ATTUALITÀ
Perché non ci piace il transumanesimo
dal Numero 40 del 15 ottobre 2017
di Lazzaro M. Celli

La nostra è un’epoca segnata da una “volontà transumanista”: si propone di “aumentare” all’infinito le prestazioni fisiche e mentali dell’uomo, promette di liberare l’umanità dalle malattie e sconfiggere la morte, progetta la costruzione di un ibrido tra uomo e macchina, professa una fede assoluta nelle neurotecnologie...

Da un po’ di tempo si sente parlare con ricorrenza di transumanesimo. Se volessimo provare a definirlo potremmo considerarlo, in generale, un’area di pensiero che promuove un miglioramento delle capacità umane attraverso l’utilizzo della robotica. Da questo punto di vista sembrerebbe si stia generando un movimento innocuo; non possiamo certo negare i miglioramenti ottenuti in medicina mediante il ricorso a protesi o a organi artificiali, come vedremo più avanti. In tal senso, il transumanesimo si rivela auspicabile e il tema appena utilizzato fa da apripista per la sua diffusione e proliferazione tra la gente.
La premessa su cui si fonda, però, ci spinge a prendere le distanze da esso. Per il transumanesimo, infatti, l’uomo moderno dovrebbe evolversi, uscendo dallo stato primitivo da cui si trova. Il modo in cui dovrebbe compiersi questo “necessario” sviluppo in progress si fonda sull’esaltazione dell’autonomia della persona umana, esasperata fino al punto da negare il reale e proiettarsi in una dimensione fantascientifica della vita.
Secondo questa prospettiva, l’uomo moderno si emanciperà quando potrà realizzare tutti i suoi desideri; con l’ausilio delle conoscenze tecnico-scientifiche e mediante il loro impiego uscirebbe dallo stato primitivo in cui si trova adesso, trasformando il suo corpo tutte le volte che non si riconoscerà nella sua struttura biologica determinata dalla nascita. Qui, per certi aspetti, notiamo una chiara similitudine con la teoria del gender; il transumanesimo, però, si spinge ben oltre. Per esso, infatti, è possibile, anzi fondamentale, operare ogni genere di cambiamento biofisico, al solo scopo di potenziare le capacità umane.
A questo punto è necessario precisare. Dobbiamo distinguere gli interventi tecnico-scientifici che sono, per così dire, riparativi, da quelli che sono trasformativi. Un conto, invero, è intervenire per eliminare gli handicap che possono limitare le funzioni umane, altro è trasformare l’uomo in una macchina per aumentare la capacità biologica o percettiva, al solo scopo di potenziarsi. Evidentemente siamo di fronte a due atteggiamenti antagonistici.
Pensiamo, per esempio, ad un esoscheletro. Si tratta di un macchinario che funziona come se fosse uno scheletro esterno che si applica sul corpo o in sostituzione di alcune parti di esso. Questo macchinario è utilissimo per quelle persone che hanno perso la funzionalità dell’uso degli arti inferiori, se non addirittura proprio gli arti inferiori. Con esso si ha una sorta d’integrazione tra l’uomo e la macchina. Il cervello emana degli impulsi che sono raccolti e decifrati da un programma che, a sua volta, rimanda gli impulsi al cervello. In questo caso siamo di fronte ad un uso della tecnica accettabile, di tipo ripartivo.
Il transumanesimo, invece, vorrebbe applicare le conoscenze tecnico-scientifiche per trasformare l’umano, per potenziare le prestazioni fisiche o percettive, per creare una sorta di uomo nuovo, senza difetti, infallibile, senza errori.
Alla radice di questo pensiero vi troviamo, perciò, quella superbia luciferina che vorrebbe abbattere il senso del limite; la stessa che non riconosce l’uomo nella sua unità, cioè come essere vivente dotato di anima e di corpo.
Il transumanesimo, proteso verso l’uomo macchina, verso un modello di uomo perfetto, nega i limiti dell’uomo, e con essi, in definitiva, nega l’uomo stesso, considerato solo materia. Qui non si vogliono enfatizzare i limiti umani, ma semplicemente riaffermare la realtà dell’uomo, quale essere che s’impegna a superare i suoi limiti, riconoscendo, però, la supremazia di Dio. Il transumanesimo, invece, tende al superamento del limite, per affermare l’affrancamento dell’uomo da Dio.
Se lo scopo è andare verso l’uomo macchina, efficiente e perfetto, allora lo sforzo per raggiungere obiettivi, l’impegno profuso per giungere a conseguire mete, tutto quanto, insomma, è profondamente umano e ci dà appagamento, non avrà più senso. Se l’obiettivo è andare verso un modello di uomo in cui è possibile riprogrammare le cellule che invecchiano, dandogli la possibilità di una vita più lunga, vuol dire non comprendere il senso di questa esistenza e non riconoscere che essa è programmata da un Altro. Vuol dire dimenticarci che il lavoro costante è quello che porta i frutti a tempo debito; vuol dire, ancora, abolire quella condizione in cui riscopriamo la vita come dono e ci riconosciamo infinitamente indegni di tutto, per aver sciupato infinite volte la possibilità di lasciarci guidare dalla grazia divina che sempre interagisce con l’umano; vuol dire perdere l’orizzonte delle nostre imperfezioni e della possibilità di ricominciare, di ripartire da capo, facendo tesoro dei nostri errori.
Vuol dire, infine, nonostante tutti i difetti di questo mondo, perdere la propria identità di uomini e considerare la morte come nemica, l’errore come una condizione da eliminare, il progresso come impossibile senza operare trasformazioni biofisiche.
Tutto sommato il transumanesimo sembra solo la teorizzazione di quanto già si coglie nella nostra vita, vissuta in un modo praticamente pagano. Ecco un’altra sfumatura del prezzo pagato per esserci allontanati dalla Verità e dall’Unico Dio vero.

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