RECENSIONI
Cause e cure delle infermità
dal Numero 26 del 30 giugno 2013
di Enrico M. Romano

Autore: Ildegarda di Bingen
Sellerio editore, Palermo 2012
Pagine: 345
Prezzo: € 18

Il 7 ottobre 2012 Benedetto XVI ha aggiunto alla lista dei Dottori della Chiesa i bei nomi di san Giovanni d’Avila (ispanico, 1499-1569) e di santa Ildegarda di Bingen (teutonica, 1098-1179). Secondo padre Enrico Zoffoli, i Dottori della Chiesa sono quegli «scrittori ecclesiastici che, per l’esemplarità della vita, l’ortodossia della dottrina, l’eminente ricchezza e originalità del sapere teologico, hanno meritato di essere onorati con questo titolo» (Dizionario del Cristianesimo, p. 154).
Dunque ciò che è richiesto come necessario al Doctor è l’esemplarità della vita, opposta ad ogni vizio, peccato e difformità rispetto al Vangelo; l’ortodossia della dottrina, in nulla contraria ai dogmi definiti (mentre erano in vita...); e l’originalità del sapere teologico, che non deve essere una mera ripetizione di quanto già noto attraverso le fonti della Rivelazione, ma deve constare, almeno in parte, di intuizioni personali e di sviluppi, evidentemente in continuità omogenea con il patrimonio precedentemente definito.
Forse nessuno tra gli altri Dottori della Chiesa ha avuto la vita speciale e particolarissima della Mistica renana che nella sua lunga e movimentata esistenza fu badessa e fondatrice di conventi, eccellente letterata, studiosa di discipline variegatissime (teologia, filosofia, musica, agricoltura, astronomia, medicina, cucina), consigliera preziosa di Papi e Re, veggente fin da bambina, profetessa, e soprattutto santa monaca benedettina (cf. Cristina Siccardi, Ildegarda di Bingen, edizioni Paoline, 2012). Una personalità davvero luminosa che contrasta con la persistente immagine di «secoli bui» attribuita dai testi scolastici al Medioevo cristiano europeo (secoli V-XV). Tra l’altro ebbe «uno scambio epistolare» (p. 23) con Eugenio III, Anastasio IV, Adriano IV e Alessandro III, ricevendo pubblici elogi da vari Sommi Pontefici, tanto per dire del famoso disprezzo della donna nei secoli della Cristianità.
Fra le sue tante opere spiccano i tre trattati teologici che ci ha lasciato: lo Scivias (il più celebre e celebrato, sulla conoscenza delle “vie di Dio”), il Liber vitæ meritorum sui «trentacinque vizi che affliggono gli uomini» (p. 20) e il Liber divinorum operum, «un quadro della creazione del mondo e dell’uomo» (p. 20). Opere tutte di alta teologia e di alta mistica, direi di teologia mistica e/o di mistica teologica. Qui invece siamo alle prese con un’opera profana di taglio medico-scientifico, intarsiata però di preziose gemme di fede.
L’introduzione alla presente edizione di Angelo Morino, assai dotta, risente però abbondantemente della tendenza laica dell’editore Sellerio che, sebbene pubblichi non raramente “testi devoti” (tipo sant’Alfonso, Teresa d’Avila, gli Atti del processo a Bruno, l’abate Dinouart, Claudel, ecc.), a volte relega questi ultimi alla collana dedicata alle Favole mistiche... In ogni caso meglio essere pubblicati da edizioni laiche, ma in modo integrale e fedele all’originale, che essere rivisti, ritoccati e depotenziati, come è capitato a vari testi cattolici (l’Imitazione, il Montfort, dom Chautard, ecc.), per opera di aggiornate case editrici “cattolico-progressiste”.
Il Morino, che cita le peggiori pagine di Ida Magli ancora in versione laicista, mentre fa un’introduzione alla vita e all’opera di sant’Ildegarda, fa pure, forse senza avvedersene, una introduzione contro Ildegarda e la sua religione (in nulla diversa dalla nostra). Egli ci spiega che in un certo senso ci furono due Ildegarde, la scienziata e la mistica, e questa seconda dovette infine prevalere a causa «di una particolare costruzione» agiografica (p. 11), avutasi dopo la morte della Santa. In realtà è la presunta opposizione tra scienza e fede che non convince: lo scienziato è colui che studia le realtà naturali, e il santo è colui che scruta quelle sovrannaturali, da cui derivano le stesse realtà naturali. Tra i due ambiti c’è distinzione ma nulla opposizione, anzi la fede aiuta la ricerca, come la ricerca aiuta la fede e la stessa devozione cristiana. «Resta il fatto che, comunque siano andate le cose, a finire chiusa in un margine buio è l’altra Ildegarda, quella che sapeva e tramandava le virtù del mentastro e della polmonaria, delle mosche schiacciate e del sego di capro, del sangue di talpa essiccato e del cuore di pavone cotto in acqua e issopo» (p. 12). Bisogna dire però che da qualche tempo, i nebulosi ambienti esoterici, verdi e New Age si sono impadroniti dei testi meno importanti dell’abbondante letteratura ildegardiana e ne hanno tratto argomenti a favore di un ritorno, tanto discutibile quanto regressivo, alla “natura”. In tal senso abbondano, specie nel Nord Europa, i ricettari ildegardiani, la medicina alternativa su base “mistica” o “biologica”, e altri usi strumentali e antiscientifici dell’opera della Santa. La medicina però, come tutto quello che dipende dalla riflessione umana, muta e progredisce, abbandonando molto di quanto si credeva in passato: solo la fede (che è d’origine divina) progredisce senza abbandonare nulla di quanto creduto dalle generazioni che ci hanno preceduto. Voler tornare al Medioevo, nel senso del rifiuto hamish del (vero) progresso medico-scientifico, è quanto di meno cristiano e di meno “medievale” si possa concepire. Certo è che una santa, anche quando scrive di cucina, di astronomia e di agronomia, resta una santa: non nel senso che sarebbe temerario il contraddire alcune sue fantomatiche “ricette”, quanto nel senso che, anche parlando, come fa qui, delle malattie e delle cure, si avverte, quasi ad ogni pagina, il rimando ad un ordine che trascende il fenomenico e si impernia della certezza del Dio Assoluto. Il libro difatti inizia così: «Dio era ed è senza inizio, sin dalla creazione del mondo. Egli era ed è luce e splendore, ed era la vita. Quando volle fare il mondo, lo fece dal nulla, ma la materia del mondo era nella sua volontà» (p. 37). E finisce così: «Terminano qui le profezie di Santa Ildegarda. Termina qui questo libro. Chi scrive sia libero da rimproveri. Tutti dicano Amen» (p. 340). Si può sorridere certo quando la profetessa parla «del tempo della procreazione» (p. 60), «del male malinconico» (p. 84), «della calvizie» (p. 149), «dell’ingrossamento della milza» (p. 156), «dell’alito cattivo nel tempo nuvoloso» (p. 158), «dell’evacuazione» (p. 178), «dello sbadigliare» (p. 219), «dei pidocchi» (p. 237), o sul concepimento dell’infante durante le 30 lune (cf. pp. 330-340), ecc., ecc. Serissimo il discorso si fa quando si parla «della creazione degli angeli» (p. 37), «della caduta di Lucifero» (p. 37), «della creazione dell’anima» (p. 39), «della caduta di Adamo» (p. 77), «della malizia di Eva» (p. 94), «del diluvio» (p. 96), «della vendetta di Dio» (p. 109), «della penitenza» (p. 224), «delle pene del Purgatorio» (p. 328), che dunque non è stato Dante ad inventare (tesi corrente...).
Insomma un testo non per la stretta meditazione, ma per introdursi in quel periodo fantastico che fu il Medioevo cristiano, attraverso un documento storico da leggersi con discernimento e sano spirito critico, ben sapendo che, in ultima analisi, è meglio avere una scienza imprecisa come quella della Santa accompagnata dalle sue virtù, che una cultura enciclopedica unita a cattiva vita e scarsa fede.

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