Carlo e Zita salirono al trono austro-ungarico il 21 novembre 1916. Assunsero l’esercizio imperiale con la responsabilità di chi sa che il potere viene dato da Dio per il bene comune, ed anche dopo la precoce morte di lui, Zita, ultima imperatrice d’Asburgo, seppe mantenersi fedele alla sua missione.
Quando il 21 ottobre 1911, l’arciduca Carlo d’Asburgo e Zita di Borbone-Parma si unirono in matrimonio, si promisero l’un l’altro: «Da oggi, dobbiamo aiutarci tra noi due, ad andare in Paradiso». Lui aveva 24 anni, lei neppure venti. Lui era un santo (Giovanni Paolo II lo ha beatificato il 3 ottobre 2005), lei era la degna sposa di un santo.
Dopo le nozze, si recarono al Santuario di Mariazell ad affidare la loro vita alla Madonna, ché le tempeste – nella loro casa e in Europa – sarebbero presto venute. Sono commoventi le foto di Carlo e Zita, quel giorno, in ginocchio, che assistono alla Messa, si accostano alla Santa Comunione, e indugiano, la corona tra le mani, a sgranare il Rosario.
Tutto per Gesù
Zita è figlia dell’ultimo duca di Parma: quinta di 12 figli, era nata il 9 maggio 1892 a Pianore (Italia). Avrà un eccellente ricordo della sua giovinezza: «Ho avuto un’infanzia estremamente felice... Il doppio trasferimento dall’Austria a Pianore, e il ritorno, in primavera a Schwarzau, dove trascorrevamo l’estate, era per noi bambini l’evento principale. Insieme allo studio, dovevamo cucire, rammendare... e non solo la nostra biancheria ma anche quella di persone anziane e malate, di infermi senza famiglia».
E ancora: «Mia madre era severa, ma l’adoravamo. Papà era l’allegria e bontà personificate. Tra noi bambini, ridevamo e chiacchieravamo a volontà, ma con gli invitati occorreva rispettare l’ordine gerarchico e fare molti inchini. Abbiamo imparato presto a indovinare l’importanza degli ospiti in base al volume di polvere sollevata dal tiro di cavalli o dal corteo che li accompagnava. Naturalmente, preferivamo quelli che sollevavano meno polvere!».
Dai genitori profondamente cattolici, Roberto di Parma e Maria di Braganza, Zita viene educata all’amore a Gesù e alla Chiesa, con austeri principi di fedeltà ai Comandamenti di Dio.
Gesù, la Madonna, la Santa Messa quotidiana (secondo le direttive del Santo Papa regnante Pio X), la sostiene accanto al Marito illustre, nell’esercizio imperiale e nella vita coniugale, che presto la vede madre di una nidiata di bambini: il primo dei quali, classe 1912, è Otto d’Asburgo.
Il 28 maggio 1914, l’annuncio dell’assassinio dell’arciduca d’Austria, Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria, a Sarajevo, quasi la tramortisce. Così Carlo, il suo sposo, diventa lui l’erede al trono d’Austria, nel momento più tragico dell’impero, secondo la profezia di Pio X, che le aveva detto: «Zita, il tuo sposo sarà imperatore!». Scoppia la prima Guerra mondiale e Carlo è tra gli alti ufficiali dell’esercito. Zita si dedica alla popolazione, ai feriti, alle famiglie più in difficoltà, come una sorella, una madre. Ed è così giovane!
Per la sua fede ardente e la sua carità instancabile, sarà qualificata come l’“angelo custode di tutti coloro che soffrono”, dal Cardinale Arcivescovo di Vienna. Il 21 novembre 1916, in pieno conflitto, muore Francesco Giuseppe, il vecchio 87enne imperatore d’Austria. Carlo, 29 anni, è il nuovo imperatore in mezzo all’immane tragedia. Un servizio senza fine alle nazioni dell’impero, al servizio di Dio, unico Signore che non tramonta mai.
L’incoronazione come sovrani di Austria e Ungheria, il 23 dicembre 1916, fa pensare alla Trasfigurazione di Gesù sul Tabor, prima della sua Passione, che presto verrà per Carlo e Zita. I quali non dimenticano neppure quel giorno le sofferenze del popolo provato dalla Guerra: le diverse portate del banchetto – incredibile ma vero – vengono solo presentate ai commensali prima di essere inviate ai feriti dell’ospedale di guerra di Budapest. Neppure si parla del ballo tradizionale.
«Animata da una fede profonda – scrive Jean Sevilla nella biografia Zita, imperatrice coraggio (Perrin, Parigi 1997) – la coppia imperiale considera i propri doveri come una chiamata di Dio».
Carlo, anche per mezzo del cognato Sisto, fratello di Zita, si impegna al massimo per promuovere al più presto la pace, salvare la monarchia asburgica, tenere unito l’impero, rispondendo, forse l’unico sovrano a farlo in Europa, al richiamo struggente di papa Benedetto XV. Inascoltato perché forze occulte tramano contro di lui. Nel novembre 1918, è lo sfacelo dell’impero d’Asburgo – l’ultimo impero cattolico esistente, l’erede del Sacro Romano Impero –: Carlo potrebbe assicurarsi il potere se accettasse le proposte della massoneria e del comunismo.
Ma nel nome di Dio, della Verità di Gesù Cristo, dell’impegno di “ricapitolare in Cristo tutte le cose” (cf. san Paolo, Ef 1,10), che deve essere proprio non solo del Papa, ma di ogni politico cattolico, Carlo e Zita non accettano l’azione dei senza-Dio... e si trovano privi del trono ed esiliati a Madera, un’isola in mezzo all’Atlantico, in pratica a morirvi.
In mezzo a queste tribolazioni, con il marito sempre più fragile di salute, Zita rivela il suo immenso coraggio: sostiene Carlo morente che va incontro a Gesù, il 1° aprile 1922, a soli 35 anni.
Ciò che può l’amore
Vedova a 30 anni, con 8 bambini, Zita, sola, povera, esule, ha una fede granitica nella Provvidenza di Dio. Sacrifici a non finire, ma la sua preghiera, soprattutto con la Santa Messa e il Rosario, è continua. Nessuno e nulla la piega né la fa deragliare dalla Fede cattolica.
Il 13 maggio 1922, 5° anniversario della prima apparizione della Madonna a Fatima, Zita consacra la sua famiglia al Cuore Immacolato di Maria, prima di lasciare Madera per la Spagna. Ormai è reggente per il figlio Otto: «Devo educare i miei figli nello spirito di Gesù Cristo, che è stato lo spirito dell’imperatore mio marito». Nell’agosto del 1922 si stabilisce con i suoi figli a Lekeito, nei Paesi Baschi, vicino a Lourdes, dove va spesso in pellegrinaggio ai piedi dell’Immacolata. Nel ’29, fissa la sua dimora in Belgio, presso Lovanio dove conduce una vita di campagna, coltiva le rose, e si occupa dei stessa delle sue 25 pecore. Per i suoi figli sceglie scuole cattoliche di lingua francese. Nel 1935, Otto si laurea in scienze politiche a Lovanio e nel novembre 1930, ormai maggiorenne, diventa capo della casa d’Asburgo.
Zita, sa di essere ancora imperatrice, perché soltanto una congiura illegittima l’ha allontanata dalla corona d’Austria e di Ungheria. Anche sotto la dittatura di Hitler, che fa invadere l’Austria con pretese inaudite, e durante la seconda Guerra mondiale, Zita continua a occuparsi dell’Austria e del suo popolo. Il 22 aprile 1940, Otto d’Asburgo viene condannato a morte dai nazisti per alto tradimento per la sua ostilità al Reich. Il 9 maggio, i tedeschi invadono il Belgio e un mattino all’alba, i bombardieri della Luftwaffe sorvolano la residenza degli Asburgo, i quali partono immediatamente per la Francia. Due ore dopo la loro casa è in fiamme. Essi sono tutti salvi.
Per Zita e i suoi comincia un altro esilio. Il mondo (il “mondo” di cui parla Gesù nel Vangelo di Giovanni, il mondo del peccato, del diavolo, delle forze occulte) davvero ha congiurato contro di loro con un’azione che dura un secolo. Esule in Francia, in Spagna, negli Stati Uniti, infine in Canada, Zita ha un ruolo di primo piano nel tenere viva la sua nobile Famiglia e le speranze. A Quebec, incoraggiati da Zita, i 4 figli più giovani terminano gli studi presso l’università cattolica. I 4 figli più grandi si guadagnano da vivere e difendono gli interessi dei loro popoli negli Stati Uniti e in Inghilterra.
L’Imperatrice rappresenta Otto presso il presidente USA Roosvelt, che l’11 settembre 1943, la riceve presso Hyde Park: Zita difende la causa dell’Austria e un progetto di federazione dei popoli danubiani, che avrebbe salvato dal comunismo le nazioni dell’est europeo! Raccoglie fondi e sostiene i suoi concittadini austriaci con ogni sorta di aiuto. Nel Natale del 1948, trasferitasi presso New York e appreso che l’Austria è esclusa del piano Marshall, l’Imperatrice convince 50 mogli di senatori a sollecitare i loro mariti perché vengano riconosciuti i diritti dell’Austria.
È davvero una piccola grande donna, eccezionale, che con nulla tra le mani, opera e testimonia ciò che può fare la Verità e la Carità di Cristo! Ciò che può Dio-Amore!
Con l’arma del Rosario
I matrimoni di tre figli riportano la famiglia in Europa. Nel 1953, Zita decide di stabilirsi nel Castello di Berg, proprietà dei granduchi di Lussemburgo. Dal 1926, oblata benedettina di Solesmes, ora ella sente una rinnovata attrattiva per il chiostro, ma l’abate di Solesmes la dissuade dal lasciare il mondo per la sua posizione sociale che le consente di operare per un’Europa la cui identità non si comprende senza le sue profonde radici cristiane. Sarà “monaca nel mondo”, con diversi soggiorni tra le Benedettine, concessi a lei da un indulto del Santo Padre Pio XII.
Sua nipote Caterina, vedendola un giorno, dietro la grata, esclama: «Nonna, sei finita in prigione?!». Le risponde l’Imperatrice: «Figlia mia, sono io che sono in prigione o non forse tu?». In chiostro o nella sua casa, Zita è in piedi alle 5 del mattino e inizia la giornata con diverse Messe (perché, dice, «la Messa è il Sacrificio di Gesù, la Messa è tutto»), medita sulla Passione di Gesù, con le orazioni di santa Brigida, e prega con un numero di Rosari alla Madonna.
Finalmente, nel 1982, a 90 anni, le è concesso di rientrare in Austria: è un trionfo che l’accoglie dopo 63 anni di esilio. Il 13 novembre più di 20mila persone partecipano alla Messa celebrata in sua presenza nella cattedrale di Santo Stefano a Vienna. Ella, per prima cosa, è andata a Mariazell con la corona del Rosario tra le mani a rinnovare la consacrazione sua, dei suoi figli, della sua nazione, dell’Europa, alla Madonna. Per la sua parte, sulle orme di suo marito Carlo, del quale vede progredire la causa di beatificazione, ha cercato di educare dei militi di Cristo.
Muore in Svizzera a 97 anni, il 14 marzo 1989, dopo aver assistito in un secolo terribile, il XX secolo, alla trasformazione dell’Europa e del mondo ma sempre convinta che tutto dev’essere ristabilito in Cristo, come insegnava il Papa della sua giovinezza, san Pio X, il medesimo che aveva profetizzato un avvenire di lacrime e di gloria a Carlo e a lei. Nel 2009, si è avviata la sua causa di beatificazione, che non mancherà. Una fede e un coraggio incredibile, eccezionale. Quali furono, si chiede Jean Sevilla nel libro citato, le ragioni di tanta fortezza? Risponde: «La sua fede cattolica, una fede totale, incrollabile, il suo amore ardente a Gesù». E noi aggiungiamo: e la sua devozione intensa e formidabile alla Madonna con l’arma mai deposta del suo Rosario.