MODELLI DI VITA
Nel Crocifisso vive il senso di ogni dolore. Beato Carlo Gnocchi
dal Numero 7 del 18 febbraio 2018
di Paolo Risso

Negli attuali e problematici dibattiti legati al “fine vita” rimane sullo sfondo un grande assente: il dolore e il suo significato. Ma è proprio nella risposta alla sofferenza della condizione umana che la tradizione secolare della Chiesa ha generato i frutti di santità più luminosi e attraenti.

Era nato il 25 ottobre 1902 a San Colombano al Lambro (Milano) da umile famiglia. Presto il dolore lo visitò con la morte del padre in giovane età, del fratello Mario, ancora ragazzo, e dell’altro fratello, Andrea, a soli 20 anni.

Un grande educatore

Con notevoli sacrifici, la mamma sostenne Carlo nella sua ascesa al sacerdozio, fino alla sua Ordinazione il 5 giugno 1925. A soli 23 anni, celebrata la Prima Messa, Don Carlo Gnocchi è una figura esile, ma entro il suo velo di carne vibra un’anima ardente, un vero innamorato di Gesù e, per suo amore, traboccante di carità per i ragazzi e per i poveri. Ha la passione che tutti vivano di Gesù, fino alla sua pienezza, nella sua vita divina della grazia santificante.
Per i primi anni, svolge il suo ministero a Cernusco sul Naviglio, poi a San Pietro in Sala, a Milano, seguendo soprattutto i ragazzi nella loro crescita. È confessore, “padre spirituale” appassionato della salvezza delle anime, predicatore e conferenziere, già scrittore, per arrivare a molti, il più possibile, con la luce del Vangelo.
Nel 1935, è chiamato a 33 anni a diventare direttore spirituale dell’Istituto Gonzaga di Milano, per la formazione della gioventù. Studia, legge, prega molto, affidandosi soprattutto alla Madonna, perché sa che soltanto un vero alter Christus potrà far crescere Gesù nelle anime. Affida ogni ragazzo alla Madonna, affinché sia Lei a modellarlo a immagine di Gesù. I suoi ragazzi sono affascinati da Lui, dalla sua opera.
Li guida e li dirige in confessionale, nei colloqui con i singoli, in incontri e dibattiti, nelle numerose lettere che scrive, mediante gli articoli e i libri che pubblica e diffonde. È trasparenza di Dio.

Nello strazio della Guerra

Il 10 giugno 1940, l’Italia entra in guerra. Don Carlo vede i suoi giovani partire per diversi fronti d’Europa, dove le follìe dei potenti li scaraventano con mani omicide. Chiede di essere arruolato come cappellano militare per essere vicino ai suoi ragazzi.
Con il suo altarino da campo, su cui offre ogni giorno il Sacrificio di Gesù nella Santa Messa, con il suo cuore sacerdotale, sarà presente accanto ai suoi alpini in Albania, in Grecia, in Croazia. Un’esperienza lacerante, ma perché tutto quel dolore, perché la morte di tanti innocenti? Solo lui, sacerdote di Cristo, alla luce della fede, sa rispondere, consolare, incoraggiare.
Nel 1942, viene la terribile compagna in Russia: Don Carlo è ancora là con i suoi soldati a condividere tanto strazio, la tragedia immane. A lui, prima di chiudere gli occhi, dilaniati dalle armi, i soldati morenti, affidano gli ultimi ricordi per le loro mamme, le spose, i figli. Quando Don Carlo ritorna in Italia, riprende il cammino per adempiere “le commissioni” lasciategli dai suoi alpini caduti sui fronti di guerra. Si rende conto con i suoi occhi che anche i bambini “hanno fatto” la guerra, soffrendo l’indicibile: feriti, affamati, ammalati, non curati, orfani. Sì, certamente, non l’ha voluto Iddio, sono stati i prepotenti a causare la tragedia, ma perché tanto dolore, perché il dolore degli innocenti?
Don Carlo ha una lunga lista di indirizzi con cui risale le valli del Tagliamento, la Val d’Intelvi, la Valtellina... presso le famiglie dei suoi caduti; incontra e consola le mamme, le spose rimaste vedove, i bambini orfani. Ma che cosa può fare per i piccoli?

Per gli orfani e i mutilatini

Con l’aiuto della Provvidenza di Dio, ad Arosio (Como), presso la Casa dei grandi Invalidi, offre ospitalità a un certo numero di orfani. Presto avrebbe dato vita a una casa tutta per loro. Pubblica un libro: Restaurazione della persona umana (Edizioni La scuola, Brescia), il cui titolo dice tutto. Lui, d’ora in poi, sarebbe vissuto per restaurare nei piccoli, tanto più se sofferenti, la dignità della persona umana «alla statura di Cristo» (cf. Ef 4,13).
Una sera di luglio, una mamma gli porta il suo bambino privo di una gamba. Non sapendo più come provvedere, lo adagia per terra e gli dice: «Don Carlo, lo affido a lei». E se ne va via di corsa. Don Carlo si avvicina al bambino, si inginocchia accanto a lui e lo guarda con sconfinato amore, come quando guarda Gesù sulla croce durante la Santa Messa. I due si guardano e si comprendono. Durante la notte, dopo aver aiutato il bambino ad addormentarsi, tenendogli la mano, scende in cappella e chiede a Gesù-Ostia, l’Amico che non manca mai: «Che faccio? Tu devi aiutarmi. Tu ci devi pensare!».
In quell’istante, si vede circondato da una folla di bambini, senza mani, senza gambe, ciechi, sordi, sfigurati, bisognosi di tutto, soprattutto di amore... e lui avrebbe provveduto come un papà e una mamma insieme. Quanto sangue innocente! In giro per l’Italia, Don Carlo stende la mano. Nel 1948, fonda la “Pro infanzia mutilata”, la Federazione dei piccoli mutilati, per assistere le innocenti vittime della guerra, con una prima modesta sede a Milano, e l’altra a Roma, poi in altre città.
In quei suoi istituti – vere famiglie – i mutilatini non devono essere commiserati, perché «essi sono l’aristocrazia del dolore, sono dei privilegiati: Dio ha scelto loro, come già ha scelto il Figlio suo Gesù, per la redenzione dell’umanità». L’Italia si mobilita per la sua opera. L’11 febbraio 1953, nasce l’opera grandiosa “Pro Juventute”, con 8 efficienti Istituti, tra cui quello di Parma per le cure e la riabilitazione dei mutilati. Don Carlo è segnato dentro da quel mondo di sofferenza: quanto dolore innocente!

Lacrime come perle

Tutta quella sofferenza vissuta senza senso – Don Carlo lo sa – è un tesoro preziosissimo che va perduto. Tocca a lui dare senso e letizia a quell’umano dolore innocente. Per questo insegna ai suoi mutilatini a soffrire e a offrire in unione con Gesù che soffre sulla croce e ripresenta il suo Sacrificio nella Santa Messa, ogni giorno, in espiazione dei peccati del mondo e per la salvezza degli uomini. Un giorno, lo spiega a chiare lettere ai suoi bambini che piangono: «Queste vostre lacrime devono diventare perle, angeli miei!». «Ma com’è possibile?». «Prepareremo una cassettina e in essa lasceremo cadere delle perle vere, preziose. Quando uno di voi deve, per il suo bene, subire nella clinica di Parma un’operazione chirurgica, lasciarsi ingessare un arto, farselo tirare in trazione, soffre. Ebbene questa sofferenza fisica non deve andare perduta: bisogna offrirla al Signore, senza piangere, senza gridare. Quando uno di voi sarà riuscito con coraggio, pensando a Gesù in croce, che ha sofferto più di qualsiasi altro sulla terra, a sopportare senza lamenti la sua operazione, avrà diritto a mettere nella cassettina una perla vera».
«E poi, e poi?», chiedono quegli innocenti in croce. «Tra un anno, conteremo le perle, le porteremo a un orefice che le userà per formare il nostro distintivo, poi lo doneremo al Papa come segno della nostra sofferenza accolta, con amore, con Gesù sulla croce».
I piccoli gli promettono che l’avrebbero fatto. Un giorno d’estate del 1950, tutti i mutilatini di Don Gnocchi si recano in udienza dal Santo Padre Pio XII. Il dono più bello che gli portano è la spilla preziosa che rappresenta il monogramma di Cristo, il “Chi-Ro”, in cui la “X” è fatta da due stampelline incrociate e allacciate da una corona nobiliare, a indicare che «la sofferenza innestata su Cristo forma una cosa sola con Lui, il Cristo mistico, e soltanto in questo modo può ricevere la corona del merito e del premio».
Il simbolo era stato fatto interamente con le perle della sofferenza, del coraggio, e dell’offerta dimostrati dai bambini. Don Carlo spiega al santo Pontefice Pio XII il significato del gioiello, come è nato, e conclude: «I miei piccoli hanno offerto il loro dolore per Lei, Santo Padre, per la Chiesa, per la salvezza di tutte le anime». Negli occhi di Pio XII brillano delle grosse lacrime di tenerezza e di riconoscenza, che tutti vedono. Nella sala delle udienze si sente singhiozzare: la sala ora è come un altare. Anche Pio XII, percorso da un fremito, piange.

Il Crocifisso è il significato

Quando tornano nei loro istituti, i piccoli si sentono davvero dei privilegiati. Dio li ha scelti perché portino nelle loro carni la sofferenza redentrice: come Gesù ha tanto sofferto sulla croce fino a morire affinché gli uomini siano liberi dal peccato e ricchi della Vita divina della grazia santificante, così anch’essi stanno soffrendo affinché la Redenzione di Gesù raggiunga ogni uomo. È il grande significato del dolore innocente: occorre spiegarlo a tutti.
Don Carlo matura l’idea di una Federazione europea dei giovani mutilati di guerra. Il 27 agosto 1953, Pio XII riceve in udienza 120 mutilatini di Europa, guidati da Don Carlo. Un ragazzo francese offre al Papa una targa con lo stemma della Pro Juventute, il monogramma di Cristo, con inciso il motto: “Cum reciditur, coronatur” (Quando si è immolati, si è incoronati). E gli dice: «Questo significa che noi vogliamo unire i nostri sacrifici a quello di Gesù sulla croce, affinché essi possano servire a un mondo migliore e ricevere così la corona che il Vangelo ha promesso a coloro che soffrono per Gesù».
Pio XII gli risponde: «La vostra sofferenza unita a quella di Gesù, vi condurrà tutti al più grande amore per Lui e a una tenera carità per i vostri fratelli».
Ora Don Carlo pensa alle cure e alla riabilitazione dei ragazzi colpiti dalla poliomielite. Il 12 settembre 1955 a Milano viene posta la prima pietra del centro-pilota per i fanciulli poliomielitici. Ma ormai Don Carlo è stremato dalla fatica e dal cancro che lo rode allo stomaco. Viene a fargli visita mons. Montini, Arcivescovo di Milano, il suo Arcivescovo, che a vederlo piange. Don Carlo, morente, commenta: «Piange perché sono uno che muore».
Il 28 febbraio 1956, va incontro a Dio. Ora per le sue virtù cristiane e sacerdotali eroiche, Don Carlo è stato beatificato dalla Chiesa, e la sua memoria è al 25 ottobre.
Proprio il giorno del funerale esce un piccolo libro che lui ha scritto con le sue ultime forze, come il suo testamento, che condensa tutta la sua vita e il suo sacerdozio, la sua opera in mezzo alla gioventù nelle parrocchie, all’Istituto Gonzaga, di cappellano militare, soprattutto in mezzo al dolore dei piccoli e dei più giovani, per dare a ogni lacrima, a ogni goccia di sangue sparsa, il significato e il valore più alto. Il libro si intitola Pedagogia del dolore innocente (Edizioni La scuola, Brescia 1956), ed è la risposta, in Gesù Crocifisso, al grande perché del dolore, così come il beato Don Carlo ha fatto e noi abbiamo narrato. Risposta che spazza via in un soffio il cosiddetto “testamento biologico”. Ogni cristiano, prima di pronunciarsi sul dolore della vita e della morte, dovrebbe riflettere sull’infinito valore della sofferenza unita alla Croce di Cristo e fidarsi di Lui che nelle ore più dolorose gli sarà accanto come medico, medicina e Salvatore. La risposta non è mai la morte, ma la vita in Cristo.

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