un lato i giudici e i procuratori schierati ideologicamente e amici della Planned Parenthood si sono accaniti contro Daleiden, dall’altro durante i processi emergono rivelazioni scioccanti da parte dei testimoni che hanno deposto contro la coppia di giornalisti. Per esempio, un medico abortista ha ammesso di aver regolarmente ucciso bambini in utero con digossina oltre i termini consentiti dalla legge, per prevenire – a suo dire – quello che ha chiamato il “più grande disastro”, cioè l’aborto di un bambino vivo; una ostetrica ha ammesso di sapere che un suo partner commerciale traeva profitto dal commercio di parti del corpo di bambini abortiti; un altro operatore sanitario ha ammesso di aver venduto cuoricini e teste di bambini intatte e persino corpicini interi di piccoli abortiti.

«Questa battaglia per i diritti di libertà protetti dal Primo Emendamento e il diritto delle persone di sapere cose che l’industria dell’aborto sta cercando disperatamente di nascondere è tutt’altro che finita», ha dichiarato Brejcha con fiducia e risolutezza. I milioni di dollari che l’industria dell’aborto ha speso negli ultimi cinque anni nello sforzo di mettere a tacere la verità non riusciranno a nascondere ancora ai cittadini americani questi orribili crimini che si vogliono tenere nascosti con ogni mezzo: la verità e il bene prevarranno.

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