ATTUALITÀ
Il Ministero della solitudine
dal Numero 5 del 4 febbraio 2018
del Roberto Ciccolella

Allarmato dalle ultime statistiche socio-demografiche, il Governo inglese ha istituito un Ministero per rispondere al problema generalizzato della solitudine. Ma una società senza fondamenta e senza forti valori comuni non potrà che continuare a generare solitudine negli individui, favorendo una disgregazione sociale sempre più preoccupante.

Sola, nel bagno di una camera dell’hotel Hilton a Park Lane, cuore della affollata capitale inglese. Così è morta Dolores O’ Riordan, 46 anni, famosa cantante irlandese, leader dei Cranberries. Una voce bellissima, una infanzia segnata da abusi, il successo mondiale negli anni ’90 e una fortuna di almeno 20 milioni di dollari. Ma in quel momento i tre figli e il marito da cui era separata da poco erano in Canada, dall’altra parte dell’oceano. E lei era terribilmente depressa come hanno raccontato alcuni suoi amici. Non si conoscono ancora le cause materiali del decesso, ma la polizia lo ha trattato come non sospetto. Eppure, al di là di cosa è accaduto quel mattino qualunque di gennaio, la storia di Dolores era già segnata da anni di problemi con alcool e sonniferi, un tentato suicidio e una lotta interiore per la sanità mentale, contro un mondo di fama e paparazzi, che finisce per schiacciare anche una donna forte come lei. E quando anche tuo marito non vive più con te e non ti sorregge nella prova e i tuoi bambini sono a 6mila chilometri di distanza, allora la solitudine ti uccide. La cantante era di Limerick, una delle città più cattoliche d’Irlanda, e sua madre l’aveva chiamata Dolores proprio per devozione alla Vergine Addolorata. E lei, pur nella disordinata vita di una rockstar, non aveva mai rinnegato le sue origini e anzi si era pronunciata decisamente contro l’aborto. Nell’affidarla alla misericordia di Dio, non possiamo non interrogarci sul dramma di un’anima schiacciata dalla divisione familiare e dalla solitudine.
Proprio mentre la notizia è sui giornali di tutto il mondo, anche il primo ministro britannico Theresa May fa i conti con il problema, istituendo una sorta di Ministero per la solitudine. Nei mesi scorsi, infatti, una commissione bipartisan patrocinata anche dalla Croce Rossa ha elaborato una inchiesta socio-demografica da cui emerge un Paese atomizzato, cupo e solitario. I dati, pubblicati a dicembre, sono sconfortanti: più di 9 milioni di cittadini si dichiarano in solitudine e per 3,6 milioni di anziani l’unica compagnia sarebbe la Tv, il 75% dei medici di famiglia afferma di ricevere fino a 5 pazienti al giorno che vanno in studio medico non per cause di salute ma perché si sentono soli. La commissione ha perfino fatto una stima economica, il costo sociale della disgregazione è di 32 milioni di sterline all’anno. Un altro studio dell’istituto statistico inglese ci dice che nel 2017 c’erano 3,9 milioni di persone sotto i 64 anni che vivono da sole e 3,8 milioni di over 65 nella stessa condizione. Così la May ha assegnato una delega specifica al ministro Tracey Crouch per lanciare una strategia di risposta globale al problema. Eppure, basta girare il Regno Unito per vedere, al di là dello sfrenato lusso di Londra, un Paese a pezzi che nessuno sforzo governativo potrà davvero risollevare. Il Regno Unito non è mai riuscito a realizzare una vera integrazione tra le numerose comunità di immigrati, a loro volta spesso in conflitto l’una con l’altra. Gli inglesi hanno perso gran parte degli elementi culturali che li tenevano insieme – rimane solo l’alcool e il calcio – e sostanzialmente non praticano più la religione anglicana, che sembra prossima alla scomparsa, con circa il 15% della popolazione che si identifica nella Chiesa di Inghilterra – prevalentemente anziani. Una società senza fondamenta e senza comunità forti non potrà che generare solitudine e depressione negli individui e qualsiasi sforzo che non parta dalla ri-evangelizzazione, cioè da una base ideale forte, è destinato ad avere scarsi risultati.
Anche in Italia non siamo messi bene. Secondo l’ultimo annuario ISTAT, appena uscito, le cosiddette “famiglie mono-personali” sono quasi un terzo del totale – passate dal 20,5% del 1995 al 31,6% attuale – mentre quelle numerose calano da 8,1% a 5,4%. Così il numero medio di persone che compongono un nucleo è sceso da 2,7 a 2,4. Vediamo il fronte dei divorzi: grazie all’introduzione del cosiddetto divorzio breve si è avuto un salto dai 52mila casi agli 82mila dell’ultima rilevazione annuale. Queste poche cifre parlano di un Paese in via di disgregazione con conseguenze per l’economia e la qualità della vita. E si accompagnano anche in Italia all’abbandono della pratica religiosa, quella regolare ormai sotto il 29%.
La risposta al fenomeno della commissione britannica è di aumentare servizi sociali e momenti di aggregazione. È un primo passo, anche considerando l’impegno di associazioni e volontari che gli inglesi vogliono mettere in campo, evitando un approccio puramente statalista. Ma ci si chiede: se finora abbiamo distrutto l’istituto familiare e la comune identità religiosa, quanto saranno utili delle toppe che intervengono sui sintomi ma non sulla causa della solitudine? Se non c’è alcun grande ideale che dà senso alla vita e che ci lega saldamente agli altri, come si ricostruisce una comunità? Per i cattolici si pongono davanti sfide ambiziose ed esaltanti: la ricostruzione della famiglia a partire dal Vangelo e dalla santità di vita, creando così comunità forti di credenti che possano essere un faro per i mondani, i quali prima o poi si renderanno conto che la secolarizzazione sta devastando le loro stesse vite. Una società senza Dio è destinata infatti a crollare presto e noi dobbiamo essere pronti a offrire la vita evangelica come scialuppa per i naufraghi. Dovremo sempre più integrare persone in stato di difficoltà relazionale e dimostrare con i fatti la nostra fede nel Dio che è amore. Allo stesso tempo dobbiamo saper rispondere al bisogno di rapporti umani in modo immediato e concreto già qui e ora. Le parrocchie devono moltiplicare momenti di contatto umano e vita comunitaria – ad esempio il ritrovo dopo la Messa, praticato con successo negli USA, o l’oratorio che ancora resiste bene da noi. Non basta poi aspettare che arrivino in Chiesa, ma bisogna cercare le anime dove sono. E, ad esempio, in Polonia a gennaio i sacerdoti visitano casa per casa tutti i parrocchiani per parlare con loro sia della loro vita personale che della parrocchia. Se uniremo la santità delle nostre comunità alla capacità di raggiungere i lontani, allora l’emergenza solitudine si trasformerà in una occasione per riportare le anime a Cristo.
Infine alcune considerazioni di ordine spirituale. A volte ci si può sentire soli anche in convento o in una famiglia numerosa purtroppo. Ma il cattolico, a differenza del mondani, sa che può rivolgersi con serenità e fiducia a Gesù. In ginocchio davanti alla Santa Eucaristia sentirà una consolazione che nessuna creatura può donare, un amore bruciante che non ci lascia mai soli e anzi ci riempie e trabocca. E poi c’è Maria che è la consolatrice di ogni afflizione. E poi il proprio angelo custode e i miliardi di angeli fedeli e le schiere dei santi. Impossibile restare soli.

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