Nei nuovi arrivati a San Giovanni Rotondo esplodeva l’affetto per l’operatore delle conversioni e la devozione per quell’eccezionale donatore di sangue che era lo Stimmatizzato del Gargano.
Padre Pio apparentemente aspro, quante più piaghe aveva, tanto più era dolce e indulgente con le nuove reclute: ne comprendeva i desideri e i sentimenti, li tollerava, li compativa e qualche volta li considerava incontestabili diritti dell’umana natura.
Tuttavia, senza diventare spigoloso e sprezzante, spesso convinceva quelle anime generose e docili della sterilità di certi affetti. Egli nel correre premurosamente in cerca delle pecorelle smarrite, risparmiava il fiato, come lo risparmiava, del resto, in tante altre circostanze; però apriva il cuore, anzi permetteva di farselo palpare per farne sentire i battiti accelerati, quando voleva far comprendere ai neonati dello spirito il miracolo e l’amore più interessante del mondo: il miracolo del ritorno alla Chiesa e l’amore di Gesù.
Padre Pio sapeva moderare, anche con modi bruschi, le manifestazioni affettive nei suoi confronti, quando in coloro che aveva rigenerati con il proprio sudore e sangue notava un affetto male impostato o alquanto esagerato.
Un mio amico – l’ing. Cremonini [...] – mi aveva detto che, dopo aver sofferto molte volte l’amarezza di essere scacciato dal confessionale del Padre, un bel giorno finalmente fu assolto e ne fu tanto contento che, subito dopo l’assoluzione, ardì chiedere un bacio al confessore. E Padre Pio lo aveva abbracciato. Ma quando, pochi minuti dopo la confessione, il Padre, rientrando dalla sacrestia in convento, lo rivide appostato sulla porta e desideroso di baciargli la mano, disse con durezza: «Certi musi non voglio vederli due volte in un giorno». E gli richiuse la porta in faccia, lasciandolo nel più nero sconforto.
Il mio amico in lacrime andò a passeggiare sul sagrato della chiesa. Qui, pur non conoscendolo, lo avvicinò il dottor Sanguinetti e, dopo aver saputo il motivo del suo pianto, gli propose di andare [con lui] nella cella di Padre Pio a chiedere chiarimenti. Il malcapitato fece qualche riserva, ma accettò. Nella cella n. 5 il Padre, come scusandosi, spiegò: «Ti ho trattato così, perché sentivo il bisogno di impormi una penitenza: stavo godendo troppo del tuo ritorno alla Chiesa, come se ci fosse del merito mio».
La risposta, che aveva convinto il mio amico, a me non era piaciuta. Un pomeriggio questo amico, presenti padre Pio e il dottor Sanguinetti, fece un accenno scherzoso al giorno della sua prima assoluzione. Approfittai e domandai subito al Padre: «Ma lei, con la scusa di mortificare il suo amor proprio, ha fatto piangere questo povero disgraziato. Perché?». E allora il Padre, che mi aveva letto negli occhi i dubbi sulla legittimità del suo comportamento, completò la spiegazione: «Anche lui doveva capir bene che più che figlio mio, quel giorno era diventato figlio della Chiesa. Non doveva correre appresso a me, nella chiesetta, davanti a Gesù Sacramentato».
Padre Marcellino IasenzaNiro,
“Il Padre”. La missione di salvare anime. Testimonianze, pp. 598-600