RELIGIONE
L’Eucaristia, segno di Gesù vivo e risorto
dal Numero 15 del 12 aprile 2020
di Carlo Codega

Pur illuminati nella mente e accesi nel cuore dalla Parola di Gesù, solo davanti all’Eucaristia i discepoli comprendono come la Morte e la Risurrezione si uniscano mirabilmente nella Persona del Figlio di Dio e in quel mirabile Sacramento dal quale la stessa vita del Risorto fluisce alle anime.

Se le pagine evangeliche della Passione e Morte di Nostro Signore sono tra le più intense e drammatiche, non di meno i racconti di Gesù risorto – che chiudono le narrazioni evangeliche – sono tra le più interessanti e coinvolgenti. Qui vediamo come il Redentore si presenti ad anime diverse tra loro (le pie donne, la Maddalena, discepoli e Apostoli collettivamente o singolarmente) per dare la prova del compimento delle sue stesse parole e dall’altra parte per recare conforto e forza, onde credere alle stesse sue parole. Il trionfo di Gesù sulla Croce – nonostante i segni miracolosi che l’avevano accompagnato – era stato percepito da ben pochi tra gli stessi suoi seguaci, i cui occhi erano rimasti alla superficie delle cose, all’apparenza della sconfitta di quel Messia di Nazareth che li aveva attratti e alla cui sequela si erano posti... ma con la sua presenza Gesù risorto riporta luce e conforto alle anime, presentandosi come il pastore che raduna il gregge disperso.

“Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele”

Tra gli incontri di Gesù, il più curioso ed emblematico è quello dei discepoli di Emmaus, ovvero di quei due discepoli – il nome di uno dei quali era Cleofa – che, dopo la Passione e Morte di Gesù, avevano atteso tre giorni a Gerusalemme che si compisse la promessa del Messia, ma che davanti all’apparente scacco e alla frustrazione delle loro speranze, avevano deciso di tornare al loro villaggio di Emmaus, non distante dal teatro della Passione di Cristo. Certo, c’erano state le voci delle donne che, recatesi al sepolcro avevano avuto una visione angelica e avevano comunicato a Pietro e agli altri Apostoli che Gesù era vivo... ma chissà? Voci e fantasie di donne («alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti», Lc 24,22) che – anche a volerle prendere sul serio – si infrangevano davanti alla realtà del fatto. Gesù di Nazareth, «profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo» (Lc 24,19), era stato crocifisso ed era morto e, nonostante i tre giorni che Lui stesso aveva annunciato (Gv 2,19; Mt 12,39) fossero passati, niente era accaduto: «Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele». Fosse anche vivo – come dicevano le donne – dove era il suo trionfo? Dove la liberazione del suo popolo? Nelle loro parole – fa notare sant’Agostino – si nota non solo come tenessero poco conto della testimonianza delle donne, ma come Colui che avrebbero dovuto onorare come “Signore” e “Messia”, ormai era divenuto un semplice “profeta potente in opere e in parole”. Venuta meno la speranza, anche la fede si era indebolita e così i due che avrebbero dovuto annunciare a tutti gli ebrei che Gesù era Figlio di Dio, si limitano a ripetere ciò che diceva la gente: Gesù era un profeta e compiva miracoli, ma ora è morto, le sue promesse vanificate, il suo gregge disperso. Per questo non potevano vedere chi era veramente Colui che li aveva avvicinati sul cammino e si era messo a parlare con familiarità con loro: «I loro occhi erano incapaci di riconoscerlo» (Lc 24,16). Erano incapaci di conoscere le fattezze di Gesù risorto, di quel Gesù che avevano visto molte volte in vita e con cui avevano avuto anche una certa familiarità... finché non avessero creduto alla Risurrezione nemmeno avrebbero potuto riconoscere Gesù risorto. Dice a proposito san Gregorio Magno: «Convenientemente Gesù non mostrò loro le fattezze che conoscevano: in tal modo realizzò esternamente negli occhi del corpo ciò che già succedeva dentro di loro negli occhi del cuore. Essi infatti dentro se stessi amavano ma dubitavano. In quanto parlavano di Lui, pertanto esibì la sua presenza; ma in quanto dubitavano, nascose le sue fattezze».

“Non ci ardeva forse il cuore in petto?”

Cosa però poté aprire gli occhi ai discepoli, per riconoscere dietro quel viandante le fattezze del Risorto? Cosa poté far loro conoscere che l’apparente sconfitta del profeta Gesù, si rivelava in realtà un trionfo della potenza e della sapienza divina? Il divino viandante prima di tutto li riprese per i limiti della loro fede e poi – come osserva sant’Agostino – si riattaccò proprio a ciò che aveva fatto traballare la loro fede, per spiegare loro come si stesse svolgendo il piano divino: «In modo che imparassero a riconoscere Cristo proprio dal punto dove s’erano allontanati da Cristo», cioè dalla sua Passione e Morte ignominiosa. Essi insistevano sulla Passione e Morte di Gesù come segno del fallimento di quel “profeta”, ma proprio a questo riguardo il Risorto spiegò loro come questo passaggio non solo fosse necessario («Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?», Lc 24,26), ma fosse stato ben illustrato da tutta la Sacra Scrittura sotto forma di immagini: «E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (Lc 19,27). A questo punto i due discepoli compresero che non si trovavano di fronte a un qualsiasi pellegrino salito a Gerusalemme per la Pasqua, infatti, mentre spiegava loro le Scritture, “ardeva loro il cuore in petto” (cf. Lc 19,32)... Gesù aveva compreso l’amore che i due discepoli ancora provavano per il loro Messia, un amore umano ma comunque un amore sincero, un amore deluso e disperato ma ancora affettivamente vivo. A quell’amore volle richiamarsi e anzi quell’amore volle accrescere con un tocco invisibile della sua grazia, senza però ancora slegare i loro occhi, incapaci di vedere dietro la presenza di quel viandante le fattezze del Salvatore risorto.


“Lo riconobbero dallo spezzare del pane”

Ci voleva ben altro per aprire i loro occhi, per illuminare le loro menti e per portarli alla «verità tutta intera» (Gv 16,13): dal discorso sulla strada i discepoli già avevano compreso che la sorte di Gesù era stata profetizzata nell’Antico Testamento e faceva parte del piano di Dio. Avevano capito che la morte del Signore non ne aveva sancito la sconfitta, bensì ne aveva garantito la vittoria... una nuova speranza si accendeva nei loro cuori prima disperati ma ancora stentavano a riconoscere i lineamenti del volto di Gesù! Non bastava la Sua parola, quella parola capace di spiegare tutti i testi dell’Antico Testamento – da Mosè ai profeti – e attualizzarli in ciò che era successo sotto gli occhi dei due discepoli a Gerusalemme, a far cadere quel velo dai loro occhi. Dove non arrivò la parola loquace, arrivò invece la muta parola dei gesti: «Una volta che le menti sono illuminate e i cuori riscaldati, i segni “parlano” – scrive san Giovanni Paolo II –. È attraverso i segni che il mistero in qualche modo si apre agli occhi del credente». Bastò infatti che si sedessero a tavola e che Gesù ripetesse ciò che aveva fatto nell’Ultima Cena, prendendo il pane, recitando la consacrazione e distribuendolo ai presenti, perché il velo cadesse dall’occhio dei discepoli, svelando dietro quel viandante la figura del Cristo risorto. «Il Signore che non fu conosciuto mentre parlava – fa notare san Gregorio Magno – si degnò di farsi conoscere mentre mangiava; il Dio che non conobbero nell’esposizione delle Sacre Scritture, lo conobbero nella frazione del pane». La “frazione del pane” – termine con cui si intendeva tra i primi cristiani l’intera Liturgia eucaristica – svela il volto di Gesù risorto, lo rende conoscibile ai due discepoli che quel misterioso viandante aveva intercettato per strada. I due – che pur conoscevano le fattezze di Gesù da vivo – non avevano potuto riconoscerlo come risorto, se la celebrazione dell’Eucaristia e la comunione con il corpo di Cristo non avessero loro permesso questo. Nell’Eucaristia e solo nell’Eucaristia è possibile per i due discepoli un vero e reale incontro con Gesù vivo e risorto, un incontro che, al contempo, fa comprendere ancora meglio tutto ciò che era avvenuto loro e li rende degli attivi testimoni della Risurrezione.

Nell’Eucaristia ci si fa uno con Cristo

Questo meraviglioso insegnamento della stupenda pagina evangelica necessita però qualche spiegazione. Perché solo la celebrazione dell’Eucaristia e la Comunione permettono ai discepoli di vedere Cristo risorto in quel compagno di viaggio? Una prima risposta la fornisce san Beda il Venerabile: «Gesù fece questo, perché tutti capissero che nessuno avrebbe potuto conoscere Cristo, se non avesse preso parte al suo corpo, che è la Chiesa, la cui unità l’Apostolo affida al sacramento del pane dicendo: “Molti siamo un solo pane e un solo corpo”». Solo nella Chiesa si può conoscere Cristo e comprendere il mistero della sua Passione, Morte e Risurrezione: solo la fede della Chiesa Cattolica apre le nostre menti alla verità del Verbo Incarnato, consentendoci così di riconoscere il Figlio di Dio dietro il volto umano e sofferente di Gesù. La Chiesa è però edificata sul sacramento dell’Eucaristia, in quanto tale sacramento significa l’unità della Chiesa e la realizza. Significa l’unità sia nell’aspetto conviviale di radunare tutti intorno al banchetto pasquale dell’Agnello immolato, sia per la feconda immagine dell’unico pane, costituito dai molti grani, o del calice di vino, ottenuto dai molti chicchi di uva. La realizza poi anche in verità perché unendoci a Cristo tramite la grazia, va a costituire e a rinsaldare l’unità di quel Corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa.

Tale unità si realizza dunque tramite l’Eucaristia, ma innanzitutto non perché unisce i cristiani tra di loro ma perché li unisce a Cristo. I discepoli di Cristo – prima sviati e disperati – unendosi a Cristo tramite la Comunione sacramentale, vengono a far parte anche della Chiesa e della Sua fede e, in tal modo, riconoscono il volto di Cristo dietro quello dello sconosciuto viandante. D’altronde l’altro aspetto è strettamente collegato a questo: l’Eucaristia è il nutrimento dell’organismo spirituale, in quanto dà vita all’anima del cristiano. Ma tale vita non è altro che la grazia santificante, la quale è la vita stessa di Cristo risorto – la vita nuova conseguita alla sconfitta della morte – che Egli condivide con tutti i cristiani uniti a Lui nel Corpo mistico. I discepoli di Emmaus, ricevendo il pane eucaristico spezzato di Gesù, si uniscono a Lui come membra del suo Corpo mistico, così che la vita divina possa fluire in loro: è Cristo Risorto, il Vivente, che incomincia a vivere in loro e, proprio per questo, solo in quel momento lo possono riconoscere.

L’Eucaristia: il sacramento di Cristo morto e risorto

C’è però un altro motivo di interesse in questa pagina evangelica, in cui la Passione e Morte di Gesù sono messe in relazione con la sua Risurrezione. I discepoli di Emmaus, all’inizio della vicenda, diffidano della notizia della Risurrezione di Gesù, in quanto la sua Passione e Morte così ignominiosa li ha completamente atterriti e condotti alla disperazione circa la realizzazione delle promesse di Cristo. La morte di Gesù è per loro il segno della sua sconfitta. Il viandante però – aprendo loro il vero senso dell’Antico Testamento – dimostra come la Passione e la Morte del Messia erano state già anticipate nella rivelazione precedente e quindi come non fossero il segno della sconfitta del Cristo, bensì della realizzazione del piano divino, e dunque bisognava aspettare la realizzazione anche della promessa della Risurrezione. Pur rischiarati nella mente e accesi nel cuore, solo davanti all’Eucaristia i due discepoli arrivarono a comprendere come la Morte e la Risurrezione si unissero mirabilmente in quel Sacramento e anche nella Persona che stava loro davanti. In quel momento compresero veramente cosa significasse quel rimprovero che avevano ricevuto dal viandante: «Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?» (Lc 24,26). La morte di Cristo diviene così il passaggio necessario perché una nuova vita fluisca nei cristiani: Cristo ha dovuto assumere su di sé la morte, per sconfiggerla e dare una nuova vita ai cristiani, la vita della grazia, che fluisce loro tramite il sacramento dell’Eucaristia. Nell’Eucaristia così si armonizzano mirabilmente la Morte e la Risurrezione, la Passione e la Gloria, dimostrando la vanità dei dubbi e della disperazione iniziale dei discepoli di Emmaus. L’Eucaristia è infatti sicuramente il sacramento della Passione e Morte di Gesù: la consacrazione del pane-Corpo separata da quella del vino-Sangue, rappresenta e rinnova sacramentalmente la morte di Gesù in Croce, in quanto in un essere umano quando il sangue si separa dal corpo anche la vita viene meno. Allo stesso tempo la grazia che ci viene elargita nel Sacramento è proprio la vita del Cristo Risorto, la vita nuova scaturita dalla vittoria sulla morte e sul peccato: se nell’Eucaristia è veramente presente Gesù, allora è presente quel Gesù che trionfa glorioso in Cielo. Non a caso nella Liturgia eucaristica – proprio allo spezzare del Pane – il sacerdote inserisce un frammento del Corpo di Cristo nel calice, così che il vino lo impregni, come a rappresentare che la vita torna a scorrere nelle membra di Cristo Risorto. In tal modo nel sacramento dell’Eucaristia è presente Cristo Risorto, Vivente e Vivificatore, ma in qualche modo è presente anche il Cristo immolato. Proprio ricevendo il Cristo immolato e glorificato nella Santissima Eucaristia, pertanto, i discepoli poterono comprendere il mistero della Passione, Morte e Risurrezione di Cristo e scorgere in quel viandante il volto del Risorto. Proprio per questo – appena accaduto ciò – il Signore-viandante li lasciò: «Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista» (Lc 24,31). Ormai i discepoli di Emmaus avevano l’Eucaristia – il Dio con noi – e non c’era più bisogno che Gesù rimanesse con loro con il suo corpo risorto.

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