ATTUALITÀ
Bambini transgender: storie senza lieto fine
dal Numero 21 del 24 maggio 2020
di Francesca Romana Poleggi

La “disforia di genere” diagnosticata con estrema facilità; la prescrizione della “terapia ormonale” anche a bimbi piccolissimi; l’emarginazione sociale e professionale riservata a chiunque vi si opponga. Ecco lo scenario inquietante su cui si svolge il dramma di troppi bambini e ragazzi, senza che nessuno dall’alto si mobiliti per fermarlo.

Il fenomeno del transgenderismo ha dei risvolti drammatici. Abbiamo già visto che c’è una moltitudine di persone illuse di risolvere seri problemi di accettazione di sé attraverso il “cambiamento di sesso”. Costoro poi piombano spesso nell’abisso della disperazione: una parte di esse arriva al gesto estremo del tentativo di suicidio; una parte ha il coraggio e la forza di reagire e di chiedere aiuto per tornare indietro, disintossicarsi dagli ormoni, rimediare per quanto possibile alla chirurgia plastica con altra chirurgia plastica e – soprattutto – affrontare a schiena dritta lo stigma e l’emarginazione sociale che derivano dall’aver “tradito” la causa Lgbt.

Ma c’è un capitolo a parte da scrivere – purtroppo – sui bambini transgender. Nel Regno Unito il numero di bambini sottoposti a terapia ormonale per il “cambiamento del sesso” è aumentato del 4.400% in dieci anni.

Un documentario di Sky News ha rilevato che nel 2009 erano 77 i bambini inviati alla principale struttura specializzata, il GIDS (gender identity development service) gestito dalla Fondazione Tavistock and Portman; nel 2018 ce n’erano 2.590 e alla fine del 2019 la lista d’attesa era di 3.000 e più. Cominciano le terapie di genere anche a tre o quattro anni. Le bambine che vogliono diventare maschi sono la maggioranza, rispetto ai maschi che vogliono diventare femmine. In Svezia il numero di ragazzine adolescenti a cui è stata diagnosticata la disforia di genere è aumentato di quasi il 1.500% in dieci anni, secondo un rapporto di un ente governativo, il Socialstyrelsen. L’aumento più notevole è stato tra le ragazze tra i 13 e i 17 anni.

Sempre su Sky, hanno gettato ombre pesanti sul Tavistock Center inglese. Hanno parlato di 35 psicologi che hanno lasciato il servizio negli ultimi tre anni. I giornalisti sono riusciti a contattare 20 di loro, ma solo sei hanno accettato di parlare, e solo uno ha accettato di apparire, con la voce e il volto alterati, in televisione. Si sono dimessi perché preoccupati per il fatto che ai bambini vengono somministrati ormoni a cuor leggero, senza esplorare adeguatamente le ragioni psicologiche del loro disagio che normalmente nasce da un precedente trauma (come ad esempio un abuso sessuale): la terapia ormonale è divenuta ormai una scelta obbligata. Hanno parlato di un vero e proprio scandalo medico. Per di più, è impensabile dire ai genitori che i loro figli non sono transgender. Chi lo facesse sarebbe immediatamente accusato di transfobia. Inoltre, a fronte di tante richieste gli psicologi sono pochi, si creano lunghe liste d’attesa e si incentiva il “fai da te”.

Quando la giornalista di Sky ha chiesto a una delle responsabili quanti sono i bambini che prendono gli ormoni e che poi da adulti ci ripensano, la signora Elisabeth Van Horn ha detto che quello della detransizione è un falso problema. Poi, però, ha ammesso che non c’è follow up e non si sa che fine fanno queste persone negli anni.

In Italia, al Carreggi di Firenze si possono ottenere cure ormonali per bambini con disforia di genere da almeno 10 anni e la triptorelina (un farmaco che blocca la pubertà) è stata sdoganata anche dal Comitato Nazionale di Bioetica, anche dai suoi membri sedicenti cattolici, con l’unica eccezione della professoressa Assuntina Morresi.

A protezione dei minori, il nostro ordinamento non riconosce loro la capacità di stipulare contratti, di comprare sigarette e alcol; ma invece possono dare il consenso a terapie ormonali che sono pesantemente invasive e con effetti collaterali spesso irreversibili (come calvizie, aumento del volume clitorideo, infertilità) e gravi (patologie cardiovascolari e cerebrovascolari, tromboembolie, grave obesità, diabete mellito scompensato, trombosi, ictus e infarto, cancro alla mammella). Le statistiche dicono che il rischio che si verifichino queste patologie è aumentato dell’80%, rispetto ai “cisgender”, quelli che col buonsenso definiremmo “normali” (ma a definirli “normali” ci si becca l’accusa di transfobia).

La disforia di genere è di solito generata da una ferita psichica profonda che va curata: e allora rientra da sé, soprattutto nei bambini. È la punta di un iceberg, come denunciavano anche gli psicologi inglesi che si sono dimessi: se non si curano e non si risolvono i problemi che sono alla base della disforia, cercare di smussare la punta dell’iceberg non serve a niente.

L’ideologia gender, figlia della “cultura della morte”, ha come obiettivo, invece, il raggiungimento della fluidità totale, a prescindere dall’operazione chirurgica. Si deve poter “cambiare sesso” a qualsiasi età, a spese dello Stato, senza che i genitori possano opporsi. La lotta è molto accanita proprio su questo fronte: nelle scuole inglesi, americane e canadesi accade che i ragazzini vengano assecondati nella loro disforia all’insaputa dei genitori. E se questi si oppongono, in più di un caso sono intervenuti i servizi sociali a togliere loro la patria potestà.

Qui in Italia abbiamo già visto come a volte – non sempre, per carità – lo Stato, attraverso l’azione spregiudicata di certi assistenti sociali, calpesti il principio di sussidiarietà che è alla base di ogni vera democrazia: il rispetto e la tutela dei corpi intermedi, a cominciare dalla famiglia, rende gli individui persone, cioè soggetti di relazione, autonomi e forti, pronti ad affrontare la vita. È decisamente più facile governare individui “non persone”, soli, fragili, senza legami, che sono oltretutto ottimi consumatori... Invece, è proprio in famiglia, dal confronto con il maschile e il femminile, che parte lo sviluppo armonico dei bambini. Che vanno guidati con amore e dolcezza nell’affermazione del loro genere. E che da soli sviluppano la conferma del genere conforme al sesso biologico attraverso il raffronto con papà e mamma che avviene fin dai primissimi momenti di vita per mezzo dei neuroni specchio, anche a livello psichico molto profondo e inconscio.

Quindi, questa pervicacia nel voler negare la realtà naturale della differenza tra maschio e femmina, tra uomo e donna, è la base di lancio del mostruoso attacco alla famiglia e al matrimonio in atto, sferrato dalla “cultura della morte”.

Sul web si possono leggere testimonianze di madri angosciate come Lynn Meagher che ha seriamente pensato di uccidersi, disperata, tormentata: due dei suoi figli, che, attraverso interventi orribili e mutilanti, hanno distrutto i loro corpi, non volevano avere più niente a che fare con lei. Elaine Davidson fa ancora fatica a parlare delle bende insanguinate che coprivano il luogo in cui un tempo si trovavano i seni di sua figlia. «Ho supplicato tutti quelli che potevo di impedire questo strazio. Ho supplicato mia figlia. Non sono riuscita a fermarla. È come se fosse morta. Solo, non c’è stato alcun addio. Nessuna cerimonia. Nessuno ci ha inviato fiori».

Mutilare il corpo, trasformare la voce, far crescere la barba, far sparire il seno, perdere la capacità di generare figli o di allattarli, non è assistenza sanitaria, è un esperimento medico. Non si tratta di cure salvavita, sono azioni criminali. Tutto questo deve essere fermato.

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