ATTUALITÀ
Legalizzazione della cannabis. Come è iniziata?
dal Numero 10 del 10 marzo 2019
di Lazzaro M. Celli

Tollerare il male, in tutti i campi, equivale a farlo prosperare. Volgiamo uno sguardo agli inizi di questa battaglia culturale, per conoscere i registi invisibili di questa corsa alla legalizzazione, i quali da dietro le quinte hanno mosso gli eventi a suon di dollari.

Con la presentazione del Disegno di legge del senatore Matteo Mantero sulla legalizzazione del consumo e vendita di derivati della cannabis per uso ricreativo si sta riaprendo il dibattito pubblico sulla questione. Tra i vari argomenti a favore dei sostenitori permissivisti ci sarebbe la convinzione che il consumo legale smantellerebbe le organizzazioni criminali.
Tra tutte le giustificazioni, questa è invero la più banale e inconsistente; denota una scarsa conoscenza delle organizzazioni criminali.
Sull’argomento Paolo Borsellino affermò che: «Né la legalizzazione della cannabis, né la legalizzazione di tutta la droga andrebbe mai a scalfire gli interessi della mafia». Il noto magistrato, la cui conoscenza non si limitava solo alla particolare organizzazione criminale siciliana, asseriva che la droga non è l’essenza della mafia, come non lo è di altre organizzazioni criminali.
Se malauguratamente si legalizzasse, le organizzazioni avrebbero dinnanzi alcune opzioni. Una sarebbe lo spostamento delle loro attività illecite in altri settori, come quello degli appalti o quello imprenditoriale. Un’altra sarebbe quella di offrire sostanze sul mercato nero, in alternativa a quello legale. Questo potrebbe avere una serie di effetti deleteri per l’intera società. Innanzitutto si dilaterebbe la fascia di consumatori che normalmente non avrebbero accesso ai punti di rivendita legale, stiamo parlando dei consumatori minorenni; poi, la criminalità organizzata, per battere la «concorrenza» legale, potrebbe immettere sul mercato sostanze con un prezzo più basso e con un più alto concentrato di principio attivo. Certamente, sarebbe davvero molto più realistico credere all’asino che vola piuttosto che alla storiella della criminalità organizzata sconfitta per effetto della legalizzazione della cannabis. 
La realtà, però, è tragica. Siamo giunti a livelli di emergenza esistenziali. Mentre ci battiamo per dimostrare che la droga fa male, non va commercializzata e, quindi, legalizzata, ci sono appositi siti dove con un semplice clic è possibile acquistare semi per la coltivazione di cannabis. Ci sono i cosiddetti growshop, ovvero negozi specializzati in articoli e attrezzature per la coltivazione e il giardinaggio, in modo particolare della canapa, che è una pianta erbacea che appartiene alla famiglia delle cannabinacee (cannabis sativa). Nel suo interno è possibile trovare oltre ad attrezzi per fumatori anche prodotti alimentari che hanno a che fare con questa sostanza.
Ormai la strategia della diffusione, ora con questa, ora con quell’altra eccezione, è diventata invasiva. L’averla tollerata ha assunto il significato di averla fatta prosperare. Il Consiglio Regionale della Campania, il 28 luglio 2016, approvò la legge che regola l’uso terapeutico della cannabis, e fu la decima regione a riconoscerla. Oggi sono più di 700 i locali in Italia in cui si commercializzano prodotti a base di cannabis sativa. A fronte di questo moltiplicarsi esponenziale la discussione sulla legalizzazione o meno è puramente simbolica, poiché si è già provveduto a diffondere la mentalità, la cultura dell’uso responsabile ed innocuo della cannabis.
Ma come si è arrivati a tutto ciò? Il nome dietro le quinte è quello di Keith Stroup, un avvocato fondatore del NORML (Organizzazione Nazionale per la Riforma della Legge sulla Marijuana). Questa Organizzazione trovò il suo sostentamento nei soldi guadagnati dal mercato mondiale della pornografia soft. Praticamente corruzione che genera altra corruzione. Nel 1971 Keith Stroup fu introdotto nello studio di Hugh Hefner, fondatore della rivista licenziosa, oscena, di Play Boy. Stroup era già sostenuto politicamente da varie personalità. «Quando Stroup lasciò l’appartamento di Hefner, aveva in tasca una assegno di 25mila dollari rappresentante la prima rata di fondi destinati a creare la NORML. [...]. Nel corso del decennio seguente Stroup ricevette da Hefner più di un milione di dollari di sovvenzioni. Se a questa cifra aggiungiamo la pubblicità gratuita all’interno della rivista Play Boy, oltre ad altri benefici marginali non riportati nei libri contabili, si arriva tranquillamente al triplo di questa somma. Quattro anni dopo il primo incontro tra Stroup e Hefner, Play Boy passò alla fase successiva, facendo pubblicamente emergere una lobby della droga» (1).
Ecco da dove arrivarono i primi soldi per le battaglie volte alla legalizzazione della marijuana. Non solo. Play Boy e NORML misero insieme un’equipe di avvocati per la difesa dei consumatori di cannabis e sovvenzionarono una serie di ricerche per evidenziare gli effetti benefici in campo medico della sostanza. Va da sé che i ricercatori prezzolati, per sostenere una presa di posizione ideologica, non avrebbero potuto che ottenere risultati convergenti con quel fine.
Le responsabilità sono di chi aveva il dovere di controllare ed impedire e non l’ha fatto. Ma si sa, il male tollerato prolifera.  


NOTA
1) Yann Moncomble, Il potere della droga nella politica mondiale, prefazione di Henry Coston, ed. Zolfanelli, 2016, pp. 107-108.

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