APOLOGETICA
La bellezza estetica dei virus, un po’ di apologetica...
dal Numero 11 del 15 marzo 2020
di Corrado Gnerre

Il “male” non è mai assoluto. Il “vero”, il “buono” e il “bello”, in quanto caratteristiche costitutive della realtà uscita dalla mente di Dio, sono ovunque presenti, benché in gradi diversi. Anche la natura conferma questa verità.

San Tommaso dice che ciò che è bene in sé è talmente nell’ordine delle cose che finanche chi vive lontano dal bene in un certo qual modo lo deve riconoscere e confermare. Basterebbe fare l’esempio di una banda di briganti. Questi delinquono, rubano, calpestano il bene; ma poi, per stare uniti e continuare a fare il male, devono riconoscere almeno un principio di giustizia, nel senso che devono spartirsi il bottino in parti uguali, appunto: “giuste”. Questo significa che il bene è ineludibile e finanche il male lo deve riconoscere.

La natura conferma questa verità. E visto che siamo in tempi in cui si parla tanto di virus più o meno pericolosi, possiamo fare una riflessione su un punto. Cioè sulla “bellezza” estetica dei virus. Sembra un discorso un po’ assurdo; eppure ha un senso. Seguiteci.

Se si osservano le foto che vengono fatte ai virus con il microscopio elettronico ci si accorge che questi presentano una simmetria straordinaria. Ciò vale non solo per il Covid-19, di cui in questi tempi – ahinoi! – si sta parlando tanto; ma anche di altri. Per esempio, se si osserva l’immagine del virus dell’herpes simplex (un virus molto diffuso che rimane parassitariamente nell’organismo una volta contratto) si nota la straordinaria perfezione e simmetricità che questo esprime.

Ora – chiediamoci – perché questo ordine? Perché questa simmetricità? Lo si potrebbe capire per qualcosa di buono. Per esempio, per la natura che ci offre tante cose buone, per un albero, per una spiga di grano, per un cespo di lattuga, per un fiore, per un alveare che ci dona cose utilissime... ma per un virus può sembrare strano.

Eppure strano non è. E non lo è proprio per ciò che abbiamo detto all’inizio, ovvero che anche il male, per reggersi, deve in un certo qual modo utilizzare il bene. D’altronde (chiediamo scusa dell’approssimazione con cui ci muoviamo in questo campo che non è il nostro) il sistema con cui un virus conquista il suo spazio vitale, cioè si adatta all’organismo per sopraffarlo, è un sistema di lenta, precisa e “ordinata” conquista.

Ecco l’insegnamento: il bene e il bello sono talmente costitutivi nella realtà delle cose che perfino il male, per essere ancora più dannoso, in un certo qual modo li deve utilizzare. È ovvio che se il male utilizza il bene, anche questo diviene male, ma rimane comunque in sé.

Nella retorica contemporanea molti, per stigmatizzare alcuni grandi errori della storia o quant’altro, parlano di male assoluto. Definizione che è completamente errata sul piano teologico, ma anche sul quello filosofico. Il male assoluto non esiste, esiste piuttosto il bene assoluto. Se esistesse il male assoluto, si cadrebbe in una sorta di manicheismo (un Dio assoluto buono da una parte ed un Dio assoluto cattivo dall’altra) e ciò sarebbe un assurdo sul piano della ragione più elementare.

Il male non è mai assoluto. La sua pericolosità sta proprio nel fatto che conserva in sé sempre una piccolissima parte di bene. Ed è per questo che può affascinare. È ovvio che – come dicevamo prima – questa piccola parte di bene nel male non basta, perché si avvelena anch’essa. Se in un bicchiere pieno di veleno mettessimo una goccia di acqua pura di sorgente, la goccia rimarrebbe, ma avvelenerebbe anch’essa.

Che il bene sia ineludibile è confermato nei fatti. Di esempi se ne potrebbero fare tanti. Prendiamo gli ambienti anarchici che contestano ideologicamente qualsiasi autorità. Ebbene, questi, per reggersi, devono pur seguire un leader. Guai se non ci fosse, non potrebbero realizzare nulla. Insomma, l’autorità, cacciata dalla porta, rientra necessariamente dalla finestra.

Ma potremmo fare anche esempi di carattere filosofico. Anche se non volessimo scomodare il grande Giambattista Vico che a riguardo parla di eterogenesi dei fini, per cui se si vuole rinunciare al vero, questo poi riappare a mo’ di condanna di ciò che si è affermato e perseguito... dicevamo: anche se non volessimo scomodare Vico, basterebbe pensare all’idiozia di quella affermazione tanto diffusa: «La verità non esiste». Affermazione idiota, perché dire che la verità non esiste, è pur sempre affermare una verità che si pretende che tutti accettino e che non si vuole si metta in discussione.

Parafrasando san Paolo nell’Areopago: «In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo...» (At 17,28), possiamo dire che nel vero, nel buono e nel bello siamo immersi e che perfino coloro che negano queste categorie, le devono più o meno implicitamente riconoscere.

Uno sguardo su come sono fatti i virus ce lo conferma.

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