ATTUALITÀ
Presidenza Trump, un bilancio in vista del 2020
dal Numero 34 del 1 settembre 2019
di Roberto Ciccolella

Dopo gli 8 anni di Obama, negli Usa il vento ha cambiato decisamente direzione e in vista delle prossime presidenziali ci si interroga sui pregi e i difetti dell’attuale governo...

A distanza di quasi tre anni dell’elezione di Donald Trump a presidente degli Usa vale la pena fare un bilancio. A dispetto della vita privata peccaminosa e delle maniere volgari, Trump ha più o meno consapevolmente rallentato una serie di processi globali di autodissoluzione. E a sentire molti americani ha buone chance di vincere le presidenziali del 2020.
Un palazzinaro di Brooklyn, uno che costruiva le case popolari in serie e che affare dopo affare ha messo piede nella vicina e ricca Manhattan, creando da lì un impero milionario, non senza problemi con il fisco e la giustizia. Un uomo incapace di controllare i suoi bassi istinti, ormai alla terza unione, le cui concubine non si contano. Un parolaio arrogante e con il toupet biondo. Questa l’immagine pubblica di Donald Trump quando ha messo piede alla Casa Bianca. Ma a dispetto di tante innegabili miserie umane, il politico ha in pochi anni energizzato l’economia americana tagliando le tasse, contrastato l’egemonia globale cinese a livello politico e commerciale, azzoppato la globalizzazione, messo da parte il multilateralismo e la primazia degli enti sovranazionali, rimesso i temi della vita e della famiglia al centro del dibattito pubblico – rallentando quindi l’ondata autoritaria della cultura gender. Sembra quasi che la Provvidenza lo abbia usato come strumento per confondere i potenti del mondo.
Va subito detto che la sua azione non è scevra da carenze e aspetti problematici. Penso al pericoloso inasprimento delle relazioni diplomatiche con l’Iran – Paese sciita che poco ha a che fare con gruppi terroristi sunniti come Al Quaeda e Isis, questi invece sponsorizzati direttamente o indirettamente dall’Arabia Saudita e i Paesi del Golfo, cioè storici alleati degli americani. Oppure agli eccessi nella lotta all’immigrazione illegale, trasformando i migranti sudamericani in una sorta di minaccia nazionale da respingere anche con mezzi violenti. E penso anche ad alcune idee poco chiare su presunti casi eccezionali che legittimerebbero l’aborto, come Trump ha accennato alcune settimane fa distanziandosi dalle nuove leggi dell’Alabama che chiudono le porte all’interruzione volontaria di gravidanza in modo radicale. Al netto di questi e altri lati oscuri però va segnalato un grande progresso proprio sul fronte pro-vita e un avanzamento culturale verso una nuova sensibilità.
Poco tempo fa il Segretario di Stato Mike Pompeo ha annunciato che gli Stati Uniti non contribuiranno con i 32,5 milioni di dollari previsti alle spese dell’UNFPA, l’agenzia dell’Onu che promuove la contraccezione in tutto il mondo specie nei paesi poveri. È il terzo anno di seguito che questo avviene ed è un buon segno perché l’UNFPA usa i finanziamenti per supportare Ong e gruppi che perseguono politiche di pianificazione familiare e denatalità in Africa, America Latina e Asia – qualcosa che papa Francesco ha giustamente definito “colonizzazione culturale”. Sempre in questo senso poi è stata varata una misura che impedisce di usare i finanziamenti per la cooperazione internazionale per promuovere l’aborto. Insomma se le Ong o le associazioni caritatevoli vogliono i soldi dei contribuenti americani per migliorare le condizioni di vita nel Terzo mondo devono usare quei dollari solo per educazione, nutrizione, sanità e non per costruire cliniche abortive o spacciare pillole del giorno dopo.
Inoltre Trump ha portato un attacco diretto alla più grande multinazionale di cliniche abortiste del mondo, Planned Parenthood, iniziando una campagna e una serie di disegni di legge per tagliare i fondi a livello federale e di singoli stati a questa organizzazione – una potentissima lobby con entrature politiche fra i democratici, a Hollywood e nel mondo del grande capitale.
Trump ha inoltre nominato diversi importanti giudici pro-life: nell’aprile 2017, Neil Gorsuch è stato confermato con successo alla Corte Suprema degli Stati Uniti. E nell’ottobre 2018, Brett Kavanaugh si è seduto sugli alti scranni della stessa corte. Ad oggi, sono stati confermati 160 dei candidati del presidente Trump, tra cui due giudici della Corte Suprema, trentasette giudici delle Corte di Circuito, quarantuno delle Corti d’appello e ottanta giudici di Corti distrettuali. In breve significa che le battaglie legali degli abortisti per espandere la soppressione dei bambini nel grembo materno saranno sempre più difficili. E gli sforzi legali di chi difende vita, famiglia e morale avranno più possibilità di incontrare sentenze favorevoli.
Infine il Presidente ha messo dei punti fermi a garanzia dell’obiezione di coscienza dei singoli e delle organizzazioni religiose. E i sondaggi segnalano che almeno il 60% degli americani è favorevole a una limitazione, se non proibizione, dell’interruzione volontaria di gravidanza. Si tratta insomma di un cambiamento culturale epocale.
E questo è il secondo punto della nostra analisi, forse ancor più importante. Essere conservatori, difendere il diritto naturale, promuovere la religione in pubblico, amare la patria e difenderne i confini sono tornati ad essere valori socialmente accettabili – dopo gli otto anni di Obama in cui erano stati combattuti dal presidente democratico, demonizzati dai media e intaccati dai pronunciamenti dei tribunali. Inoltre Trump ha condotto pur con qualche ingenuità e contraddizione una battaglia campale contro le manipolazioni dei giornaloni liberal, come il New York Times ed il Washington Post, che avevano cercato a tutti i costi di infangarlo con presunti e poi smentiti legami con Putin. L’opinione pubblica americana ha incominciato a rendersi conto che i professionisti dell’informazione erano spesso loro stessi i primi produttori di fake news, e non il tanto vituperato mondo del web. Ad esempio quando il Nyt aveva accusato di razzismo un ragazzino cattolico pro-Trump fotografato mentre rideva in faccia a un nativo americano, salvo scoprire poi che era tutto falso e i fatti molto diversi da come raccontati. Una scorrettezza deontologica che ha messo a nudo le scarse verifiche sui fatti operate dai giornalisti cosiddetti alfieri del pensiero liberale e ha fatto comprendere al pubblico statunitense che non c’è da fidarsi di loro.
A questo complessivo progresso culturale, come anche alla politica economica e a quella di sicurezza del governo a stelle e strisce, i democratici hanno risposto spingendosi ancor più a Sinistra e mettendo in campo per le primarie presidenziali candidati che spaventano gli elettori moderati – dall’ex punk Beto O’Rourke alla radicale Kamala Harris fino al vecchio socialista Bernie Sanders. Questa mossa però li scopre sul fronte degli elettori moderati e del mondo imprenditoriale. E prepara così una possibile nuova vittoria di Trump nel 2020. Per il mondo pro-life e per il diritto a praticare la Religione cristiana sarebbe una bella notizia.

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