Vi è una letteratura scientifica di alto profilo che dà ormai per assodata la connessione tra aborto e sviluppo del cancro al seno (link Abortion - Breast Cancer), ma viene puntualmente censurata proprio da quelle organizzazioni scientifiche che dovrebbero diffonderla.
Tutti quelli che indossano i fiocchetti rosa della prevenzione del cancro al seno dovrebbero essere convintamente anti-abortisti.
Infatti, ci sono prove stringenti del link “Abortion - Breast Cancer”, del legame – cioè – tra l’aborto e il cancro al seno. La medicina politicamente corretta, però, continua pervicacemente e ideologicamente a volerlo ignorare, con grave detrimento per la salute delle donne.
Il dottor Joel Brind, che è un professore di biologia ed endocrinologia al Baruch College della City University di New York, ed è co-fondatore del Breast Cancer Prevention Institute (http://www.bcpinstitute.org/), è uno dei principali studiosi del link ABC.
Egli spiega perché l’aborto aumenta le possibilità di sviluppare il cancro al seno (anche se sappiamo bene che, purtroppo, anche chi non ha mai abortito può ammalarsi).
Lo sviluppo del seno non avviene completamente con la pubertà: dal momento della pubertà, una ragazza ha una quantità significativa di tessuto del seno in grado di crescere (e in grado di diventare cancerosa) che prima non aveva: i cosiddetti “lobuli” di tipo 1 e 2. Sicché la pubertà apre quella che i ricercatori chiamano la “finestra di suscettibilità”. Da questo momento in poi le mammelle sono particolarmente vulnerabili rispetto a eventuali mutazioni potenzialmente cancerose. Tale “finestra di suscettibilità” si chiude solo quando la donna porta a termine la sua prima gravidanza. Infatti, a circa 32 settimane di gravidanza normalmente l’80% delle cellule primitive del seno, quelle che ancora crescono e si sviluppano, si differenzia in cellule che possono effettivamente produrre latte: “lobuli 3 e 4”. Tali cellule “mature” sono più resistenti al cancro perché la loro capacità di proliferare è sopita.
Questo deve far pensare che anche l’usanza ormai inveterata di rimandare la prima gravidanza più in là negli anni aumenta il rischio di cancro al seno, perché la “finestra di suscettibilità” resta aperta più a lungo. E ciò è stato assodato in via definitiva fin dal 1970 con uno studio multicentrico internazionale commissionato dalla Organizzazione Mondiale della Sanità. Inoltre, così si spiega la differenza tra l’elevato tasso di incidenza del cancro al seno tra le donne del Nord America e dell’Europa, che in genere aspettano a far figli fino almeno a 30 anni, e i tassi di incidenza molto molto più bassi tra le donne in Asia e in Africa, che fanno figli da giovani.
Anche l’aborto ritarda la chiusura della “finestra della suscettibilità”. È per questo che decine di studi epidemiologici pubblicati in tutto il mondo, a partire dal 1957 hanno mostrato un aumento del rischio di cancro al seno tra le donne che hanno scelto l’aborto. Perfino gli autori della ricerca dell’OMS del 1970 hanno notato che i loro risultati suggeriscono un aumento del rischio di cancro associato con l’aborto e una riduzione del rischio associato a nascite a termine.
Un’ulteriore conferma della tesi del dott. Brind è giunta quando hanno cominciato ad indagare sulle statistiche provenienti dall’India e soprattutto dalla Cina, dove il controllo della popolazione coatto costringe quasi tutte le donne ad abortire anche più volte nella vita: i campioni che sono stati studiati, in quei Paesi popolosissimi, sono statisticamente molto significativi e i risultati sono perciò difficilmente contestabili. Ma il dottor Brind e i suoi studi sono stati censurati dalla cultura della morte.
Recentemente, una regista canadese Punam Kumar Gill, che si dichiara pro-choice (quindi a favore dell’aborto), si è mostrata desiderosa di scoprire la verità. Ha girato un documentario che si intitola Hush: una donna investiga sulle conseguenze dell’aborto sulla salute femminile.
Durante l’indagine, si è resa conto che le organizzazioni scientifiche che avrebbero dovuto fornirle dati e rispondere alle sue domande si rifiutavano di trattare l’argomento. Addirittura è stata “gentilmente” allontanata dagli agenti di sicurezza del National Cancer Institute fuori dalla sede dell’ente. Ha invece parlato con diversi medici, tra cui Joel Brind, Angela Lanfranchi e Priscilla Coleman, e con diverse donne che hanno avuto complicazioni fisiche e psicologiche dopo l’aborto. Ha raccolto anche le testimonianze di chi ha scoperto che i problemi di salute del figlio erano dovuti agli aborti avuti in precedenza. Nell’interesse della salute sessuale e riproduttiva delle donne, il documentario Hush dovrebbe avere diffusione planetaria... dal nostro canto noi di Pro Vita & Famiglia ci siamo premurati di sottotitolarlo in italiano. Chi fosse interessato può richiedere il dvd a info@provitaefamiglia.it.