È ora in libero commercio la medicina che permette di interrompere lo sviluppo puberale di pre-adolescenti dichiarati affetti da “disforia di genere”, lasciando loro tempo e modo di scegliere quale sesso adottare..
Fino a poco tempo fa, solo gli addetti ai lavori conoscevano un farmaco a base di triptorelina o, al massimo, quelli che erano affetti da una malattia tumorale. Da qui in avanti ne sentiremo parlare più spesso, poiché questa molecola sintetica ha anche un’altra funzione: quella di bloccare la pubertà, ovverosia, quel periodo fisico che va, grosso modo, dagli 11 ai 16 anni, durante il quale il corpo umano assume più marcatamente le caratteristiche maschili o femminili. La sua somministrazione, quindi, congela lo sviluppo biologico in senso maschile o in senso femminile.
Recentemente l’A.I.F.A., l’Agenzia Italiana del Farmaco, ha approvato il suo utilizzo per curare la disforia di genere, cioè quella situazione in cui la realtà sessuata della persona è rifiutata, non riconosciuta. Ora, il sentirsi qualcosa di diverso da ciò che realmente si è, rispetto allo sviluppo biologico oggettivamente iscritto nel proprio corpo, genera un cambiamento di umore, una depressione.
Da pochi giorni è stata commercializzata la molecola della triptorelina, erogata dal sistema sanitario nazionale. Si tratta di un farmaco che può essere richiesto dal paziente, dopo che un’equipe medica abbia diagnosticato la disforia di genere e dopo che l’intervento di psicologi o psichiatri non sia stato risolutivo.
Nel caso in cui l’adolescente si trovi nel dubbio amletico di non sapere quale sia la sua identità di genere, potrebbe richiedere, ricevere e assumere il farmaco che ferma lo sviluppo puberale fin quando non deciderà “cosa essere”.
Secondo la stima di un quotidiano nazionale, solo una persona su 9.000 ha problemi di identità di genere e l’80% dei casi si manifesta durante la pubertà. Quindi, questo numero, per il momento ancora così esiguo, riguarda la fascia d’età tra gli 11 e i 16 anni. Nella stragrande maggioranza dei casi, si tratta di situazioni di disorientamento provvisorio che si risolvono da sole; ne consegue che il numero reale delle persone che permangono nella confusione è una percentuale ancora inferiore rispetto a quella iniziale.
Con la teoria del gender insegnata nelle scuole, non ci sarebbe da stupirsi se i casi di smarrimento del proprio orientamento sessuale aumentassero considerevolmente. In attesa che il programma per la buona scuola, con la lotta alla discriminazione di genere – che non esiste –, si attui a tappeto, sono i mass media a svolgere il ruolo traghettante verso la confusione di genere.
Infatti, l’utilità dei media per il raggiungimento di questo fine rientra in una tattica proposta da Marshall Kirk, studioso di neuropsichiatria, ed Hunter Madsen, esperto in tattiche di persuasione pubblica e di social marketing. I due, entrambi omosessuali, negli anni ’90 svilupparono una strategia secondo tre linee guida. La prima consisteva nel sommergere la società con messaggi omosessuali. I media e i gay pride in tutte le città, hanno agito e agiscono in tal senso. La seconda, nell’etichettare ogni forma di discriminazione contro gli omosessuali come un atteggiamento non cristiano. La terza consta nello stimolare la nascita di sentimenti positivi verso il mondo gay e negativi contro gli ambienti critici.
Oggi non abbiamo dubbi nel dire che questa strategia sia stata vincente per certi aspetti. Vincente perché le lobby gay fanno pressione sulla politica e le istituzioni per favorire lo sviluppo dell’omosessualismo; ma c’è anche un aspetto perdente insito proprio nel principio. La tendenza sessuale di una persona, infatti, non può essere costruita a tavolino, come se fosse un prodotto esclusivamente legato a fattori culturali ed educativi. L’ambiente ha la sua influenza, vero, tant’è che aumentano i casi di confusione di identità di genere, grazie alla diffusione massmediatica, come del resto ammette la stessa strategia di Kirk e Madsen, ma cresce anche l’intolleranza verso la dittatura gay, poiché questa operazione è sempre più chiaramente percepita come una imposizione dall’alto, come una sopraffazione che non risponde al libero sentire della retta natura umana. Questo aspetto, non da poco, capace di innalzare il livello di conflitto sociale, è sfuggito ai ricercatori. L’errore è quello di negare il dato naturale, il dato oggettivo, e di sognare che la natura sia un prodotto della creazione dell’uomo. Ancora una volta la fragilità di questa teoria viene alla luce e s’infrange, inevitabilmente, sugli scogli della realtà.