ATTUALITÀ
“Ius soli” in Italia
dal Numero 41 del 22 ottobre 2017
di Lazzaro M. Celli

Se approvata al Senato, la legge sullo “ius soli” comporterà un cambiamento epocale del nostro istituto giuridico. L’argomento è di quelli fortemente divisivi: da un lato i sostenitori, che favorevoli all’idea di una “cittadinanza globale”, presentano la legge come un “dovere umanitario”; dall’altro coloro che nutrono comprensibili dubbi, e secondo i quali ci vorrebbero ben altri requisiti per divenire “cittadini italiani”.

Non si fa che un gran parlare di diritto alla cittadinanza. Diverse iniziative sono state avviate per agitare l’opinione pubblica e sostenere il relativo disegno di legge, approvato alla Camera dei deputati, ma non ancora al Senato. Le acque sono mosse quasi esclusivamente dagli appartenenti all’aria progressista; da gruppi di insegnanti ad associati di vario genere, dalla rete alle piazze.
In breve la situazione è la seguente. Attualmente, con l’acquisizione della maggior età, possono richiedere la cittadinanza italiana solo coloro che sono nati nel nostro Territorio e vi abbiano risieduto con regolare permesso.
Se il Ddl fosse approvato, la cittadinanza sarebbe riconosciuta anche ai bimbi stranieri nati nel nostro Paese, a condizione, però, che uno dei genitori sia cittadino dell’Unione europea e abbia il permesso di soggiorno da almeno cinque anni.
Se invece figlio di extracomunitari, uno dei due genitori deve dimostrare di avere un reddito annuo almeno equivalente a quello che sarebbe corrisposto a un qualunque cittadino che percepisse il solo assegno sociale. Le altre condizioni prescritte dalla legge sono: avere un alloggio dignitoso e conoscere la lingua italiana.
Queste premesse fanno sì che si parli di “ius soli temperato”, ovvero di un diritto alla cittadinanza concesso sì, per nascita, ma solo a determinate condizioni.
Inoltre, potranno ottenere la cittadinanza italiana i minori giunti in Italia che avranno frequentato la scuola elementare o media e risiedano da almeno cinque anni sul nostro suolo; oppure, se rientrassero nella fascia di età compresa tra i 12 e i 18 anni, dovrebbero abitare in Italia per ameno sei anni e superare sempre un ciclo scolastico. In questo caso il diritto di cittadinanza verrebbe attribuito per uno “ius cultura”.
Sia che si ottenga per nascita a determinate condizioni, sia per aver frequentato un ciclo scolastico, quando parliamo di diritto alla cittadinanza dovremmo definire che cos’è la cittadinanza e quando si è veramente cittadini di un Stato.
In teoria si dovrebbe essere cittadini di un Paese quando le persone che vi abitano si riconoscono nei medesimi costumi, mentalità, modi di comportamento. Da parte dell’interessato, occorre ci sia un atteggiamento di ricerca di appartenenza allo Stato in cui si risiede; una ricerca, cioè, che non si fondi sul puro desiderio, ma che implichi un’attività continua e sistematica di condivisione dei valori comunitari da parte del singolo. Sostanzialmente si tratta di acquisire un modo d’essere che presuppone un’integrazione culturale e che la sola scuola non è in grado di trasmettere. Per impadronirsi di questo modo d’essere, occorre, ancora una volta, la famiglia. È la famiglia, infatti, che deve trasmettere al figlio l’identità nazionale d’appartenenza, non le istituzioni. È la famiglia che deve trasferire ai figli l’eredità del patrimonio di valori; la storia e la cultura del Paese in cui si nasce.
Tutto ciò in teoria. Nella pratica l’applicazione di questi principi è difficile perché non esiste più un corpo di valori unici cristiani che tiene salda la comunità nazionale. Purtroppo la spinta progressista ha sovvertito, e rovinosamente continua a sovvertire, la spiritualità cristiana che manteneva unita la società e, quindi, con l’attuale crisi non c’è più un’identità comune; tutto è frammentato; prevalgono i valori della carne, in senso biblico, cioè tutto ciò che è passione, concupiscenza, o altre vaghe forme di spiritualità. Prevale una mentalità terrena che annebbia l’intelletto. La sapienza, che trova la sua culla nello Spirito Santo, è sostituita da un superficiale quanto generico atteggiamento di tolleranza, privo di ragione. Questa nuova condizione sembrerebbe essere il polo di attrazione intorno a cui gli uomini d’oggi riconoscono la propria identità; un polo transnazionale, che abbatte i confini di ogni territorio.
Questo ci dovrebbe far comprendere che non basta un ciclo di studi, né la permanenza su un determinato suolo a fare di uno straniero un cittadino di quello Stato; dovremmo capire che il vero senso di appartenenza ha la sua origine in un corpo di pensiero, prima che in un desiderio soggettivo; esso richiama una dimensione spirituale che non può essere sottaciuta, o omessa.
Per noi europei questa spiritualità, che dovrebbe tenerci uniti, è quella stessa da cui traiamo origine: la spiritualità cristiana, quella che ci lega all’azione dello Spirito Santo, quella che ha fatto l’Europa.
Escludendo una riflessione su questi temi rischiamo di parlare di diritto alla cittadinanza senza nemmeno comprendere il vero senso e il vero significato della cittadinanza.
Tutte le motivazioni che appoggiano lo ius soli sono di stampo buonista o emotivo. Si dice che l’approvazione della legge sia necessaria per porre fine alla discriminazione dei bambini stranieri, quando, invece, dovremmo sapere che tutti i bambini, italiani o stranieri che siano, hanno già gli stessi diritti civili, come quello di frequentare la scuola, di ricevere assistenza sanitaria o di essere accompagnati da un’assistente sociale in caso di estrema povertà e via discorrendo.
Si dice ancora che tutti quelli che sono contrari alla concessione del diritto di cittadinanza agli stranieri fomenterebbero odio. Sembrerebbe, invece, che sia proprio l’integrazione forzata ad alimentarlo.
Sembra pure che stia cadendo il mito del povero emigrante che in Italia muore di fame, perché la gente ha capito che molti di quelli che chiedono l’elemosina, indicando il bisogno di mangiare, mentono per impietosire, in quanto accolti negli appositi Centri sociali dove ricevono cibo e vestiario. Per questo motivo la gente comincia ad essere refrattaria nel concedere loro l’elemosina e, non di rado qualche extracomunitario, non ottenendo ciò che chiede, supera il limite della buona educazione, ostentando ironia nei confronti di chi non gli elargisce nessuna offerta.
Sul diritto di cittadinanza, più che mai in tempi di crisi della Chiesa, anche il mondo cattolico è diviso; forse perché la stessa dottrina cattolica, più che essere insegnata come dovrebbe, priva della sapienza divina, sta scadendo in una formula di tolleranza assoluta, con tanto di tutto e di più.

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