La sofferenza, tanto presente nella vita di Padre Pio, era a lui “cara” perché vissuta nella luce della Croce di Cristo e ricevuta come pegno del divino amore. La consapevolezza che egli aveva di soffrire insieme a Gesù alleviandogli i dolori e di esser stato eletto per aiutarlo nel “grande negozio dell’umana salvezza” formava tutto il suo “contento”.
La sofferenza è comune a tutti gli uomini. Non c’è nessuno che possa dire di non aver mai sofferto nella sua vita. Le pene dell’uomo possono essere ascritte alla sfera fisica, psichica o spirituale. La gamma dei dolori è veramente varia, e tutti sanno di cosa si tratta, proprio perché tutti ne fanno esperienza. Anche Padre Pio ha avuto nella sua vita delle sofferenze: dolori fisici, per la malferma salute e le malattie; dolori fisici soprannaturali quali le vessazioni diaboliche; sofferenza fisica a causa di “grazie speciali” quali la trasverberazione al costato, al cuore, stimmatizzazione; sofferenze spirituali o morali: la notte oscura, i timori – riguardanti le sue confessioni e i suoi peccati, come anche il timore di essere ingannato o ingannare – e le tentazioni; anche lui ha provato la sofferenza per la morte di persone care, nonché per l’incomprensione, la calunnia, il sospetto. Sembra interessante, però, non soffermarsi all’elenco di questi dolori, ma spulciare le pagine della corrispondenza epistolare di Padre Pio con i suoi direttori spirituali, Padre Benedetto e Padre Agostino entrambi originari di San Marco in Lamis, un paese a pochi chilometri da San Giovanni Rotondo, nelle quali il Santo svela cosa significhi per lui il dolore. Ci soffermiamo sulle lettere scritte dal 1911 al 1916, prima, cioè, del suo arrivo a San Giovanni Rotondo e della stimmatizzazione visibile, avvenuta il 20 settembre 1918. Ecco alcuni brani:
«Godete, padre mio, perché sono contento più che mai nel soffrire, e se non ascoltassi che la voce del cuore, chiederei a Gesù che mi desse tutte le tristezze degli uomini; ma io non lo fo, perché temo di essere troppo egoista, bramando per me la parte migliore: il dolore. Nel dolore Gesù è più vicino; egli guarda, è lui che viene a mendicare pene, lacrime...; ei ne ha bisogno per le anime» (Ep. I, p. 270). Il dolore per Padre Pio è «la parte migliore» di ciò che la vita possa offrire. Questa affermazione a noi sembra illogica; nella frase successiva, però, il Santo ne spiega la motivazione: «Nel dolore Gesù è più vicino; egli guarda, è lui che viene a mendicare pene, lacrime...; ei ne ha bisogno per le anime». Si comprende, perciò, che nel dolore Padre Pio sperimenta una maggiore vicinanza del Signore, sebbene, in questa lettera, non spieghi come provi questa particolare presenza. Il «contento» che sente, poi, non sembra derivare da consolazioni spirituali presenti al momento del soffrire, bensì dalla consapevolezza di acconsentire a quanto gli veniva chiesto dal Signore, il quale, per usare l’espressione più eloquente adoperata da Padre Pio, “mendica” pene per il bene delle anime. In questo stralcio dell’Epistolario, infine, si nota l’intensità con la quale Padre Pio percepisce la richiesta di collaboratori per l’umana redenzione avanzata dal Signore. Il dolore, dunque, già da questo primo passo viene associato al bene delle anime. A tal proposito, il Santo scrive in un’altra lettera: «Credete pure, padre mio, che delle sofferenze me ne fo una felicità. Gesù stesso vuole le mie sofferenze; ne ha bisogno per le anime. Ma mi domando quale sollievo potrò dargli con le mie sofferenze?! Quale destino! Oh il dolcissimo Gesù a quanta altezza ha sollevato l’anima mia! Mi rallegro nel dover manifestare tutti i favori affatto gratuiti che questo Gesù ha fatto all’anima mia. Solo mi dà da pensare che un Dio si abbassa a mendicare pene da una sì vile creatura» (Ep. I, p. 307). In particolare in questo passaggio si può notare lo stupore di Padre Pio nel capire che le sue sofferenze servono per il bene delle anime e la meraviglia e la gratitudine che ha nella consapevolezza di essere stato elevato a sì eccelsa missione, con la quale dà «sollievo» al Signore.
In un’altra missiva il Santo colloca la sofferenza «nell’economia della croce» tanto da farla emergere come un’unica realtà, e spiega la fonte da cui attinge la forza nel soffrire: «Io non bramo punto di essere alleggerita la croce, poiché soffrire con Gesù mi è caro; nel contemplare la croce sulle spalle di Gesù mi sento sempre più fortificato ed esulto di santa gioia. Sento però nel mio cuore il grave bisogno di gridare sempre più a Gesù col dottore della grazia: “Da quod iubes, et iube quod vis” [Dammi ciò che comandi e comanda ciò che vuoi]. [...]. Egli si sceglie delle anime e tra queste, contro ogni mio demerito, ha scelto anche la mia per essere aiutato nel grande negozio dell’umana salvezza. E quanto più queste anime soffrono senza verun conforto tanto più si alleggeriscono i dolori del buon Gesù. Ecco tutta la ragione perché desidero soffrire sempre più e soffrire senza conforto; e di ciò ne faccio tutta la mia gioia. Purtroppo ho bisogno del coraggio, ma Gesù nulla negherà. [...]. Non dimenticate che sono egoista in fatto di sofferenze, voglio soffrir solo e che, mentre sono impaziente di andarmene con Gesù, mi rimprovererei se cercassi anche per un’ora sola di essere lasciato senza croce o, peggio ancora, se altri entrassero in mezzo a rapirmela» (Ep. I, pp. 303-304). Padre Pio delinea in questo stralcio, il «concetto teologico del “soffrire con Gesù”, vale a dire del carattere cristologico e cristiforme della sofferenza che lo sta riguardando, ove Cristo diventa modello e guida del soffrire» (1). Il Santo, pertanto, sembra incominciare a prendere consapevolezza «di uno specifico modo di seguire il Maestro, cioè sulla via della sofferenza, da lui stesso definita croce» (2). Nel contemplare il Cristo crocifisso si sente fortificato nelle sue sofferenze, ma nello stesso tempo sente il «grave bisogno di gridare», di chiedere al Signore di compiere il lui quanto gli domanda. È importante indicare che qui Padre Pio mostra chiaramente di aver capito la sua vocazione a corredimere. Subito dopo, infatti, scrive che il Signore ha scelto la sua anima «per essere aiutato nel grande negozio dell’umana salvezza». San Pio, dunque, è stato chiamato «in questo progetto» e «alla sua luce devono essere lette le sofferenze e gli eventi della [sua] vita» (3). La sofferenza delle anime coinvolte attivamente nell’economia salvifica di Dio è, come specifica, poi, il Santo, quella «senza verun conforto» che si può affrontare con coraggio contemplando i patimenti di Cristo e che è tale proprio perché associa queste anime al Cristo sofferente (4). Tale sofferenza è “cara” a Padre Pio solo perché egli è consapevole di soffrire con Gesù alleviandogli i dolori.
La rappresentazione del Santo come “Cireneo” che aiuta Cristo a trasportare il pesante legno della croce verso il luogo del patibolo, nella monumentale Via Crucis eretta a San Giovanni Rotondo dallo scultore Francesco Messina, pertanto, ben riproduce, in modo plastico, come Padre Pio vivesse il suo soffrire.
L’argomento della “pura sofferenza”, ovvero il soffrire «senza verun conforto», viene presentato anche in altre lettere con accenti ancora più vivi ed associato all’offerta vittimale del Santo: «Non vi dissi che Gesù vuole che io soffra senza alcun conforto? Non mi ha chiesto egli, forse, ed eletto per una delle sue vittime? Ed il dolcissimo Gesù mi ha fatto comprendere purtroppo tutto il significato di vittima. Bisogna, babbo caro, giungere al consummatum est ed all’in manus tuas» (Ep. I, p. 311). Come pure: «Gesù, la sua diletta Madre, l’Angiolino con gli altri mi vanno incoraggiando, non tralasciando di ripetermi che la vittima per dirsi tale bisogna che perda tutto il suo sangue» (Ep. I, pp. 314-315).
Per una tale immolazione era prima necessaria, però, la purificazione, che si sarebbe attuata anch’essa nella sofferenza e il Signore, per incoraggiarlo e prepararlo, non solo lo assicura del suo aiuto, ma gli svela anche in che modo avrebbe dovuto soffrire: «Non temere, io ti farò soffrire, ma te ne darò anche la forza [...]. Desidero che l’anima tua con quotidiano ed occulto martirio sia purificata e provata; non ti spaventare s’io permetto al demonio di tormentarti, al mondo di disgustarti, alle persone più care di affliggerti, perché niente prevarrà contro coloro che gemono sotto la croce per amore di Dio e che io mi sono adoperato per proteggerli» (Ep. I, p. 339).
In questo passo è molto chiaro che la sofferenza, sebbene sia determinata da cause seconde: il demonio, il mondo, le persone più care, è permessa da Dio per i suoi alti fini e se si soffre per amore di Dio, tale sofferenza non potrà sopraffarci.
La sofferenza, però, è anche la scuola dell’amore. Gesù dice, infatti, a Padre Pio: «Quante volte [...] m’avresti abbandonato, figlio mio, se non ti avessi crocifisso. Sotto la croce s’impara ad amare ed io non la do a tutti, ma solo alle anime che mi sono più care» (ibidem). Come anche: «Figlio mio, l’amore si conosce nel dolore, lo sentirai acuto nello spirito, e più acuto ancora lo sentirai nel corpo» (Ep. I, p. 328) (5).
L’angelo custode, poi, gli dà conferma che il Signore dona la sofferenza alle anime che gli sono più care: «Ringrazia Gesù che ti tratta da eletto a seguire lui da vicino per l’erta del Calvario; io vedo, anima affidata alla mia cura da Gesù, con gioia e commozione dell’interno questa condotta di Gesù verso di te. [...]. Gesù permette questi assalti al demonio perché la sua pietà ti rende a sé caro e vuole che tu lo rassomigli nelle angosce del deserto, dell’orto e della croce» (Ep. I, pp. 330-331). Il cristiano, dunque, deve vedere nella sofferenza un segno di un amore particolare del Signore, che la permette affinché l’uomo sostenuto dalla grazia possa essere più simile a Cristo che su questa terra, sebbene innocente, accettò la sofferenza per amore di Dio e degli uomini.
Da questi stralci delle lettere inviate da Padre Pio ai suoi direttori spirituali, ben si comprende, dunque, che il Santo vede e vive la sua sofferenza nella luce della Croce di Cristo. La sofferenza che è entrata nel mondo a causa del peccato originale, e che il Signore permette, diventa se vissuta nella sapienza della Croce di Cristo, manifestazione dell’amore più alto, imitazione e unione a Cristo, via di salvezza e santificazione per sé e per gli altri. Chi non prende la propria croce, ovvero tutto ciò che significa sofferenza, che è “propria” perché è condizione dell’uomo dopo il peccato, e non segue il Signore, non potrà essere suo discepolo (cf. Mt 10,38), non potrà cioè neppure definirsi cristiano. Ciò che contraddistingue, dunque, i cristiani non è il soffrire meno o più degli altri, ma il soffrire in un modo nuovo, con Cristo e in Cristo, per aver poi parte anche alla sua gloria (cf. Rm 8,17).
CONTINUA
NOTE
1) L. Lavecchia, L’itinerario di fede di Padre Pio da Pietrelcina nell’Epistolario, Edizioni “Padre Pio da Pietrelcina”, San Giovanni Rotondo 2004, p. 123.
2) Ibidem.
3) Ivi, p. 22.
4) Cf. ibidem.
5) Questa frase, come scrive Padre Pio, il Signore gliela fece sentire al cuore, dopo che egli gli chiese con più confidenza: «Oh Gesù, potessi amarti, potessi patire quanto vorrei e farti contento e riparare in un certo modo alle ingratitudini degli uomini verso di te» (Ep. I, p. 328). Lo stesso insegnamento il Signore glielo diede mediante una visione avuta dopo la celebrazione della Santa Messa. A tal vista Padre Pio esclamò: «Me misero! Tanti anni sono stato alla scuola del dolore, senza avere imparato nulla» (Ep. I, p. 389).
Seconda Parte
Nel continuare l’esame delle lettere inviate ai direttori spirituali, nelle quali Padre Pio parla della sofferenza, riportiamo uno stralcio della missiva del 1° febbraio 1913, dove il Santo precisa a Padre Agostino, in una delle più belle pagine dell’Epistolario, l’insegnamento di Gesù sul significato e il rapporto tra le consolazioni divine e le sofferenze, nella dinamica della vita spirituale: «Gesù mi dice che nell’amore è lui che diletta me; nei dolori invece sono io che diletto lui. Ora desiderare la salute sarebbe andare in cerca di gioie per me e non cercare di sollevare Gesù. Sì, io amo la croce, la croce sola; l’amo perché la vedo sempre alle spalle di Gesù. Ormai Gesù vede benissimo che tutta la mia vita, tutto il mio cuore è votato tutto a lui e alle sue pene. Deh! Padre mio, compatitemi se tengo questo linguaggio; Gesù solo può comprendere che pena sia per me, allorché mi si prepara davanti la scena dolorosa del Calvario. È parimenti incomprensibile che sollievo si dà a Gesù non solo col compatirlo nei suoi dolori, ma quando trova un’anima che per amor suo gli chiede non consolazioni, ma sibbene di essere fatta partecipe dei suoi medesimi dolori. Gesù quando vuole darmi a conoscere che mi ama, mi dà a gustare della sua Passione le sue piaghe, le spine, le angosce... Quando vuol farmi godere, mi riempie il cuore di quello spirito che è tutto fuoco, mi parla delle sue delizie; ma quando vuole essere dilettato lui, mi parla dei suoi dolori, m’invita con voce insieme di preghiera e di comando, ad apporre il mio corpo per alleggerirgli le pene. [...]. Non voglio altri che Gesù solo, non desidero altro (ché è lo stesso desiderio di Gesù) che le di lui pene. Lasciatemelo dire, ché nessuno ci sente, sono disposto anche a restare privo per sempre delle dolcezze che Gesù mi fa sentire, sono pronto a soffrire che Gesù mi nasconda i suoi begli occhi, purché non mi nasconda il suo amore, ché ne morrei. Ma essere privato di soffrire non mi sento, mi manca la forza» (Ep. I, p. 335).
Svelando, infine, il misterioso segreto del suo soffrire, un poco oltre, scrive nella stessa lettera: «Gesù, uomo dei dolori, vorrebbe che tutti i cristiani l’imitassero. Ora Gesù questo calice l’offrì ancora a me; io l’accettai, ed ecco perché non me ne risparmia. Il mio povero patire vale a nulla, ma pure Gesù se ne compiace, perché in terra l’amò tanto. Quindi in certi giorni speciali, in cui maggiormente soffrì su questa terra, mi fa sentire ancora più forte il patire [...]. Sono stato fatto degno di patire con Gesù e come Gesù» (Ep. I, p. 336).
In riferimento al primo stralcio della lettera del 1° febbraio su riportato è stato notato che l’espressione: «“[La croce] la vedo sempre alle spalle di Gesù”, lascia intravedere un movimento, dietro cui porsi, e per cui vivere la relazione positiva con la croce, tanto da poter dire “sì, io amo la croce”» (1). La tematica del soffrire come sequela Christi attua inoltre anche «il processo di conformazione al Cristo [...] e il processo della consociazione ai patimenti del Cristo espressamente richiamato dal nostro autore con la frase “essere fatto partecipe dei suoi medesimi dolori”» (2). Qui, dunque, è chiaro che la sequela Christi non è solo un camminare dietro Cristo e con Lui, quanto il «seguirlo nel suo stesso destino ed entrare nella sua sofferenza mediante la partecipazione da lui voluta e permessa» (3). Per questo, poi, Padre Pio scrive poco oltre: «Sono stato fatto degno di patire con Gesù e come Gesù». Tale concetto si esprime anche come imitazione di Cristo che, seppure in diversa misura, deve essere vissuta da tutti i cristiani nell’accettazione delle vicissitudini temporali e spirituali della vita.
Padre Pio svela inoltre che il suo desiderio e amore alla croce è dettato dall’amore per il Signore che si esprime nella compassione delle sue pene. L’invito che il Santo riceve dal Signore all’associazione mistica alle sue sofferenze è forte – «con voce di preghiera e di comando» –. E Padre Pio, non desiderando altro che Gesù, non può che desiderare anche le sue pene, che, come specifica, «è lo stesso desiderio di Gesù». Il vero amore, in effetti, non fa ripiegare su se stessi, ma porta a compiacere l’amato. Padre Pio, pertanto, desidera la croce per “dilettare” e consolare il Signore.
In base alle sue esperienze, il Santo svela pure come riuscire a seguire il Maestro divino senza indietreggiare. Se nel periodo nel quale si trovava a Pietrelcina a causa della sua malferma salute, ha potuto scrivere: «Soffro e soffro assai, ma grazie al buon Gesù, sento ancor un altro po’ di forza; e di che cosa non è capace la creatura aiutata da Gesù? [...] nel contemplare la croce sulle spalle di Gesù mi sento sempre più fortificato ed esulto di santa gioia» (Ep. I, p. 303), in seguito, quando è già di nuovo in convento, si esprime con frasi molto più significative: «Conosco per propria esperienza che il vero rimedio per non cadere è l’appoggiarsi alla croce di Gesù, colla confidenza in lui solo, che per la nostra salvezza volle esservi appeso» (Ep. I, p. 463). Come anche: «Oh! quanto è insopportabile, padre mio, il dolore sofferto lontano dalla croce; ma come addiviene soave e soffribile se si soffre non lontano dalla croce di Gesù» (Ep. I, p. 579).
Quel contemplare la croce di Gesù, dunque, non dà forza solo perché, spinti dall’amore verso il divin Redentore, lo si vuole imitare, ma è quella stessa potenza salvifica della croce di Cristo che coinvolge il discepolo che segue il divin Maestro e lo rende atto a portare la propria croce per dare compimento a ciò che manca nella sua carne «dei patimenti di Cristo [...] a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24). Per questo il Santo scrive che è «stato fatto degno di patire con Gesù e come Gesù» (Ep. I, p. 336), come anche che si appoggia alla «croce di Gesù, colla confidenza in lui solo» (Ep. I, p. 463).
Eppure, nonostante Padre Pio comprenda tutto questo, sente ancora, anche se non vorrebbe, la resistenza della natura e domanda a Padre Agostino se ciò sia segno di poco amore verso il Signore. Nel 1915, infatti, gli scrive: «So benissimo che la croce è il pegno dell’amore, la croce è caparra di perdono, e l’amore che non è alimentato, nutrito dalla croce, non è vero amore; esso si riduce a fuoco di paglia. Eppure con tale conoscenza questo falso discepolo del Nazareno sente sul cuore pesare enormemente la croce, e molte volte (non vi scandalizzate e non vi inorridite, o padre, di fronte a ciò che sto per dire) va in cerca del pietoso cireneo (4) che lo sollevi e lo conforti [...]. Eppure, padre mio, ho grandissimo desiderio di soffrire per amore di Gesù. E come va poi che alla prova, contro ogni mio volere, si cerca qualche sollievo? Quanta forza e violenza debbo farmi in queste prove per ridurre al silenzio la natura, diciamola così, che reclama altamente di essere consolata. Questa lotta non vorrei sentirla, molte volte mi fa piangere come un bambino perché sembrami che sia mancanza di amore e di corrispondenza a Dio. Che ne dite al riguardo?» (Ep. I, pp. 571-572).
Padre Agostino lo rassicura e gli addita l’umanità di Gesù: «La natura grida conforto e perciò ti sembra che il tuo amore verso Dio non sia sincero e perfetto. È un’illusione, figliuol mio! A me sembra tutto il contrario ed è così. Infatti anche l’umanità di Gesù nella sua agonia volontaria pregò che il calice si allontanasse ed il celeste Padre mandò a lui l’angelo confortatore. Alle volte lo spirito è pronto e la carne inferma: ma Dio vuole lo spirito, non la carne. Lascia dunque che la natura si risenta; la tua volontà, col divino aiuto, sarà sempre superiore ed il divino amore non verrà mai meno nel tuo spirito» (Ep. I, p. 573).
Padre Agostino gli offre una regola generale: «Tieni sempre come regola generale e sicura che Dio, mentre ci prova con le sue croci e sofferenze, lascia sempre nel nostro cuore uno spiraglio di luce, per cui si conserva sempre una grande fiducia in lui e si vede la sua immensa bontà» (ibidem).
Questo spiraglio di luce viene offerto da Colui che disse: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12). E nel fissare lo sguardo su di Lui che volle assumere la natura umana, non possono che aprirsi le ali della fiducia che rendono leggera ogni pena spirituale nella consapevolezza della bontà, misericordia e accondiscendenza di Dio, il quale per amore volle condividere la debolezza umana e sperimentare la naturale ripugnanza verso la sofferenza.
Da tutti i passi dell’Epistolario esaminati in questi due articoli, si può affermare, dunque, che Padre Pio è alla scuola dell’amore e del dolore. Il Signore gli svela i grandi tesori nascosti nella sofferenza unita alla sua, ma nello stesso tempo lo conserva in umiltà sia per la consapevolezza pratica che il saper soffrire è grazia che si riceve dalla potenza salvifica della croce di Cristo, sia per la luce proveniente dall’umanità di Cristo che infiamma sempre più d’amore l’anima di colui che contempla l’infinita degnazione del Verbo che volle sperimentare tutta la debolezza dell’umana natura, eccetto il peccato.
L’Epistolario dimostra, inoltre, che Padre Pio non considera il dolore in se stesso come un valore positivo (5). Egli desidera la sofferenza solo perché gli offre la possibilità di amare Dio e i fratelli, patendo con Gesù e come Gesù.
Da quanto si è indicato si può capire, perciò, perché è stato scritto che Padre Pio ha tracciato «una vera e propria spiritualità della croce, così determinante e significativa da essere peculiare nella sua spiritualità» (6), vivendo e indicando le linee di un’autentica «theologia crucis» (7).
NOTE
1) L. Lavecchia, L’itinerario di fede di Padre Pio da Pietrelcina nell’Epistolario, Edizioni “Padre Pio da Pietrelcina”, San Giovanni Rotondo 2004, p. 127.
2) Ibidem.
3) Ibidem.
4) In questo passo dell’Epistolario Padre Pio va in cerca del “cireneo”, ma egli stesso ha assunto la parte di “cireneo” per Cristo e per gli altri.
5) La degenerazione della concezione cristiana del dolore, per cui questo aspetto della vita umana è considerato come un bene in se stesso, è definita “dolorismo”. Sebbene Cristo abbia dato alla sofferenza accettata e offerta un valore salvifico, pur tuttavia il cristiano è chiamato ad adoperarsi per eliminarla. Ciò è quanto la Chiesa ha sempre cercato di fare nel corso dei secoli, sull’esempio del suo Maestro. Sull’argomento: cf. S. Leone, Nati per soffrire? Per un’etica del dolore, Città Nuova, Roma 2007.
6) L. Lavecchia, L’itinerario di fede di Padre Pio da Pietrelcina nell’Epistolario, p. 130.
7) Ibidem. Anche nelle lettere inviate alle sue figlie spirituali si nota che tra «le tematiche specifiche inerenti l’imitazione cristica [...] spicca la spiritualità della vittimazione e della sofferenza vicaria, viste come inserimento nell’economia corredentiva» (ivi, p. 229).