SANTO NATALE
Il Natale: mistero verginale
dal Numero 50 del 24 dicembre 2017
di Carlo Codega

Fin dal IV secolo Betlemme fu abitata da numerosi e fiorenti monasteri, tanto da divenir ben presto una “città di vergini”. Se è vero che Gesù Bambino esercita una speciale attrazione d’amore suoi cuori verginali, è vero anche che la verginità consacrata costituisce un’attrazione potente per il cuore di Gesù Bambino...

Senza dubbio il mistero del Natale costituisce una fonte di attrazione mistica per tutte le anime sinceramente cristiane, che vedono in quella benedetta grotta un ristoro amoroso in mezzo alle difficoltà di questa vita. Altrettanto certamente però l’agiografia e la storia della mistica possono testimoniare come siano soprattutto le anime verginali quelle che giungono a penetrare più profondamente il mistero del Natale, quelle che non si limitano ad assistere alla nascita del Redentore al di fuori della mangiatoia – in mezzo al resto dell’umanità peregrinante – ma che penetrano in profondità in questo nido di amore divino e, prendendo posto tra Maria Santissima e san Giuseppe, arrivano tanto vicini al Bambinello divino da ascoltarne i gemiti di sofferenza per i peccati e i palpiti del suo Cuoricino, colmo di misericordia per tutta l’umanità. Questo perché il Santo Natale è un mistero candido – candido come la neve che spesso scende il 25 dicembre e in cui amiamo ambientare i nostri Presepi – ed esige anime candide, cioè anime caste e vergini, che, senza impurità e doppiezze, sappiano relazionarsi con Gesù Bambino con la purezza e la semplicità di un fanciullo.
Il mistero del Natale, in altre parole, è un mistero verginale che solo le anime vergini comprendono fino in fondo, perché è proprio la verginità la virtù che permette di amare il Bambinello divino senza il cuore diviso (cf. 1Cor 7,34). Non a caso la stessa grotta di Betlemme era “riservata” a tre anime verginali: la Santa Famiglia, la Trinità terrestre, è una famiglia integralmente verginale. È questa una consapevolezza presente fin dall’antichità. Il santo dottore Ambrogio, scrivendo alla sorella santa Marcellina – che si era consacrata a Dio proprio la notte di Natale nelle mani del Sommo Pontefice Liberio – scriveva: «Quale giorno è più adatto di questo santo giorno del Natale per sigillare la professione della verginità con il mutamento dell’abito? Quale giorno più adatto di questo, nel quale un figlio fu dato alla Vergine?». Il Natale infatti sicuramente celebra la venuta di Nostro Signore al mondo, ma dall’altra parte esso è una vera e propria celebrazione della verginità di Maria Santissima, la cui integrità verginale, per miracoloso intervento di Dio, non venne compromessa nemmeno dalla maternità e dal parto. Non è un caso quindi che lo stesso luogo della Natività sin dal IV secolo divenne dimora delle vergini: al seguito di san Girolamo, infatti, le due sante discepole santa Paola romana e santa Eustochio – madre e figlia – fondarono una comunità religiosa femminile che divenne così tanto fiorente da far diventare ben presto Betlemme una “città di vergini”, con ben tre numerosi monasteri fiorenti.

Amiche di Gesù

La verginità è innanzitutto un’intimità con Gesù, intimità che certe anime privilegiate possono provare sin dall’infanzia con manifestazioni di una semplicità sorprendente e commovente, ma anche di somma intensità spirituale. Tale intimità è un’amicizia che, in quanto tale, richiede un certo adattamento alle condizioni dell’amico: Gesù, dall’alto della sua gloria celeste, si china sulle anime semplici assumendo il suo volto più umano, quello stesso con cui si presentò al mondo nella capanna di Betlemme; l’anima che vuole essere amica di Gesù Bambino, dall’altra parte, prima di tutto si mette nelle stesse condizioni dell’infanzia di Gesù, desiderando solo di accontentare ed emulare il divino Infante. Sono noti di Orsola Giuliani – che sarebbe diventata una santa clarissa col nome di Veronica – i giochi fanciulleschi con Gesù Bambino. Davanti a un quadro con la Madonna e il Bambino in braccio, la fanciulla spesso depositava parte della sua merenda, come un’ingenua esca per attrarre fuori dalla pittura il suo diletto “amico”. Acquattata poi dietro un angolo, aspettava la fuoriuscita del Bambinello, ma, dato che questi si faceva spesso desiderare, allora la fanciullina lo sollecitava con un’amorosa minaccia: «Se non ne mangiate voi, non ne mangerò neppure io!». Lo spontaneo rapporto giocoso tra Gesù e la piccola Orsola emerge ancor più in un altro famoso episodio. Mentre la piccola coglieva giocondamente dei fiori nel giardino di casa, ecco presentarsi il divin Redentore, con lo stesso aspetto che aveva nel quadro, dicendole: «Sono io il tuo fiore di campo». Con un guizzo immediato però si sottrasse dalla sua vista, mentre la bambina, tutta catturata da quella fugace apparizione dell’amico divino, si mise a correre qua e là per cercarlo, fino a giungere ai piedi del quadro stesso: «Me l’avete fatta – disse al Bambino – giacché siete tornato in braccio a Maria: mi avete fatto tanto correre eppure non vi ho raggiunto». Davanti all’irresistibile tristezza puerile della bambina – mortificata e avvilita per l’esito finale di quel dolce inseguimento – ecco che il divin Pargoletto si protrasse dalla tela dipinta per abbracciare la sua piccola amica e riempirle il cuore di gioia.
Non molto diversa l’esperienza della venerabile suor Caterina di Gesù, carmelitana scalza. Ancora bimba nella casa paterna si sentì una notte bussare la porta della stanza: quale sorpresa fu quando, aprendo la porta, si trovò faccia a faccia con Gesù Bambino che le disse «Vieni a cercarmi», sottraendosi immediatamente alla vista con passo lesto. La semplice bambina iniziò un’affannosa ricerca di quel fanciullo dall’irresistibile bellezza, sennonché solo molti giorni dopo, appressandosi il Natale, lo poté riconoscere nella statua di Gesù Bambino in chiesa. Rimasta sola in preghiera poté ricevere, come premio di questo singolare “nascondino”, una corona di spine dal divin Infante. Gesù Bambino così, con la semplicità di un fanciullo, educa le anime verginali: coinvolgendo queste fresche anime innocenti nei suoi deliziosi trastulli, imprime nel loro cuoricino il desiderio insaziabile della celeste amicizia con Lui – il Dio fatto bambino – per far maturare, sotto il caldo delicato della paglia di Betlemme, il loro schietto affetto fino alla meta dell’infuocato amore divino.

Madri a imitazione della Madre

Gesù Bambino non è però solo un solerte educatore delle anime fanciullesche, bensì, con la sua semplice presenza umile e infantile, è in grado di sprigionare nelle anime verginali tutta la forza della loro maternità. A imitazione di Maria Santissima, infatti, ogni anima consacrata è al contempo vergine e madre, capace di imitare in maniera spirituale il singolare prodigio dell’Immacolata: così come Lei è divenuta vera madre senza perdere il giglio della sua purezza, così le anime che si consacrano a Dio promettendo la loro verginità non perdono la possibilità di essere madri, divenendo feconde in maniera soprannaturale e misteriosa. È il prodigio della maternità spirituale, per la quale le anime caste, silenziosamente e nascostamente, possono con le loro preghiere e i loro sacrifici generare alla vita di grazia tante altre anime e, via via, farle crescere nella vita spirituale con il celeste alimento della fede e della carità, portandole passo passo, come madri premurose, al traguardo della Vita eterna.
Tale maternità prima ancora che esercitarsi verso gli esseri umani, lo è verso il Bambino Gesù: è Lui anzi e Lui solo – con la sua onnipotenza divina occultata sotto i pannicelli infantili – a poter generare nelle anime verginali il senso della loro maternità prodigiosa. La sua presenza è stimolo per le anime pure a lasciar esplodere nei loro cuori tutti i sentimenti di una maternità al contempo delicata ed energica, che – dimentica di tutte le ragioni della carne – convoglia tutte le energie psicologiche e spirituali al bene delle anime, fino ai vertici dell’eroismo materno, capace di immolare la vita per i propri figli. Solo Gesù Bambino, vero figlio di Maria, è in grado di rendere ogni anima vergine una vera madre, un’altra Maria, pronta a generare tanti “fratelli” al divino Infante.
Lo stesso san Francesco – innamorato del Presepio e del suo divino abitante – invitava tutti i fedeli a divenire vere madri di Gesù Cristo: «Siamo madri sue – scriveva – quando portiamo Gesù nel cuore e nel nostro corpo con l’amore e con la pura e sincera coscienza, e lo generiamo attraverso sante opere che devono risplendere agli altri in esempio». Non è un caso quindi che questo ideale si sia sviluppato proprio nella sua pianticella, santa Chiara, la quale non temeva di tributare a sé e alle sue figlie il titolo di «spose, madri e sorelle del Signor mio Gesù Cristo». In santa Chiara – vera “icona” della Madre di Dio – la maternità verso le anime splendette tanto quanto quella verso Gesù Bambino, la quale fu illustrata da non pochi miracoli. Più volte le figlie di santa Chiara poterono vedere accanto a Lei, in coro così come nel letto ove giacque paralizzata per lunghi anni, uno splendido fanciullo, tanto premuroso e amorevole verso la Santa, da non dare dubbi circa la sua vera identità. Il suo amore per il mistero del Santo Natale spinse poi Gesù Bambino, nel Natale del 1252, a tributarle un vero e proprio miracoloso onore: mentre ella giaceva a letto inferma, priva della possibilità di assistere all’Ufficio notturno del Santo Natale, le fu dato il privilegio di poter udire i canti dei frati che celebravano la Nascita del Salvatore, riempiendola di gaudio spirituale.
Di santa Brigida si dice poi che la Notte di Natale assumesse una tale somiglianza a Maria Santissima, che nel suo cuore poteva sentire i segni dell’imminente parto del Salvatore – così come la Madonna li aveva sentiti nel suo grembo – ed erano di tale veemenza che potevano essere percepiti anche dai circostanti. Ancor più prodigioso fu quello che accadde a santa Veronica Giuliani per dimostrare quanto Gesù Bambino cerchi nelle anime verginali delle vere e proprie anime materne. Quando ancora non era entrata in monastero, la giovane Orsola davanti al predetto quadro di Maria Santissima che allatta Gesù Bambino, fu assalita da un tale impeto di tenerezza materna da domandare alla Santa Vergine, con santa insolenza, di dare anche a lei la possibilità di nutrire il Bambinello. Immediatamente la Madonna rispose a tale insolita richiesta porgendole il Bambino Gesù in braccio perché continuasse la poppata al suo seno verginale... prodigi dell’amore materno che, quando ripieno di vera carità divina, può far scaturire sorgenti anche dalle aride rocce!

L’anello sponsale di Gesù Bambino

La storia della mistica però ci trasmette un’altra singolare verità circa i rapporti tra Gesù e le anime verginali: con una frequenza rilevante il matrimonio spirituale delle anime verginali mistiche è celebrato proprio con Gesù Bambino, che porge il suo anello nuziale alle anime elette. Non è facile spiegare perché Gesù si presenti proprio nel pieno della sua infanzia – di per sé la meno adatta per rappresentare un matrimonio – per inanellare le sue spose divine, ma forse questo è proprio per trasmetterci la particolarità di questa unione. L’unione delle anime mistiche con Gesù è infatti un’unione al contempo amicale, materna e sponsale, che però, in tutti questi tre aspetti, conserva il carattere di essere un’unione puramente verginale, che la purezza del divino Infante è ben adatta a rappresentare. L’anima che si unisce a Gesù in matrimonio deve essere un’anima pura, come il Bambino Gesù, e un’anima spogliata di tutta la sua “maturità umana” – soprattutto della superbia e autosufficienza che spesso l’accompagna – per essersi fatta veramente fanciulla: «Se non vi farete come questi fanciulli – come disse il divin Maestro – non entrerete nel Regno dei cieli» (Mt 18,3).
L’anima santa è pertanto quell’anima “fanciulla” che può unirsi come sposa a Gesù Bambino, avendo già interiormente conformato il suo cuore al Cuoricino divino del Redentore. Già la santa martire Caterina d’Alessandria, figlia del re Costa, prima di dimostrare l’eroicità delle sue virtù nella sfida con i sapienti e nel martirio doloroso, fu sposata dal Bambinello in un tripudio celeste. In un sogno si vide trasportata in Cielo ove il Bambino Gesù, in braccio alla Madre e tra cori di angeli festanti, la incoronò sua regina e le diede l’anello matrimoniale: al risveglio la Santa si avvide però che non si era trattato di un mero sogno, in quanto portava al dito lo splendido anello nuziale. Anche lo sposalizio di santa Caterina da Siena avvenne tramite la consegna dell’anello da parte di Gesù Bambino e persino quello di santa Veronica Giuliani avvenne nella Notte di Natale, dopo aver vergato col suo sangue una letterina appassionata d’amore al divino Infante.
Santa Maria Francesca delle Cinque Piaghe, terziaria francescana di Napoli, fin dall’infanzia fu devotissima del mistero del Santo Natale di Gesù, celebrandolo con fervide preghiere e orazioni davanti all’immancabile Presepio familiare. Già consacratasi al Signore, una notte di Natale mentre sostava in orazione dinanzi al Presepe fu colta, alla presenza di una consorella, da un’estasi lunghissima, nella quale pareva intrattenere un lungo discorso con un confidente. Il giorno successivo, poco dopo essere tornata in sé, confessò alla compagna di essere stata accettata da Gesù Bambino come sua sposa e di essere stata portata a contemplare l’ineffabile bellezza della grotta di Betlemme, loro talamo nuziale.
Nella vita di santa Rosa da Lima si può cogliere ancor meglio la delicatezza di Gesù Bambino verso le sue spose. La piccola terziaria domenicana – che nel fragile corpo femminile sopportava un’austera e virile vita di penitenza – un giorno, mentre era in orazione, fu visitata dal Bambinello che le cantò in poesia la sua promessa d’amore: «Rosa del mio cuore, tu sarai la mia sposa». Ma queste parole non rimasero sterili e vennero confermate dai fatti: verso questa piccola eroina di virtù il divin Fanciullo dimostrò una tenerezza e delicatezza di amore sponsale senza eguali. Tutti i giorni la visitava, trascorrendo molto tempo con lei, apparendole soprattutto, piccino piccino, sul libro del Breviario mentre pregava e sulla conocchia mentre filava: spesso poi il Bambino si protendeva a lei con le braccia, esprimendo il desiderio di venire abbracciato dalla sua sposina. Non di rado poi il Bambinello la invitava a passeggiare sul loggiato più alto della casa, riservandole teneri affetti con cui ricompensare una vita di santità autentica.

Vivere la santa infanzia

A che pro Gesù Bambino riserva tutte queste attenzioni amorose alle anime verginali? Tutta questa profusione di sentimenti o, ancor più, questi giochi infantili di cui abbiamo parlato, non sono forse un po’ contrari a quella schietta pratica delle virtù quotidiane che costituisce la vera santità? Certo che no. Gesù entra nei cuori verginali con la disinvoltura di un infante giocoso ma non lo fa certo per far disperdere le sue consacrate in inutili affetti e vane effusioni, bensì per conquistare completamente il loro cuore con soave e tenera dolcezza, purificarlo e renderlo un’offerta gradita al Padre celeste. Il divin Redentore si fa piccolo piccolo per meglio entrare negli angusti passaggi dei nostri cuori, piccoli perché egoisti e chiusi alla grazia divina. Con questi mezzi Gesù Bambino vuole insegnare alle sue spose così come a tutti noi una dottrina ben soda e sicura: il preludio al Calvario è Betlemme, la preparazione alla Croce è la fredda culla, il requisito per un sacrificio gradito a Dio è un cuore puro, un cuore da bambino, privo di doppiezze ma colmo di amore. La grotta di Betlemme diviene così una scuola di virtù quotidiane nella quale il Bambinello divino è l’insuperabile maestro, pronto a dare a ciascuno di noi lezioni di santità e di autentica vita cristiana tutte incentrate intorno ad un’unica verità: solo chi si fa piccolo come Gesù Bambino potrà entrare nel Regno dei cieli!

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