ATTUALITÀ
Una scuola tutta da ridere
dal Numero 36 del 17 settembre 2017
di Roberto Ciccolella

Di fronte alla risibilità di una scuola statale sempre più al ribasso, sta prendendo avvio anche in Italia l’esperienza della “scuola parentale” dove la fede viene trasmessa assieme ai valori umani fondamentali.

La scuola moderna di massa è l’incubatrice dei futuri cittadini, il luogo che forma la personalità dei ragazzi oltre alle loro conoscenze. Due recenti notizie ci indicano che la decadenza di questa istituzione è in fase avanzata. E questo mentre le due comunità che ben prima e con più autorità della scuola hanno diritto e dovere di prendersi cura dei ragazzi, Chiesa e famiglia, vivono una fase difficile. Una risposta fattiva urge.
Vediamo la prima notizia. Il decreto legislativo n. 62/2017, attuativo della legge 107 del 2015, stabilisce i criteri per la valutazione degli studenti, con validità dal 2017-2018 per elementari e medie, laddove per le superiori sarà applicato a partire dall’anno scolastico successivo. In sintesi la legge dice: a meno che l’alunno non prenda a pugni in faccia la maestra, promuovete tutti senza andare troppo per il sottile, e se non studiano fatevene una ragione. Ma riportiamo alcuni passi dell’art. 3, che riguarda elementari e medie, cosicché i lettori possano farsi un’idea: «Le alunne e gli alunni della scuola primaria sono ammessi alla classe successiva [...] anche in presenza di livelli di apprendimento parzialmente raggiunti o in via di prima acquisizione». E poi: «I docenti della classe in sede di scrutinio, con decisione assunta all’unanimità, possono non ammettere l’alunna o l’alunno alla classe successiva solo in casi eccezionali e comprovati da specifica motivazione». Voglio rimarcare: solo all’unanimità, solo in casi eccezionali. Insomma, il povero ragazzo che volesse ripetere un anno scolastico, magari gli piace il programma di geografia della quarta, dovrà bucare le ruote delle automobili di tutti e singoli i docenti e poi convincerli a mettersi d’accordo per bocciarlo. Battute a parte, il ministro dell’istruzione Fedeli – ricordiamolo, priva di laurea – propone un percorso di studi in cui l’impegno e il merito non sono fattori decisivi. Peccato che nella vita reale le cose funzionino al contrario. Non ho ancora mai conosciuto alcun imprenditore che paghi lo stipendio a un dipendente che non vuole lavorare. La vita è una lotta per trovare un posto di lavoro, pagare le bollette a fine mese, prendersi cura di un figlio in sedia a rotelle e così via – per non parlare della lotta più importante, quella per la salvezza dell’anima, e lì non ci sono promozioni a buon mercato. Una scuola che sin da piccoli educa i bimbi al lassismo e al disimpegno non fa il loro bene, semplicemente li danneggia. E i ragazzi sono affamati di sfide, di arrampicarsi più in alto. Il governo Gentiloni però non la pensa così.
L’altra notizia va nello stesso senso. È la decisione del Tar del Lazio di bocciare il numero chiuso all’Università Statale di Milano. Il Senato accademico aveva introdotto una soglia per sei corsi umanistici: Lingue, Lettere, Storia, Filosofia, Beni culturali, Geografia. C’erano migliaia di iscrizioni in eccesso rispetto alla capacità di mobilitare docenti e aule. Ma l’Unione degli Universitari, sorta di sindacato sinistrorso, ha strappato una prima vittoria in sede di giustizia amministrativa. Il Rettore milanese Gianluca Vago ha promesso ricorso al Consiglio di Stato, la massima corte di merito che spesso ribalta le sentenze dei Tar regionali. Staremo a vedere, ma quello che emerge per ora è di nuovo la prevalenza della quantità sulla qualità e un egualitarismo estremo che per primi danneggerà gli studenti. Come fare a capire cosa dice il professore in un’aula stracolma di centinaia di ragazzi, spesso non troppo interessati? Magari proprio il diligente figlio dell’operaio che nell’università vede una opportunità di crescita dovrà sorbirsi il figlio di papà della sedia accanto, tutto intento a giocare sul suo smartphone.
Ma vediamo come è andata a finire in Svezia, dove a scuola non ci sono né bocciature, per l’intero ciclo scolastico, né voti – almeno fino ai 13 anni di età. Le statistiche registrano un netto calo, specie in matematica, dei risultati dei test Pisa (sistema di valutazione internazionale degli alunni); crescono i livelli di bullismo mentre diminuiscono gli iscritti a pedagogia, cioè sempre meno quelli che vogliono insegnare, anche perché in compenso spopola il fenomeno dei docenti in malattia a causa di stress psicologico da classi incontrollabili. Peraltro a perderci sono stati i numerosi figli di immigrati che hanno trovato nell’istruzione poche chance di avanzamento sociale. Lo stesso ministro dell’istruzione Gustav Fridolin ha dovuto ammettere la disfatta di questo modello, specie dopo che l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) ha sollecitato il Paese a ripensare il suo sistema educativo. Si spera che il ministro Fedeli dia un’occhiata al grafico qui riportato.
Come ho già spiegato in passato, negli USA molte famiglie hanno dovuto fronteggiare questa decadenza già dagli anni ’80 e in un contesto dove il settore pubblico è molto meno assistenziale che in Europa e le distanze fisiche nettamente maggiori. Così una soluzione estrema, non necessariamente da idealizzare, cioè l’homeschooling – l’istruzione parentale –, si è diffusa a macchia d’olio. Personalmente ho diversi amici americani che – oltre a solida formazione morale e religiosa – hanno avuto successo anche nella vita professionale, provenendo da famiglie pioniere di questo sistema educativo. Ma lasciamo che le statistiche ci parlino di un fenomeno ormai da 2,3 milioni di studenti (solo negli USA): questi ragazzi raggiungono punteggi fra il 15 e il 30% superiori rispetto a quelli delle scuole pubbliche nei test accademici standard e per i ragazzi afroamericani si va dal 23 al 42% rispetto all’equivalente segmento socio-demografico alle statali (Ray, 2015)1. L’istruzione a casa in una realtà come quella italiana è una sfida difficile e sta emergendo un modello più comunitario ed europeo che lascia ben sperare, cioè l’istruzione parentale cooperativa. Genitori e sacerdoti che avviano piccole scuole parrocchiali o comunitarie, come quella di Don Stefano Bimbi a Staggia Senese o l’eccezionale Scuola Chesterton a San Benedetto del Tronto. In queste realtà la fede viene trasmessa insieme all’idea che le cose preziose vanno sudate e conquistate e che rimboccarsi le maniche e far bene è bello. Ecco, è il caso di impegnarsi, ciascuno per ciò che gli compete, per salvare le future generazioni dalla scuola al ribasso della Fedeli.

NOTA
1 Research facts on homeschooling di Brian D. Ray, Ph.D., 2016: www.nheri.org/research/research-facts-on-homeschooling.html. Per chi volesse approfondire: www.brighthubeducation.com/homeschool-methodologies/87123-what-do-the-statistics-say-about-homeschooling/ e anche: https://wehavekids.com/education/Do-Homeschoolers-Really-Do-Better-on-Test

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