MODELLI DI VITA
Gesù alla lettera. San Francesco
dal Numero 38 del 1 ottobre 2017
di Paolo Risso

San Francesco non smette di attrarre gli uomini di ogni tempo perché è tutto incentrato in Cristo, interamente cristocentrico; così arso d’amore per il Signore che, sparito l’uomo vecchio, in lui è restato Gesù solo, secondo il programma evangelico: “Bisogna che Gesù cresca, e io diminuisca”.

Nel suo sguardo che penetra l’avvenire, Gesù vide gli sviluppi della cristianità mille anni dopo il suo passaggio tra noi. Vide la Chiesa organizzata in molte nazioni; il messaggio evangelico in veloce diffusione per tutto il mondo; la fede viva in milioni di uomini; i santi e i martiri fiorenti in ogni parte. Ma vide anche delle ombre: guerre tra cristiani nei quali sembrava ribollire la violenza degli avi ancora barbari. Le ricchezze a volte mal distribuite e accumulate nelle mani di pochi potenti. Errori antichi e strani portati all’estremo da spiriti inquieti che disprezzavano il mondo e la vita, come fossero opera del male e non di Dio.
Gesù aveva guardato lontano e aveva lasciato ai credenti il suo messaggio chiaro e risolutivo: “Beati i miti... Beati i misericordiosi... Beati gli operatori di pace... Beati i poveri... Beati i perseguitati per causa mia...” (cf. Mt 5,5-9). Messaggio di liberazione da ogni avidità di possesso terreno: «Guardatevi da ogni cupidigia, perché la vita non dipende dall’abbondanza dei suoi beni» (Lc 12,15). Messaggio di umiltà e di semplicità di vita: «Gli presentavano dei bambini perché imponesse loro le mani... Gesù li chiamò a sé dicendo: “Lasciate che i fanciulli vengano a me... perché di essi è il regno dei cieli”» (Lc 18,15).

Giovanni, detto “Francesco”

Il messaggio di Gesù cadde in un ragazzo di Assisi. Al fonte battesimale lo avevano chiamato Giovanni, ma in famiglia poi lo chiameranno Francesco, in omaggio alla Francia ove il padre aveva trovato fortuna per i suoi commerci. E così lo chiameremo, ché così è passato alla storia. Il ragazzo crebbe cristiano con doti belle di intelligenza, di cuore, gioia di vivere. Aveva i difetti comuni dei giovani ricchi della sua età e della sua epoca: gli piaceva l’eleganza, l’allegria delle brigate di amici, la “gloria” di quelle guerricciole tra comuni, che allora tenevano il posto delle gare sportive.
Aveva appunto 20 anni, quando scoprì l’amaro prezzo della gloria militare dopo una zuffa sfortunata tra Assisi e Perugia. Ci ripensò in prigione, dove l’avevano rinchiuso i perugini vittoriosi. Dopo il carcere, la malattia: ciò che è troppo per un giovanotto di 20 anni. Nella sofferenza, Francesco si apre a Dio. Le cose che amava ora perdono valore: l’ostinato battagliare tra comuni vicini, le allegre brigate con gli amici, i magazzini pieni di stoffa, vanto di suo padre, ser Bernardone, mercante internazionale. “Che guaio – mormora la gente –, un giovane così vivace e ricco, fortunato!”.
Francesco si urta con il padre: gli abbandona anche le sue vesti eleganti e se ne va. Ha 25 anni: adesso non ha più niente, ma è libero con il suo Gesù ritrovato integralmente. Da quel giorno, vivrà il Vangelo di Gesù, sine glossa (= senza commento, senza “se”, senza “ma”), anzi prenderà «Gesù alla lettera» nella totalità della sua proposta: «Se vuoi essere perfetto... va’, vendi i tuoi beni... poi vieni e seguimi» (Mt 19,21). Diventerà “un altro Gesù”, Gesù vivo nell’intimo, Gesù vivo anche nell’aspetto esteriore, vera “immagine di Gesù”, autentico “specchio di Gesù”, come lo definiranno quelli che lo hanno conosciuto e scriveranno i suoi biografi.
Vestito dell’umile saio, Francesco percorre l’Umbria per ricordare agli smemorati cristiani della sua terra (poi dell’Italia e del mondo) il puro messaggio di Gesù: la somiglianza con Lui, nella povertà, nella purezza, nella preghiera, nell’annuncio del suo Vangelo, nello spirito di fraternità e di perdono, di riconciliazione. All’inizio è solo, ma non rimane solo a lungo: il grano germina nel solco e quando arriva la primavera del 1209 altri amici entusiasti lo seguono, per vivere con lui, come lui, “di Gesù solo”, di “Gesù alla lettera”.

“Il serafico in ardore”

I Fioretti di san Francesco, che lessi da ragazzo, non mi hanno mai fatto pensare che Francesco e i suoi amici, i primi “frati”, i Minori, fossero dei semplicioni. San Francesco era molto intelligente, era ispirato da Dio, e ciò che faceva era di profonda ispirazione per la tormentata vita della Chiesa del suo tempo, dove certi signori quali Pietro Valdo, si ribellarono alla Chiesa e si separarono da essa, cosa che non va mai fatta.
Francesco è come una valanga mossa da una forza miracolosa: lo seguono a centinaia, a migliaia; uomini di tutte le classi sociali; giovani e meno giovani, laici e sacerdoti, compresi alcuni che erano il meglio della cultura umbra, della cultura italica! Con l’approvazione di papa Innocenzo III, poi definitiva di Onorio III, Francesco e i suoi si spargono per l’Italia a predicare l’amore di Gesù e, in Gesù, pace e bontà. Non è buonista, Francesco, non è un ambientalista, non è deforme da Cristo, come lo farà apparire Sabatier nei suoi testi, ma è dolce e austero, chiede conversione totale (“Guai a chi morrà nei peccati mortali”, grida nel Cantico delle creature). La gente non dice più che è pazzo, e già intravede il santo. Anche le ragazze lo seguono, le ragazze della borghesia e del popolo, non a predicare sulle piazze, ma a pregare nei conventi. Prima tra tutte santa Chiara d’Assisi. A suo tempo, tra le sue seguaci, ci saranno anche ragazze, tutte di Dio, che sulle sue orme predicheranno con la parola e con gli scritti, mezzi della comunicazione sociale.
Francesco è bello, perché è tutto incentrato in Cristo, è tutto cristocentrico. È così “serafico in ardore” per Gesù, che in lui sempre più “sparisce” “l’uomo vecchio” (= Giovanni, detto Francesco) e ci sarà solo Gesù: secondo il programma evangelico: “Occorre che Gesù cresca, e io diminuisca” (cf. Gv 3,30). Questo ardore, a leggere Dante (Paradiso XI), lo rende militante per Gesù, “miles Christi”, un cavaliere di Gesù. Non gli basta più l’incantevole e turbolenta Umbria, né la cara e bellicosa Italia. Francesco vuole il mondo per portarlo a Gesù. Propone agli amici un progetto missionario grandioso, coraggiosissimo. Offre personalmente l’esempio e si imbarca per l’Oriente a incontrare il gran sultano arabo, terrore della cristianità, non per dialogare e cercare i “valori comuni”, ma per convertirlo a Gesù e per mezzo del sultano convertito, convertire gli islamici a Gesù. Il sultano non si converte, ma apprezza san Francesco più di quanto non avesse fatto qualche brontolone della sua patria.
Poi ritorna in Umbria, e vede che il movimento cui ha dato origine è ormai troppo grande. Ma dalla fine del Concilio Lateranense IV, iniziato da Innocenzo III e concluso da Onorio III, san Francesco si fa ancora più eucaristico: le norme per l’adorazione al Santissimo Sacramento e per la celebrazione della Santa Messa, san Francesco è tra i primi a farle proprie e le estende alle chiese dei suoi frati, e questi nella Chiesa Cattolica: al punto che i messali comparsi in base al Lateranense IV, saranno detti “franciscani”. Per sé e i suoi frati, vuole la povertà assoluta, ma per le chiese, case di Dio, e per gli arredi e paramenti liturgici, tutto dev’essere al meglio, perché non è mai abbastanza bello ciò che si fa per Dio.
“Serafico in ardore” per il Crocifisso (“Mi ha amato ed è morto per me”), per Gesù eucaristico, serafico nella purezza e nella carità per i più piccoli, Francesco sarà presto configurato a Gesù anche con le stigmate della croce sul suo corpo. Nel Capitolo generale (riunione) del 1221, erano 5.000 quelli che san Francesco chiamava appunto “frati”, nel suo dialetto di allora, in segno di umiltà. Si trattava di dare un programma a quell’esercito crescente: nacque così la Regola definitiva, dettata dal suo cuore di “serafino”, corretta da illustri giuristi, approvata dal Papa, la Regola che nei secoli avrebbe prodotto Dio solo sa quanti Santi/e, fino a oggi, quando è vissuta nella sua integralità.
Francesco però sentiva che non era da lui reggere quella costruzione immensa che aveva tirato fuori dal nulla: allora lasciò ad altri la guida dell’Ordine per continuare a vivere come l’ultimo tra tutti nella profonda e dolcissima contemplazione di Gesù. Nel 1225, dettò il suo Cantico delle creature, come un testamento della sua anima, che, diversamente dai catari (gli gnostici del suo tempo) per i quali la creazione è male e Dio non potrebbe incarnarsi perché la carne è cattiva, celebra la bontà di tutte le creature uscite dalla mano di Dio, per la gloria del Cristo suo Figlio.

Rivoluzionario?

Morì l’anno dopo, il 4 ottobre 1226 in letizia e povertà, a soli 44 anni, sulla nuda terra, pienamente conforme al suo-nostro Gesù: Gesù bambino, Gesù lavoratore, Gesù maestro, Gesù crocifisso vestito solo di lacrime e di sangue. I suoi contemporanei videro in lui un prolungamento luminoso di Gesù, Gesù vivo riapparso sulla terra, per riportare l’umanità che stava per tralignare a Lui, per dire come non la sapienza umana (= la gnosi, gnosi spuria) può salvare, ma solo Gesù Cristo che è per sempre e per ogni uomo e per ogni tempo, “l’unica Via, l’unica Verità e l’unica Vita” (cf. Gv 14,6).
L’avrebbero fatto i suoi veri seguaci, anche laici nel mondo. Vent’anni dopo la morte di san Francesco d’Assisi (subito canonizzato dalla Chiesa), uno dei suoi primi amici e compagni, il perugino fra Giovanni di Pian del Carmine, arrancava già per tutta l’Asia per portare, come inviato del Papa, il messaggio di Gesù e di san Francesco, all’imperatore del potente Impero cinese... Wladimir Ulianov, detto Lenin, il fondatore dell’Unione Sovietica (ottobre 1917, cento anni fa) riconoscerà: «Se io avessi avuto sette Francesco d’Assisi a mia disposizione non avrei fatto la rivoluzione comunista». La sua testimonianza non è clericale, vero?
Segno che la vera “rivoluzione” non viene alimentata né dal laicismo né dal comunismo senza Dio, ma solo dalla conformità a Cristo, a immagine e somiglianza di Dio, quale il divino Maestro ha proclamato e, i santi, in primis il Serafico in ardore, hanno realizzato nella storia. In questo senso, non in quello dei laicisti né dei marxisti e neppure degli ambientalisti, non in quello dei protestanti, san Francesco, come Gesù, è “rivoluzionario”. La rivoluzione gentile della verità, dell’amore, della grazia divina.

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