RELIGIONE
E il Serpente disse a Eva: “Facciamo discernimento...”.
dal Numero 10 del 10 marzo 2019
di Fra’ Pietro Pio M. Pedalino

Tutto ciò che di malvagio accade nel mondo è radicato nel primordiale evento del peccato originale, le cui conseguenze si rincorrono e le cui modalità si ripresentano di epoca in epoca. Riflettiamo su questo mistero della nostra Fede, mediante un’analisi psicologico-spirituale.

La Tradizione della Chiesa insegna che il peccato delle origini fu “remote” (remotamente) di superbia e “proxime” (prossimamente) di disobbedienza, cioè il peccato dei Progenitori fu un atto di disobbedienza al comando di Dio mosso ed alimentato da un previo moto di superbia dell’anima. A ben pensarci però – e per attualizzare l’evento delle origini da cui prende le mosse tutto il male del mondo e senza il quale non può spiegarsi nulla di ciò che vi avviene – il demonio ovvero il serpente propose alla donna una sola cosa, non più di una. Quale? La “parola magica”, distorta e propinata in tutti i modi da quei Pastori che hanno perso ormai la bussola della verità; una sola parolina ma davvero “serpentina”: discernimento...
Per cui parafrasando e traducendo nel contesto ecclesiale odierno i versetti della Genesi che ci narrano del peccato delle origini potremmo dire che il serpente, accostandosi ad Eva, è come se le avesse detto: «“Dio ha detto...”, sì: ma noi facciamo discernimento. È necessario valutare “caso per caso”, la tua situazione merita ponderazione, comprensione... Non essere ‘esclusiva’, sii ‘inclusiva’... vorrai forse scagliarmi contro la pietra della dottrina del tuo Dio, freddo e legalista? Suvvia, ragiona, rifletti, valuta bene. Le eccezioni si possono sempre fare”...
Qui, in pratica, si trova tutto il dramma dell’uomo: riflettere, valutare non per scrutare filialmente e umilmente le ragioni della fede per poi obbedire con più lena, con più amore; no, ma per fare l’esatto contrario di ciò che Dio ha ordinato, per fare i propri comodi suggeriti dalle proprie voglie, dalle proprie passioni disordinate. Bisogna, invece, ricordare che il comando divino non è in genere totalmente afferrabile; perché vi sia un vero atto di omaggio verso Dio è conveniente che ci sia una certa oscurità così come similmente è necessaria una certa oscurità per compiere l’atto di Fede che altrimenti diverrebbe puro esercizio del raziocinio. Non si tratta, però, di un’oscurità che umilia ma che piuttosto eleva l’uomo e lo unisce intimamente a Dio. I misteri della fede, in ogni caso, sublimano l’uomo e gli scoprono la sua vera dignità se creduti e vissuti.
Discernimento... Sì, il serpente propose ad Eva nient’altro che il discernimento. Ma attualizziamo. Anche oggi il Falsario si maschera e fa la medesima proposta. Siamo di fronte ad una delle due parole chiave (insieme a sfide) utilizzate come cavallo di Troia in questo inizio di millennio per scardinare il Cattolicesimo dall’interno. Discernimento suona bene, fa molto “monastero”: Enzo Bianchi vi ha intitolato anche un libro (e questo potrebbe già bastare per starne alla larga...). In realtà il senso genuino di questo termine non è niente di errato, tutt’altro; qualsiasi dizionario della lingua italiana (senza neppure voler scomodare la morale cattolica) lo definisce come «la facoltà e l’esercizio del discernere, cioè del distinguere il bene e il male; per estensione: giudizio, criterio». Ovviamente per un cristiano, come per qualsiasi persona moralmente integra, si distingue tra il bene e il male ai fini di poter scegliere il bene (anche se non sempre si riesce ad attuarlo); ciononostante discernimento lo si sente sempre più frequentemente inteso, nella Chiesa d’oggi, come “la facoltà e l’esercizio di trovare una giustificazione, in un caso specifico, per fare ciò che pare e piace, anche se va contro la Legge di Dio, col benestare di molti preti”. Ebbene: questo tipo di discernimento ha rovinato l’umanità e il suo destino, così bello nell’originario progetto di Dio.
Bisogna con ragione credere che tutto ciò che di malvagio avviene nel mondo sia radicato in quel primordiale evento della storia dell’umanità da cui hanno la loro scaturigine tutte le aberrazioni, tutte le modulazioni dell’umana iniquità, comprese quelle che vediamo palesemente sprigionarsi nel nostro infelice tempo.
È bene, allora, fermare l’attenzione su questo punto della nostra santa Fede cattolica. Lo facciamo brevemente con un’analisi in chiave psicologico-spirituale di don Dolindo Ruotolo.
«La tentazione cominciò con una discussione sul comando di Dio, e quindi cominciò con il minare le basi stesse dell’atto di obbedienza che il Signore reclamava dalla sua creatura. Dio, avendo imposto all’uomo un atto di obbedienza perché avesse meritato, logicamente fece in modo che egli non ne vedesse la ragione, affinché fosse stato un vero atto d’obbedienza. Il Signore minacciò solo la pena, una pena gravissima, per far intuire all’uomo che il precetto che gli dava era di grande importanza, e quindi per facilitargliene il compimento.
Il demonio, dopo aver distratto l’attenzione della donna con la singolare forma del serpente, le suscitò il desiderio di discutere sul comando divino, e stuzzicò il suo giudizio con il domandarle il motivo del precetto che le era stato imposto. Egli non domandò perché non dovesse mangiare il frutto dell’albero proibito, ma generalizzò maliziosamente la domanda, e disse: “Per qual motivo Dio vi comandò che non mangiaste di tutte le piante del Paradiso?”. Voleva far notare alla donna che quel precetto le restringeva la libertà, voleva già presentarglielo come illogico, perché il frutto proibito era un frutto come gli altri, voleva già produrre in lei, inconsciamente, un giudizio sfavorevole a Dio. Se avesse fatto la domanda solo per l’albero proibito, la donna non avrebbe pensato agli altri, non avrebbe avuto un termine di paragone per giudicare, ed avrebbe risposto più facilmente che Dio così voleva.
Alla domanda più ampia di Satana, la donna rispose portando la sua attenzione su tutti gli alberi del Paradiso terrestre: “Del frutto delle piante che sono nel Paradiso noi ne mangiamo” e soggiunse: “Ma del frutto dell’albero che è nel mezzo del Paradiso il Signore ci ordinò di non mangiarne e di non toccarlo, affinché per disgrazia non abbiamo a morirne”. C’era già un certo rammarico in queste parole, poiché invece di ricordare prima di tutto al tentatore il precetto di Dio, la donna constatava che poteva mangiare di qualunque frutto, ma che solo di quello non poteva cibarsi. Inconsciamente il comando divino le appariva strano, la pena sproporzionata, l’effetto della pena discutibile. Avrebbe dovuto dire che non mangiava del frutto proibito per amore di Dio, per fare a Lui un ossequio, per obbedire alla sua volontà, ma poiché la sua coscienza era già scossa, ed il cuore non amava Dio come avrebbe dovuto, si contentò di citare servilmente il comando divino, con una certa esagerazione, perché Dio non aveva proibito di toccare il frutto, ma di mangiarne.
Fu questo il primo saggio del positivismo balordo che Satana fece nel mondo per distaccare le creature da Dio, come facendo cadere Adamo per amore della donna con il miraggio di un’elevazione superiore, fece il primo saggio dell’idealismo. La donna e Satana fecero il primo libero esame della Parola di Dio, interpretandola secondo il proprio tornaconto, come fanno oggi i protestanti e quelli che per ironia si chiamano liberi pensatori.
Il demonio notò che nella donna si era insensibilmente suscitato l’orgoglio; quella titubanza, quell’incertezza, quella discussione era orgoglio. Perciò, con una malignità serpentina, pose innanzi all’orgoglio un ideale capace d’ingigantirlo sino alla ribellione. Non era egli caduto dal Cielo per l’orgoglioso pensiero di essere simile a Dio? Questo dunque gli sembrò il motivo più forte per indurre la donna alla caduta; egli ne aveva in se stesso la tremenda e dolorosa esperienza. Ed allora, invidioso del bene dell’uomo, attribuì a Dio quell’invidia da cui era roso, e disse: “Assolutamente voi non morirete. Anzi Dio sa che in qualunque tempo ne mangerete, si apriranno i vostri occhi e sarete come dèi, conoscitori del bene e del male”.
In fondo Satana raccoglieva ed ingrandiva quel pensiero che già passava nella mente della donna. Essa non credeva più di morire trasgredendo il precetto di Dio, non amava più il suo Creatore, perché questo amore era stato colpito come da una folata di vento agghiacciante quando essa aveva voluto discutere sul comando divino; perciò credé con facilità che veramente Dio avesse dato quel precetto per impedire in lei un’esaltazione.
È la perenne tentazione del mondo, che crede abbassarsi e diminuirsi seguendo la religione; è lo scellerato apprezzamento che gli empi fanno della mirabile rivelazione di Dio, quasi fosse un ostacolo e un’insidia al progresso umano!».

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