RISPOSTA AI LETTORI
Quando si è duri di cuore
dal Numero 47 del 1 dicembre 2019

[...] Mi è capitata tra le mani una pagina di meditazione fatta dal papa alcuni anni fa, in cui diceva che Gesù spesso parla nel vangelo della durezza del cuore, del popolo “dalla dura cervice”, mettendo in guardia anche noi cristiani da questo male. Vorrei capire meglio che cosa significa avere il cuore indurito. Significa semplicemente avere un cuore “cattivo”, dedito al peccato? Grazie. (Laura G.)

Cara Laura, la durezza del cuore è uno dei misteri dell’uomo. È una conseguenza del peccato originale, del peccato dei nostri progenitori, Adamo ed Eva.
È da precisare innanzitutto che l’espressione cuore indurito è più negativa di “cuore cattivo”. Indurito significa che il cuore è radicato nel male, tanto che non solo è insensibile ai richiami del bene, ma è del tutto incapace di riconoscere il bene. Il cuore cattivo invece è incline al male, ma rimane capace di riconoscere il bene.
Il cuore indurito è come un occhio che non vede un oggetto luminoso. Infatti, l’egoista “riesce” forse a rendersi conto del bisogno degli altri? E la persona avara è forse in grado di intravedere altri beni al di fuori del denaro? Si tratta di coscienze accecate e deformate, le quali, a forza di trasgredire in continuazione i Comandamenti di Dio, perdono quasi del tutto la sensibilità al male, al peccato.
Nel Vangelo ci sono molti esempi di durezza di cuore. Ne riferiamo due che ci sembrano particolarmente significativi.
Il primo riguarda un episodio raccontato da san Marco: «[Gesù] entrò di nuovo nella sinagoga. C’era un uomo che aveva una mano inaridita, e lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato per poi accusarlo. Egli disse all’uomo che aveva la mano inaridita: “Mettiti nel mezzo!”. Poi domandò loro: “È lecito in giorno di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o toglierla?”. Ma essi tacevano. E guardandoli tutt’intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse a quell’uomo: “Stendi la mano!”. La stese e la sua mano fu risanata. E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire» (Mc 3,1-6).
Questo racconto di Marco è molto indicativo. La durezza di cuore impediva ai farisei non solo di individuare il bene, ma addirittura li spingeva a fare il male.
Il secondo esempio si riferisce a ciò che accadde dopo che Gesù aveva risuscitato Lazzaro. Lo riferisce san Giovanni che scrive: «Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di quel che egli aveva compiuto, credettero in lui. Ma alcuni andarono dai farisei e riferirono loro quel che Gesù aveva fatto. Allora i sommi sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio [...]. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo» (Gv 11,45-53). Tutti avevano visto lo stesso prodigio, ma coloro che avevano il cuore indurito decisero di uccidere Gesù.
Questi due episodi – insieme a molti altri del Vangelo – confermano ciò che costituisce un’esperienza comune. È un fatto che noi pensiamo e giudichiamo secondo quello che siamo dentro. Se siamo “buoni”, cioè armonizzati con le esigenze proprie della persona, siamo capaci di individuare il bene, mentre se siamo “cattivi”, ovvero in contrasto con le esigenze della dignità umana, non siamo in grado di riconoscere il bene e di percepire il male in tutta la sua negatività.

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