Esiste solo un modo per dare senso alla umana e proverbiale “corsa contro il tempo”. A suggerirlo è un grande atleta degli anni Venti del secolo scorso, il quale dominava il tempo piegandolo ai suoi fini, così come ogni cristiano dovrebbe fare sul piano esistenziale, in rapporto al Fine ultimo.
Paavo Nurmi (1897-1973) fu un podista finlandese che negli anni ’20 del secolo scorso vinse nove medaglie d’oro olimpiche e tre d’argento tra il 1920 e il 1928. Vinceva stupendo gli addetti ai lavori. Nell’edizione dei Giochi Estivi del 1924 realizzò un’impresa unica: vinse i 1500 e i 5000 metri nel giro di un’ora.
Era un atleta colto, parlava molto bene il latino. Quando il noto giornalista sportivo Gianni Brera andò ad intervistarlo, Nurmi, non conoscendo l’inglese, decise di farsi intervistare parlando la lingua di Cicerone.
Vi era una caratteristica nel modo di correre di Nurmi. Era talmente forte che non gareggiava contro i rivali, bensì contro il tempo. Fu l’unico atleta di allora a correre con l’orologio al polso per migliorare il ritmo sulla lunga distanza. Osservando l’orologio, scansionava le distanze prefiggendosi di arrivare ai singoli traguardi in tempi sempre più brevi.
Il tempo è qualcosa che s’impone e che non è modificabile. Questo istante è già passato e non può più ritornare. È un’ovvietà su cui non sempre si riflette, ma è così. Eppure ciò che faceva Nurmi può insegnarci qualcosa. Il tempo non lo si può annullare, ma lo si può governare. Nurmi lo faceva con la forza delle sue gambe, con la sua decisa volontà, con la robustezza del suo cuore. Lo faceva correndo e costruendosi come “mito” sportivo. Si racconta che un bambino finlandese sarebbe partito all’insaputa dei genitori per andare alle Olimpiadi di Anversa per poter fare il tifo per lui.
Ma ciò che Nurmi faceva nello sport in un certo qual modo è chiamato a farlo, nella propria esistenza, chiunque voglia attingere dall’autentica sapienza: governare il tempo. Per governare il tempo occorre capire che il tempo non è qualcosa di inesorabile, anch’esso è nella dimensione della creaturalità. Quante volte sarà capitato sentirsi chiedere (o lo abbiamo chiesto a noi stessi): Dio perché ha creato in quel momento e non prima o dopo? E cosa faceva Dio prima della creazione? Domande, però, che non hanno senso, perché in Dio non c’è né un prima né un dopo. Se Dio fosse nel tempo, lo dovrebbe in un certo qual modo subire e, se così fosse, Dio non sarebbe più Dio, ma il vero Dio sarebbe il tempo. Dunque, il tempo (così come lo spazio) sono “creature” di Dio. “Creature” in relazione alla materia. La materia è dimensionata, ecco la categoria dello spazio. La materia diviene, ecco la categoria del tempo.
Dunque, l’uomo saggio non può annullare il tempo, ma lo può e lo deve governare. La soluzione è sottomettere il tempo all’eterno, cioè al suo fine. È l’eternità (solo questa) che rende comprensibile, sensato, accogliente... il tempo. Senza l’eternità, il tempo diventa uno smarrimento inesorabile e una condizione scomodissima: diventa un assurdo!
Nurmi, correndo, non badava agli avversari, badava piuttosto che le sue gambe corressero più del tempo, affinché questo potesse finalizzarsi alla mèta che il suo cuore e la sua mente cercavano di raggiungere. Sant’Agostino risolve tutto affermando che il tempo nell’interiorità umana si trasforma in attesa, cioè diventa uno scorrere verso qualcosa, non un impietoso e assurdo procedere verso il nulla.
Nurmi, che conosceva il latino, forse quando correva pensava a sant’Agostino... tant’è che una sua frase è rimasta famosa: «Per correre contro il tempo bisogna conoscerlo». E chi più di sant’Agostino è stato maestro del tempo?