La bellezza spirituale della Santissima Vergine ha ispirato poeti d’ogni tempo e luogo. L’Italia vanta una produzione letteraria mariana vastissima, in larga parte però ancora da scoprire. Ecco allora, in occasione della grande solennità mariana, un piccolo florilegio di versi dedicati alla divina Madre.
Fin dai tempi apostolici, la Chiesa ha creduto che Maria, la Madre dell’uomo-Dio, è stata assunta in Cielo in corpo e anima, ma solo il 1° novembre 1950 il venerabile papa Pio XII, basandosi sulla Tradizione della Chiesa, definì, “ex cathedra” con parola infallibile il dogma dell’Assunzione corporea della Vergine Santissima.
“Incontro al sole”
Per quella occasione scrissero illustri teologi cattolici, anime mariane e sante. Tra tutti ricordiamo il salesiano ven. don Giuseppe Quadrio (1921-1963), che si laureò nel 1948 con una tesi sull’Assunta, alla discussione della quale assistette il pro-segretario di Stato, mons. G. B. Montini (futuro Paolo VI), inviato dallo stesso Pio XII.
Tra costoro ci furono anche dei poeti che scrissero dell’Assunta. Ne ricordiamo due, ormai piuttosto sconosciuti, ma che hanno onorato con la poesia l’Assunzione di Maria. Il primo si chiama Mario Spediacci, che in quell’occasione dedicò un sonetto alla proclamazione dell’Assunzione (cf. Italia cattolica, 9 ottobre 1950, p. 163).
Il sonetto, che trascriviamo, è un gioiello di sensibilità religiosa, tempestato da piccole gemme che riflettono i raggi luminosi dei versi:
«Intatta rosa, non troncò il tuo stelo
la falce. Tu sbrinasti con l’aurora
nell’attesa del giorno che ristora
col sole i campi dal notturno gelo.
Con la beltà del tuo corporeo velo
che il Figlio nato dal tuo seno, infiora,
chiusa in un volo d’angeli, nell’ora
ultima, o Madre, Tu salivi al cielo.
E da quel giorno, alle deserte aiuole
per i tuoi occhi semplici, o Maria,
del tuo conforto rifluisce l’onda.
Vedi che ancora d’una notte fonda
siamo gli schiavi: su dalla foschia
portaci in alto a incontrare il Sole».
Sonetto che è una preghiera alla Madonna. Anche un uomo senza fama di poeta, quale Giovanni Onini, in occasione della proclamazione del dogma dell’Assunta, ha scritto una moderna poesia, pubblicata dalla rivista Regina martyrum di Saluzzo (CN) nel numero di ottobre-novembre 1950. È sicuramente una delle migliori espressioni artistiche di quei giorni così mariani, con sentimenti di cielo, in forma agile e incisiva:
«Alfine in pace il capo reclinasti
come il calice colmo di rugiada
reclina il fiore,
Tu, colma e impregnata di dolore.
Ma poi ti risvegliasti come l’alba
che rinasce stupita ogni mattino,
umida ancora
della serena che la notte irrora.
Ed era l’alba del tuo eterno giorno:
e Tu salisti tacita e sublime:
sola con il velo
delle tue carni Tu salisti al cielo.
Ed ecco nei cieli profondi
scoppi di giubilo,
e cetre d’Angeli
giocondi,
cori, fulgori,
torrenti di gioia
lucenti
come torrenti di stelle
nell’infinito mistero
create, gettate, guidate
dal grande Pensiero.
E Tu sublime come i cieli immensi,
bella come il sorriso delle stelle,
colma di amore,
entrasti nella gloria del Signore».
È una dolce sentita contemplazione dell’Assunzione di Maria Santissima da parte di un’anima che guarda a Lei, sognando di condividere lo stesso destino: «Siamo stati creati per servire e amare Dio in questa vita, e goderlo nell’altra [vita] in Paradiso», come afferma con chiarezza assoluta il Catechismo di san Pio X, rispondendo alla domanda: «Per quale fine Dio ci ha creati?». Il cammino può essere arduo per arrivarci, ma Maria indica la meta e ci dà la mano, nel cammino.
“Il mio Rosario”
Il mistero dell’Assunta è il quarto dei misteri gloriosi del Santo Rosario, meditazione-contemplazione del mistero di Cristo, dalla sua Incarnazione alla Nascita, alla Passione e Morte, alla sua Risurrezione, alla sua finale glorificazione con la Madre sua. L’abbiamo già scritto: ci sono poeti che hanno celebrato il Rosario a Maria nei loro versi. Ma qui vogliamo trascrivere un testo molto bello di mons. Giovanni Battista Proja, canonico lateranense, già allievo al seminario romano del servo di Dio mons. Pier Carlo Landucci (1900-1986). Mons. Proja, di sé dice: «Non sono un poeta! Pur tuttavia ho voluto includermi in questa raccolta [cf. I poeti italiani a Maria, Basilica Lateranense, Roma 1994, di cui lui fu il curatore] quasi di straforo, al solo scopo di toccare un punto che qua e là affiora nelle poesie mariane e che io ho voluto trattare ex professo: Il Rosario».
«Passo tra il verde dei prati.
Il sudore dell’uomo, il suo amore
li rende fecondi.
Vedo solchi aperti e neri,
alcuni sembrano rossi di sangue.
Io, pregando, vi getto dei chicchi di legno,
essi si fanno vita
e germogliano in cielo.
Passo per il deserto.
Non ci sono solchi ma dune...
aride dune,
e l’orizzonte non viene mai.
Sembra che la morte
ogni giorno vi difenda
il suo regno.
Io, pregando, vi getto dei chicchi di legno
e sono oasi che spuntano...
spuntano, punteggiando il deserto.
Passo per la città!
Oh che chiasso!
quanto disordine!
lacrime e male si rincorrono
implacabili per le vie
e dentro le case.
Io, pregando, vi getto dei chicchi di legno
e mi elevo e mi inebrio
di celesti pensieri.
La città è là in basso... lontana!
“Prega per noi”, ripeto incessante,
e dolorante l’eco risponde:
“Siamo peccatori,
pietà!”.
Gli uomini mi assillano:
domande, problemi,
dubbi, speranze, delusioni...
Io getto là in mezzo i miei chicchi di legno.
Essi cadono tra sterpi
secchi e spinosi.
Attendo paziente.
Timide foglioline s’affacciano
alla vita...
e poi è tutta una festa
di colori.
I chicchi di legno, le Ave d’amore
sono diventati fiori.
A sera non solo,
in povera stanza chiudo il mio giorno.
Tutto ho dato ai fratelli,
resta stanchezza
e silenzio per me.
Ho i neri chicchi tra mani,
scendono lievi dentro il mio spirito,
ma si fa presente Maria,
la madre di Dio.
È venuta in punta di piedi,
terge il sudore,
mi tende la mano,
mi addita Gesù!
Mi addormenta sereno
il suo bacio materno,
mentre stringo al mio petto
la Corona e la Croce».
È il poemetto bellissimo Il mio Rosario di mons. G. B. Proja, in cui si rispecchia la vita del sacerdote, dell’uomo di Dio, di ogni apostolo di Gesù Cristo. Con il Rosario in pugno, sgranandolo su ogni realtà del mondo, sulla campagna, sul deserto, sulla città, sugli uomini nel loro vivere d’oggi, l’uomo di Dio è seminatore di “Ave Maria”, il saluto da cui è cominciata la Redenzione, seminatore di chicchi del Vangelo, che la grazia di Dio e l’intercessione di Maria Santissima rendono fecondi di vita.
La campagna germoglia, il deserto rifiorisce, la città torna a pregare, gli uomini ritrovano la vera vita di foglie e di fiori. È frutto del dono di Dio, della preghiera infallibile di Maria, “non orans sed imperans” (non solo orante, ma che comanda) presso Dio, dell’offerta dell’apostolo. Grazie al Rosario a Maria, il mondo, la vita cambia e può sbocciare la primavera. Lo testimoniano padre Garrigou-Lagrange (1877-1964), grande teologo e maestro di spirito e consigliere di papi, e il piccolo venerabile Silvio Dissegna (1967-1979), di soli 12 anni, vissuto come ostia con Gesù-Ostia, entrambi rosarianti.
E alla sera, solo nella sua stanza vuota di tutto l’amore umano, ma abitata da Cristo che riempie la vita, l’apostolo sgrana l’ultimo Rosario della giornata, dopo aver dato tutto, e riceve il bacio della buona notte dalla Madonna, mentre stringe al cuore “la Corona e la Croce”.