La capacità di commuoversi, caratteristica squisitamente umana, è portata dalla Vergine Addolorata ai massimi livelli nella compassione e partecipazione dei dolori di Cristo suo Figlio: ecco perché è giusto affermare che Ella non solo ha sofferto per il Figlio, ma con il Figlio.
Il beato Jacopone da Todi (1236-1306) dice: «Chi potrebbe non contristarsi contemplando la Madre di Cristo che soffre con il Figlio?».
A tutti sarà capitato che scattando fotografie a qualche monumento, paesaggio o altro, si abbia involontariamente immortalato qualcuno. Andando poi a vedere le foto, oltre a ciò che si voleva fotografare, si riconosce la presenza di uno sconosciuto che senza volerlo è stato ripreso. È qualcuno che non si conosce. Può avere il viso allegro, o triste e pensieroso. È una storia umana che sta lì, ma non sappiamo chi sia. Rimarrà lì fin quando conserveremo la foto. E ogni qual volta andremo a rivedere quella foto, quel volto si ripresenterà al nostro sguardo. Ma non sappiamo chi sia. Sappiamo però che ha una storia. Ha un vissuto.
Il celebre scrittore francese Victor Hugo (1802-1885) scrive a proposito dei poeti: «I poeti hanno dentro di sé un riflettore, l’osservazione; e un condensatore, la commozione». Parole che pongono una questione vera. Solo l’uomo che può dirsi veramente uomo, cioè sensibile, non si limita ad osservare, ma anche “condensa”. Cioè non solamente osserva, ma si commuove. Ovviamente non nel senso di piangere, commuoversi nel senso letterale del termine, ovvero cerca d’identificarsi con chi osserva, con chi incontra, con chi interloquisce con lui.
Ritorniamo sulle parole del beato Jacopone da Todi. Questi è come se ci dicesse: se è dell’uomo il commuoversi, se è dell’uomo il non rimaner indifferente dinanzi alle storie altrui, a maggior ragione l’uomo che vuole veramente essere tale non può rimanere indifferente contemplando la Madre di Cristo che soffre con il Figlio.
Il dolore della Madonna sotto la Croce, e ancor prima nella passione, e ancor prima in altri momenti dolorosi della vita, e poi sempre nel pensiero costante che Ella aveva sapendo che cosa di terribile sarebbe toccato al suo amato Figlio, non è un dolore come gli altri. È molto di più. È – possiamo dire – un dolore “divino”.
Il beato Jacopone non dice che la Madre soffre per il Figlio, ma con il Figlio. Tutte le madri hanno una grande capacità di compatire, di immedesimarsi, e molte, tante mamme preferirebbero soffrire loro piuttosto che veder soffrire i propri figli. Ma queste, pur volendo, non riuscirebbero mai pienamente a soffrire con i figli. Perché, per quanto ad essi legate in natura, non possono realizzare con essi una piena comunione.
Non è così per l’Immacolata. Ella dal concepimento è unita indissolubilmente a Dio. Ella ha generato Dio stesso e mai si è allontanata dal suo volere. Anzi: pienamente vive nel suo volere. Ed ecco che il suo dolore è un dolore che non è solo per il Figlio, ma anche con il Figlio.
Da qui la verità indiscutibile e sublime della Corredenzione di Maria.
“Sublime” nel senso letterale del termine. Sublime viene da “sub-limen” ovvero che giunge “alla soglia più alta”. Qualcosa di talmente alto da essere inimmaginabile e meraviglioso: a salvarci è Dio, ma insieme a Lui i dolori di una Mamma!
Ed ecco che dinanzi alla Pietà (la Vergine con il Figlio morto) non basta osservare, occorre commuoversi. Occorre che lo sguardo si “condensi”, cioè si concentri sulla sublimità della storia della Redenzione. Come una macchina fotografica che ritrae non solo delle cose, ma anche l’umano dei volti, e dei loro vissuti... ma essa (la macchina fotografica) non può commuoversi, noi sì!