Come nella generazione eterna il Verbo è consustanziale al Padre, così in quella temporale il Verbo umanato è tutto tratto dalla sostanza della Madre. Nel grembo verginale di Maria Santissima vennero formati quel Copro e quel Sangue divini la cui presenza sacramentale troviamo intatta nell’Eucaristia.
«Ave Maria piena di grazia!» (Lc 1,28). Queste parole risuonano sempre così dolci nella mente e sulle labbra dei cristiani. Significa rievocare il mistero centrale della vita cristiana, quel fiat che all’unisono col fiat originario della creazione, ha ricreato il mondo. Due parole s’incontrano; due Persone dialogano: il Padre e la Madre; il Padre pronuncia la sua Paola eterna, il Figlio; la Madre la sua parola temporale, che le fa accogliere il Figlio eterno nel suo grembo. Quel Dio che ha fatto tutto con la sua parola, ora s’incarna nel grembo purissimo di Maria: «il Verbo si fece carne» (Gv 1,14), si fece carne per mezzo (de) di Maria e per mezzo di Maria «venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14), o letteralmente, fece la sua tenda tra noi.
L’Immacolata allora è beata per aver portato in grembo il Figlio dell’eterno Padre, per «aver offerto – dice papa Giovanni Paolo II nella sua enciclica Ecclesia de Eucharistia – il suo grembo verginale per l’incarnazione del Verbo di Dio» (n. 55).
Di qui capiamo la centralità di Maria, nostra madre, nella vita cristiana. Lei si colloca al centro del mistero della salvezza. Iddio nella sua provvidenza, chiede il suo consenso per realizzare la sua opera somma, l’incarnazione del Figlio. Per tale ragione la Madre è nel cuore stesso del mistero, perché è il cuore stesso di Cristo: è sua Madre! L’Immacolata diventa perciò la radice, la fonte del mistero della grazia. Tutto avrà come origine Lei; ragion d’essere Lei; possibilità stessa di essere da Lei, perché è Lei, che dicendo il suo fiat, ha inaugurato la Nuova ed eterna Alleanza.
Questo legame intrinseco tra la Madre e i misteri (in modo principale i Sacramenti) della vita cristiana rifulge di una luce vivissima nel sacramento dell’Eucaristia. Infatti dice papa Giovanni Paolo II: «L’Eucaristia, mentre rinvia alla Passione e alla Risurrezione, si pone al tempo stesso in continuità con l’Incarnazione. Maria concepì nell’Annunciazione il Figlio divino nella verità anche fisica del corpo e del sangue, anticipando in sé ciò che in qualche misura si realizza sacramentalmente in ogni credente che riceve, nel segno del pane e del vino, il corpo e il sangue del Signore» (n. 55).
L’Eucaristia è il sacramento del Mistero pasquale del Figlio di Dio. Nell’Eucaristia viene ripresentata la Passione, Morte – ecco il valore sacrificale dell’Eucaristia, così sottolineato dal Papa nell’Ecclesia de Eucharistia che il solo termine sacrificio ricorre 61 volte – e Risurrezione del Signore: Gesù nell’Eucaristia è «pane della vita» (Gv 6,48) perché è risorto, è «il Vivente» (Ap 1,18). Ma, se l’Eucaristia è del Mistero pasquale l’annuncio e l’attualizzazione salvifica, essa è altresì il prolungamento nel tempo del mistero dell’Incarnazione, senza il quale non ci sarebbe neppur la Pasqua del Signore. Allora l’Eucaristia, possiamo dire, è l’Incarnazione del Signore che si prolunga visibilmente, sebbene in modo velato, sotto i segni sacramentali del pane e del vino, trasformati in Corpo e Sangue.
Quel corpo e quel sangue che fanno l’Eucaristia, sono il corpo e il sangue che Maria ha dato a Gesù. «Caro Christi, caro Mariae» dice sant’Agostino, ovvero, la carne di Cristo è la carne di Maria. Ecco allora perché il Santo Padre, rivolgendosi a Maria, la definisce «donna eucaristica» che ha vissuto il mistero dell’Eucaristia nel suo stesso farsi. Se l’Incarnazione segna la possibilità dell’Eucaristia, la maternità verginale di Maria n’è la radice e lo sviluppo. Quel Pane e quel Vino consacrati che noi adoriamo, sono il frutto del grembo benedetto di Maria, perché sono «tutto il mio Dio» come canta san Tommaso d’Aquino nell’inno Adoro Te devote, il mio Dio che ha preso l’umanità da Maria. Ciò che propriamente costituisce la “novità eucaristica”, non è tanto il fatto che Dio diventa pane, ma che Dio diventa uomo per diventare pane. Se Dio non fosse diventato uomo non sarebbe neppur diventato pane, in quanto il pane, non avrebbe potuto significare tutta la pienezza di nutrimento, prescindendo dal legame con l’umanità di Cristo, visibile, palpabile: «Ciò che abbiamo udito [...] ciò che le nostre mani hanno toccato ossia il Verbo della vita» (1Gv 1,1), si è fatto carne per farsi pane in Maria.
L’Immacolata ha concepito nella realtà fisica del suo grembo quella santissima Umanità di Cristo presente, insieme con la divinità, nell’Eucaristia. Perché Madre di Cristo, dunque, l’Immacolata è, di conseguenza, madre dell’Eucaristia. Nel suo seno, col suo latte verginale, ha impastato le carni immacolate dell’Agnello divino, preparando in sé il mistero eucaristico.
Parafrasando le parole del prologo di san Giovanni, con tutta la Chiesa esclamiamo: il Verbo si fece pane e venne ad abitare in noi per mezzo di Maria!
Alle parole di saluto rivoltele dall’Angelo, faranno eco le nostre parole: Ave Maria, madre che ci doni l’Eucaristia!