Sebbene i Vangeli della Passione registrino la presenza di Maria Santissima solo ai piedi della croce, la Tradizione ha sempre presentato la Madonna seguire il Figlio passo passo, dal pretorio e per l’ardua via verso il Calvario, mescolando le sue lacrime al Sangue divino del Redentore.
La reticenza dei testi evangelici sulla figura di Maria Santissima durante il ministero pubblico di Gesù e l’assenza di chiare testimonianze della Tradizione, ci costringe a passare a piè pari dal quadro “nuziale” e luminoso di Cana a quello drammatico e doloroso della Passione di Nostro Signore: dall’inizio del patto nuziale alla sua consumazione finale sul Golgota. Quel momento che non era ancora venuto – secondo le parole di Gesù a Cana (cf. Gv 2,4) – ora si compie (cf. Gv 19,30), sempre alla presenza di Maria, Colei che Nostro Signore in entrambi i casi chiama «donna» ma che l’evangelista Giovanni è sollecito a nominare «Madre». Per quanto sia certo che Maria Santissima – insieme al gruppo di pie donne che assistevano Gesù (cf. Mt 27,55) – abbia spesso accompagnato il Figlio nella predicazione per l’annuncio del Regno di Dio, nessun luogo del ministero pubblico di Gesù porta una speciale traccia mariana. Dunque da Cana di Galilea i nostri passi devono dirigersi – e questa volta definitivamente – verso la città santa di Gerusalemme, lì dove il ministero pubblico di Gesù avrà il suo compimento, compimento al contempo tragico e glorioso, secondo le parole stesse del Salvatore: «Quando sarò innalzato attirerò tutti a me» (Gv 12,32).
Un presagio della Passione a Nazareth
In effetti però conviene trattenersi ancora un attimo in Galilea per non tralasciare un piccolo ricordo mariano che questi luoghi conservano. Questo peraltro non ci fa per nulla uscire dall’argomento che ci siamo proposti: la piccola cappella di “Santa Maria del Tremore” a Nazareth è infatti un preannuncio della Passione che Nostro Signore avrebbe dovuto subire a Gerusalemme. Questa cappella infatti si ricollega all’episodio evangelico narrato in Lc 4,17-30. Il divin Maestro, insegnando nella sinagoga di Nazareth, ricevette in cambio della divina scienza comunicata ai compaesani il loro ostinato rimprovero per non aver beneficato la sua cittadina con miracoli, quali quelli compiuti altrove. Al che il Medico divino somministrò ai suoi pazienti una dose di medicinale verbale («Nessuno è profeta in patria») che il loro stomaco inorgoglito non ben digerì: essi pertanto – come narra Luca – «lo scacciarono fuori dalla città e lo condussero fino a un ciglio del monte [...] in modo da precipitarlo giù. Ma egli, passando attraverso essi, se ne andò» (Lc 4,29-30). Ciò che la narrazione evangelica tace, la pietà popolare invece ben ci tramanda: la Vergine Maria non fu estranea a questi eventi ma il suo Cuore materno – una volta ancora dopo lo smarrimento nel Tempio – dovette provare l’angoscia di vedersi il figlio già strappato dalla morte, e in questo caso in modo così violento e tragico. Il suo Cuore in questi eventi vedeva già penetrare quella spada che alla fine l’avrebbe squarciato a metà e la felice e soprannaturale soluzione del caso – ben evidente nel «passando attraverso essi» del Vangelo – non ci esime dal ricordare questa piccola cappella costruita sulla salita che porta al monte di Nazareth. Questa piccola costruzione – ora proprietà della Chiesa ortodossa – era già ricordata nel Medioevo all’interno di una fondazione monastica di rito etiope... e sta ancora lì a ricordare a noi pellegrini da quanto lontano partì l’agonia del Cuore di Maria Santissima.
La via dolorosa con Maria Santissima
Come è ben noto, il Vangelo tace circa la presenza di Maria Santissima negli eventi convulsi che avvennero tra la sera del Giovedì Santo, con l’arresto di Gesù, e quelli del Venerdì mattina, con la comparsa al pretorio davanti a Ponzio Pilato e la salita al Calvario. La sua figura piuttosto ricompare nella narrazione di san Giovanni proprio ai piedi della croce per partecipare agli ultimi istanti della dolorosa Passione redentrice di Cristo, ricevendo in cambio da Cristo crocifisso un suggello della sua missione materna verso tutti gli uomini.
La Tradizione – avvalorata anche dalle visioni di mistiche – tuttavia discretamente c’informa che Maria non fu assente anche agli altri eventi dolorosi della Passione di Gesù. È molto probabile – come illustra la pregevole scena in cartapesta nel Santuario della Condanna – che Maria Santissima fosse presente sia alla flagellazione di Gesù che alla sua condanna, tutte avvenute nei pressi del Litostroto e del pretorio romano. Ciò proprio perché Lei, insieme a Lui, doveva bere completamente quel calice offerto dal Padre, il quale era colmo non solo della morte in Croce, ma anche di scherni, ingiustizie, violenze, soprusi, tradimenti e insulti. Tutte malvagità gratuite dell’umanità sviata che nel Cuore materno di Maria risuonavano in maniera singolare: Ella non fu infatti chiamata da Dio a soffrire fisicamente le stesse pene di Gesù, ma piuttosto a soffrirle moralmente e spiritualmente, a soffrire, cioè, nel vedere soffrire Gesù, al contempo suo Figlio e suo Dio. È questa la compassione di Maria Santissima, l’Addolorata: patire con Cristo e soffrire perché Cristo soffre, ma con una tale intensità e penetrazione che la lancia materiale che avrebbe trafitto il Cuore di Gesù sarebbe stata anche la spada spirituale che avrebbe straziato il suo Cuore Immacolato, adempiendo la profezia del santo vecchio Simeone. Al contempo il dolore che Maria provava nel vedere la Passione di Cristo e nello scorgervi l’immensa offesa perpetrata contro Dio, fu da Lei affrontata con virilità e fortezza senza pari, una fortezza sostenuta soprattutto dalla fede nella Redenzione e dall’abbandono alla volontà di Dio. Sofferenza acutissima dunque, ma sofferenza completamente accettata in spirito di fede e di speranza e offerta a Dio come puro sacrificio di carità in unione all’immolazione di Cristo sulla Croce.
Alla luce di ciò non è strano pensare che la Tradizione e le visioni mistiche abbiano ragione nel presentarci la Madonna seguire passo passo le sanguinose orme di Gesù nel pretorio prima, durante la flagellazione e la condanna, e poi sull’ardua via verso il Calvario, mischiando le lacrime dei suoi occhi al Sangue colato dal corpo del Figlio. Accompagnata da altre pie donne e forse anche da qualcuno degli Apostoli, Maria Santissima seguì con lo sguardo tutte le offese e le violenze perpetrate contro il suo divin Figliuolo – vero agnello innocente – ma soprattutto le rivisse e quasi le “incarnò” nel suo Cuore virile e materno. La beata Anna Caterina Emmerick anzi aggiunge un particolare: il Sabato Santo, mentre la Madonna attendeva piena di fede la Risurrezione del Figlio, decise di ripercorrere tutti quei luoghi dolorosi, precorrendo di diversi secoli il pio esercizio della Via Crucis. Perché rinnovare un dolore e una sofferenza così intensa e così recente proprio mentre attendeva la gioia della Risurrezione di Cristo, di cui certo non dubitava? Perché la compassione e la sofferenza vissuta con Fede e offerta nella pura Carità in unione con il sacrificio di Cristo, ben lungi dall’essere un’angoscia straziante è il modo migliore di partecipare all’opera di salvezza dell’umanità.
Sulla via dolorosa: l’incontro tra Cristo e Maria
Il cuore pulsante dell’attuale Gerusalemme è senza dubbio la basilica del Santo Sepolcro, scrigno che custodisce le più preziose reliquie della nostra Fede, in quanto contiene tra le sue mura il luogo della Morte e quello della Risurrezione di Gesù. Come ben si capisce dai racconti evangelici, e come l’archeologia stessa attesta, lo sperone roccioso del Calvario e il sepolcro non si trovavano tuttavia, all’epoca di Gesù, all’interno delle mura gerosolimitane bensì in un luogo che doveva essere una cava di pietra abbandonata. Dal pretorio – dove fu definitivamente sancita la condanna di morte – al Calvario, dunque, Gesù percorse un tragitto più che altro al di fuori delle mura cittadine, prossime alla sede del potere romano. La via che ora si snoda nel tessuto urbano di Gerusalemme, a cavaliere tra il quartiere musulmano e quello cristiano, all’epoca di Gesù era dunque una stradina sterrata che conduceva a quell’infame sperone roccioso, detto Calvario, dove trovavano la morte i condannati dalla legge.
Oggi l’urbanizzazione nasconde bene come questo breve tragitto (meno di 2 km probabilmente), dovesse essere abbastanza difficoltoso per i condannati, spossati dal dolore e carichi dello strumento del loro supplizio. Esso infatti prevedeva anche la discesa dal Gabbata – il colle ove sorgeva il pretorio romano – alla profonda valle che separa il Tempio dalla città (detta del Tyropeon) e quindi la ripida risalita sull’altro versante verso il Calvario.
Proprio nel fondo di questa valle, appena fuori dalle mura della Gerusalemme romana, la tradizione colloca l’incontro tra Maria Santissima e il divin Redentore. Già in alcune mappe medioevali infatti si può scorgere in questo luogo – ormai urbanizzato – una chiesa dedicata a san Giovanni Battista, col titolo “Lo spasimo della Vergine”, da cui il nome popolare di “Santa Maria dello spasimo”. Evidentemente Maria, che seguiva da lontano Gesù, col velo tirato sulla testa per passare inosservata tra la plebaglia giudea, decise di prendere una scorciatoia per sorpassare la folla inferocita e trovarsi al cospetto dell’amato Figlio, onde dargli una testimonianza tangibile del suo amore materno e sostenerlo interiormente con la sua presenza e la sua compassione.
Questo episodio – non testimoniato dalle Sacre Scritture – è ben conosciuto dalla pietà dei fedeli in quanto costituisce la IV stazione della Via Crucis. Secondo la tradizione, appena dopo la prima caduta di Gesù (III stazione), avvenuta proprio nella ripida discesa nella valle del Tyropeon, Maria Santissima, approfittando di quel momento, si sarebbe gettata faccia a faccia al Figlio prostrato a terra. Ben poche parole riuscirono a scambiarsi, forse neanche una, prima che i soldati si avventassero su Cristo per riportarlo in piedi, ma quello sguardo intenso fu sufficiente a entrambi per riprendere con lena la via del dolore. Ancor più che un conforto in quell’oceano di strazio, quello sguardo fu sufficiente innanzitutto a comunicarsi la sofferenza reciproca per il dolore dell’altro, e in questo modo, darsi la prova più tangibile dell’amore vero, l’amore disposto a condividere con l’altro le sofferenze. In tal modo – attraverso il dolore e l’amore – per entrambi quello sguardo fu una goccia di balsamo per ridar loro ancor più energia per compiere con fortezza la volontà di Dio e andare incontro all’inesorabile fine.
Va detto che ancora oggi la “Via dolorosa” di Gerusalemme prevede le due stazioni – la III e la IV – proprio sull’atrio di ingresso della chiesa dedicata all’incontro di Maria con Gesù. All’incirca sul luogo della medievale chiesa dello Spasimo, l’attuale tempio – costruito nell’800 – è sede dell’esarcato armeno-cattolico ed ha una caratteristica interessante per i pellegrini: al suo interno infatti si tiene l’adorazione eucaristica perpetua. Così come l’Immacolata poté in quel luogo per l’ultima volta fissare gli occhi nel volto di Gesù, anche noi possiamo fissare gli occhi in Gesù sacramentato per scoprire che dietro il velo bianco e glorioso dell’Ostia consacrata, si nasconde il volto tumefatto e insanguinato del divin Redentore col quale condividere le nostre sofferenze e il nostro amore e portare insieme a Lui le croci della nostra vita!