I FIORETTI
La Mezzanotte di Fra Pietro e il novizio
dal Numero 42 del 4 novembre 2018

Padre Francesco Napolitano ci racconta questa storia, che si svolse nel convento di San Giovanni Rotondo nel 1945.
In quel tempo vi era nella famiglia religiosa del convento un fratello laico, cioè non sacerdote, di nome Pietro, con la mansione di frate cercatore o questuante: andava a chiedere l’elemosina per le case del paese e, in determinati periodi dell’anno, anche per le campagne, durante la raccolta delle olive, dell’uva, del grano.
Questo compito, che svolgeva fuori dal convento, non lo dispensava dalla partecipazione a tutti gli atti comunitari che si svolgevano in fraternità, come la recita dell’Ufficio divino, le meditazioni, le Messe, tridui, ritiri spirituali, esercizi spirituali.
La recita dell’Ufficio divino avveniva con la lettura a voce alta del breviario: vi era, al centro del coro, un grande salterio sul quale un frate accolito, detto ebdomadario, favoriva girando le pagine; gli altri, invece, che non erano sacerdoti, recitavano al posto del breviario, settantasei Padre Nostro, con la fraternità nel coro. Riportiamo queste notizie per quei lettori, e sono la maggioranza, che non conoscono la vita interna di una fraternità religiosa, che si svolge entro le mura claustrali e, quindi, lontano dagli occhi di chi è al di qua di quelle mura.
La recita dell’Ufficio divino avveniva in varie ore della giornata, che iniziava subito dopo la mezzanotte, quando si recitava il “Mattutino”; poi vi erano le Lodi, le Ore, Vespero, Compieta, distribuiti durante la giornata, fino a sera. Il fratello laico, non sacerdote e, quindi, non tenuto alla recita del breviario, aveva il dovere di recitare i Padre Nostro, come già detto, e per questo partecipava anche ai riti comuni della recita del breviario, che veniva chiamato anche Ufficio divino, come è detto sopra.
Allora, una notte, dopo la recita dell’Ufficio di mezzanotte, a cui tutti partecipavano, fra’ Pietro al ritorno nella sua cella, con gran sorpresa e timore, trovò seduto alla scrivania un giovanissimo frate con la testa chinata, coperta dal cappuccio, e con le mani giunte, come se stesse meditando. Benché spaventato per questa insolita visione, ebbe il coraggio di chiedere ad alta voce: «E tu chi sei?». Ma l’unica risposta ricevuta fu la scomparsa del giovane frate nell’aria rarefatta.
Spaventatissimo, il povero fra’ Pietro corse da padre Pio a chiedere aiuto e protezione. Padre Pio in questi casi era il punto di riferimento, la persona più esperta della materia, in quanto tutti lo ritenevano il più vicino al mondo arcano del divino e dell’oltretomba. Del resto anche i frati erano convinti che egli fosse un santo e ne avevano infinite prove, non ultima quella materiale che portava sul suo corpo, cioè le stimmate della crocifissione di nostro Signore.
Padre Pio non si era ancora messo a letto, perché anche lui aveva partecipato all’Ufficio di mezzanotte. Ascoltò il confratello fra’ Pietro e cercò dunque di tranquillizzarlo. Poi, ponendogli il braccio sulle spalle, quasi abbracciandolo, lo accompagnò nella sua cella. Giunto lì padre Pio gli disse: «Fra’ Pietro, il giovane frate che hai visto alla tua scrivania è un povero novizio, che sta facendo ancora il suo purgatorio in questa stanzetta. Ma non ti spaventare. Non ti molesterà più, perché non lo vedrai più. Raccomandalo a Dio, affinché possa presto giungere in Paradiso». Lo benedisse ed aggiunse: «Ora vai a letto sereno. È già tardi. Cerca di dormire in pace».
Non sappiamo con quanta serenità fra’ Pietro prese sonno e con quanta gioia rimanesse nella sua cella. I tempi e il luogo, le persone che abitavano il convento e l’abitudine alla preghiera, alla vita di fede e al contatto con il sacro, ci permettono di pensare che, probabilmente, il buon Pietro abbia solo rivolto più spesso il suo pensiero alle anime dei trapassati, soprattutto di coloro che l’avevano preceduto, abitando in quella stanza.


Padre Alessio Parente,
Padre Pio e le anime del Purgatorio,
pp. 145-148

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